Agriturismo Le Caselle, la tradizione mantovana dalla terra alla tavola
Il simbolo più eclatante della cultura enogastronomica italiana totale: l’azienda agrituristica Le Caselle è il più importante esempio di cosa debba essere la cultura agroalimentare italiana.
Si trova a San Giacomo delle Segnate, in provincia di Mantova.
E’ un microcosmo bucolico dove ogni cosa risponde alla Natura e ai suoi cicli. Si parte dalla coltura dei vegetali per i mangimi, si arriva agli animali liberi che se ne cibano, per poi diventare sanissime pietanze che allietano esseri umani.
Un ciclo vitale con al centro l’Uomo ma in cui ogni elemento è rispettato nella sua essenza. Tutto questo lo senti nell’aria, lo vedi con i tuoi occhi e poi lo gusti negli straordinari piatti che escono dalla cucina.
La storia di questo luogo pone le sue fondamenta sull’azienda agricola centenaria della famiglia Cantadori, allocata in “una tipica corte del Basso Mantovano con una vecchia stalla ristrutturata nel rispetto dell’architettura dei primi del ‘900”.
Se già fuori ti accoglie l’incanto della campagna, appena metti piede nella struttura al chiuso rimani senza fiato: ti ritrovi infatti “nelle due sale arredate con cura e calore con mobili del ‘600 e ‘700”, affacciate sull’ampio giardino con caratteristico portico, “sotto al quale si può cenare nei mesi estivi”.
Le sale sono tempestate di opere d’arte e pregiati pezzi d’antiquariato, oltre che da libri antichi. E’ talmente aulico l’ambiente da farti dimenticare che vi si pratichi ristorazione, facendoti sentire piuttosto in un prestigioso luogo di cultura.
A gestire Le Caselle sono Gianfranco Cantadori “che si occupa della gestione dell’azienda agricola e accoglie con simpatia e attenzione gli ospiti in sala”, con Raffaella, la consorte e Rasdora (in dialetto locale colei che regge la casa) che si occupa “con passione della trasformazione dei prodotti dell’azienda in piatti speciali e del recupero e preparazione delle ricette della più antica tradizione mantovana”.
L’allevamento e la ristorazione sono le attività principali dell’azienda, sul cui terreno cresce un bosco con noci, noccioli e varie piante autoctone, mentre in un laghetto artificiale “prosperano numerose specie di pesce d’acqua dolce”: è in questo ambiente che si muovono gli animali allevati dai Contadori, come faraone, galli ruspanti, anatre e tacchini selvatici.
Ma “la punta di diamante di Corte Le Caselle è soprattutto l’allevamento all’aperto dell’eccellentissimo cappone dei Gonzaga”, per avere o gustare il quale arrivano qui da tutta Italia in pellegrinaggio gourmet e ristoratori.
A introdurci in questo paradiso è Raffaella Cantadori.
Il Cappone non è semplicemente la specialità della casa, alle Caselle, ma anche e soprattutto una missione legata alla Storia e alla Cultura della zona di appartenenza che “vanta tradizioni culinarie e d’allevamento molto antiche e fortemente radicate al territorio mantovano che meritano di essere valorizzate, riscoperte e tramandate”.
Infatti a Mantova da sempre troviamo il Cappone non solo nei pollai di campagna e nelle pentole delle modeste cucine delle case contadine, ma in modo particolare sulle suntuose tavole imbandite dei grandi Signori del Rinascimento, i Gonzaga”.
L’allevamento dei capponi si concentra da sempre proprio nella porzione dell’Oltrepò Mantovano in cui si trova questa azienda.
Gianfranco Cantadori li alleva per almeno otto mesi, all’aperto, in maniera che possano provvedere da soli a buona parte della loro alimentazione, fatta di erba, bacche e insetti, cui gli allevatori aggiungono mais marano.
Un lavoro quotidiano di grande dedizione, la cui spinta è la consapevolezza di essere dei custodi della tradizione mantovana, come ci spiega lo stesso Gianfranco Cantadori.
Il Cappone dei Gonzaga, con le sue “carni saporite, piene e tenere, l’ideale per un eccellente brodo da accompagnare ai tradizionali agnoli mantovani”, è al centro del pranzo della tradizione mantovana, il clou della ristorazione delle Caselle.
La tavola accende l’appetito con l’ingresso di prodotti da forno. Grissini da varietà Bologna con farina di frumento e semola di grano duro, contadini e saporiti il giusto.
