Andrea Picchioni, vini che seguono la vera natura dell’Oltrepò Pavese
Il piacere di bere i grandi vini di Andrea Picchioni è pari a quello di ascoltare il racconto di come li crea, da una terra che conosce la vite dai tempi degli antichi Romani, coltivata senza uso di porcherie ma in severo regime biologico, usando le uve storiche che si trovano nel territorio da sempre o almeno da un secolo e mezzo, recuperando metodologie ancestrali, ma soprattutto seguendo con sacro rispetto il volere della Natura.
E’ quest’ultimo assunto che commuove, il lasciare che ogni mutevole stagione decida l’altrettanto mutevole carattere del vino, quindi consentendo e anzi auspicando che ogni annata sia unica e irripetibile, anche profondamente diversa dalle altre, perché la Natura pur avendo i suoi cicli è in realtà in continuo fieri, una perenne trasformazione dove nulla è mai uguale a se stesso.
La natura in oggetto è quella della sua azienda agricola nella valle Solinga, nella vocatissima zona di Canneto Pavese in provincia di Pavia, nel cuore di quell’Oltrepò Pavese definito “un triangolo di terra incuneato tra Liguria, Emilia e Piemonte che costituisce la punta settentrionale dell’Appennino”, situato quindi in una posizione strategica in passato attraversata “dalle vie del sale, dai pellegrini in viaggio verso la Città Santa e dalle popolazioni in movimento nella Pianura Padana”.
In questo triangolo insiste il fazzoletto di terra di Picchioni che conta “dieci ettari ubicati nella piccola Valle Solinga su un versante collinare che volge a mezzogiorno e sul quale profonde venature di suolo sciolto, perfin ciottoloso, s’inerpicano in pendenze proibitive”, dove “le interminabili giornate di irraggiamento estivo dispensano ai grappoli tutta l’energia occorrente a un’adeguata maturazione, contendendo alla vite ogni stilla di pioggia”.
I vigneti dell’azienda si trovano in parte nel comune di Stradella e in parte nella frazione Camponoce del comune di Canneto Pavese, nel versante orientale dell’Oltrepò pavese “tradizionalmente legata alla produzione vitivinicola” tanto che “fino ad alcuni anni fa il rapporto fra la superficie vitata e la superficie totale era il più alto d’Italia”.
Nell’Ottocento “i vini qui prodotti, di notevole nerbo e corpo, ottennero rapidamente successo in tutta la regione e furono esportati anche oltreatlantico grazie alla grande potenza alcolica che ne garantiva la conservazione”.
Lucida l’analisi del sito di Picchioni quando afferma che “nel corso del Novecento le scelte commerciali della zona si orientarono purtroppo verso la produzione di vino a basso costo e molti vigneti vocati, ma situati in zone impervie e quindi dal mantenimento costoso, furono abbandonati”, per essere recuperati soltanto negli ultimi anni da giovani produttori.
Come Picchioni la cui storia “inizia nel 1988 con il recupero di alcuni vigneti particolarmente vocati e ha assunto negli anni i contorni di una sfida”, con la scelta di conversione al biologico concretizzatasi con regole ferree che il suo distributore Proposta Vini sintetizza in “utilizzo di acqua proveniente da pozzi naturali di proprietà, l’uso di concimi di origine organica e lo spargimento delle vinacce sul terreno delle vigne: per Andrea è molto importante che una parte del territorio