Pane fatto in casa, per non ricorrere a quello normalmente in commercio, qui giudicato “immangiabile”: il tipo di grano duro è etereo, mentre la versione alla zucca è delicata. Consistente la focaccia.
Unico il salame di tacchino selvatico, innervato di gusto con grasso di maiale: gusto pulito e selvaggio insieme, presenta delicata sapidità e nettezza dei sentori.
Gli agnoli in brodo di cappone già per il profumo inebriano e il resto è una poesia di pasta sfoglia tirata a mano con un ripieno dalla qualità intransigente: per i bocconi finali, si versa nel brodo un po’ di Lambrusco, per fare il bevri’n vin. Il Lambrusco è quello della zona, il Grappello Ruberti, prodotto dalla Cantina di Quistello: abboccato, dal perlage indefesso ma carezzevole.
Di magnifica tenacia i tagliolini, conditi con sugo di trippa di cappone, ricavata da uno dei due stomaci: equilibrato, appena screziato di conserva fatta in casa con il pomodoro dell’orto delle Caselle.
E’ il momento dell’ingresso trionfale del cappone in vescica di bue e canna di sambuco, preparazione antichissima che giustificherebbe un viaggio a piedi da qualunque parte del mondo pur di provarla. Il cappone, dopo la lunghissima cottura, diventa una delizia soffice come la brezza della meritata leggenda che lo rende uno dei più clamorosi piatti del mondo.
Per accompagnarlo, le incredibili mostarde di frutti quasi scomparsi, come il pero misso (Presidio Slow Food), pera mantovana e l’incommensurabile pera cotogna, rarità commovente.
Eccellenti anche le salse (su tutta quella di pane, filiazione della pearà veronese) e i contorni.
Storditi da tanta bontà, ci lasciamo infine accarezzare il palato dai dolci, altri capolavori, come l’immancabile sbrisolona di croccante rusticità e un sublime tortello con conserva di prugne.
Si chiude con una zuppa inglese imbevuta di alchermes, con aggiunta di gocce del misterioso ma golosissimo brusca, un liquore artigianale fatto nella zona, dagli ingredienti segretissimi tramandati di padre in figlio: qualcuno lo indica come progenitore dell’alchermes stesso.
Questo non un pranzo, ma un percorso esistenziale: non si può dire di avere vissuto davvero, senza averla provata almeno una volta.
Ecco come Raffaella Cantadori racconta il pranzo della tradizione mantovana.
Non c’è un solo passaggio del pranzo della tradizione mantovana delle Caselle che non si scolpisca nella memoria in maniera indelebile.
L’emozione più forte è assistere alla preparazione del Cappone in vescica di bue e canna di sambuco, ricetta secolare di cui riferiva anche l’Artusi, di cui oggi i Contadori sono gli ultimi e unici depositari.
Il cappone che cuoce nei suoi umori dentro una parte di ventre bovino, attaccato a un filo, sospeso in un’acqua che freme appena, assistito con cura per infinite ore, nel terrore che qualcosa possa andare storto, vanificando un lavoro interminabile.
Sono tutti elementi narrativi da grande letteratura che avrebbero potuto albergare tra le righe delle Bucoliche del conterraneo Virgilio, a dimostrazione che da queste parte la terra muta da sempre in afflato lirico.
Bisogna scomodare l’epica poi per descrivere la figura (ormai scomparsa altrove) del trinciante: narrata in antichi volumi, è impersonata da colui che agendo con coltello e forchetta seziona il pollo per servirlo ai commensali.
Facile a dirsi, parecchio complicato a farsi: Gianfranco Cantadori agisce sul cappone come uno scultore sulla materia grezza, assestando i tagli con leggiadria e precisione, grazie alla sua immensa conoscenza dell’anatomia animale.
Abbiamo avuto il privilegio di potere documentare tutto questo.
Se a tutto questo aggiungete l’enorme gentilezza e umanità dei Cantadori, le loro divertentissime schermaglie dialettiche che sono pezzi di teatro, le lezioni tecniche su chimica e metabolismo animale del mostruosamente preparato Gianfranco, i preziosi segreti culinari donati dalla generosa Raffaella, capirete perché conoscere Le Caselle sia imprescindibile per chiunque ami l’enogastronomia, o, semplicemente, ami la vita.
Info: www.agriturismolecaselle.com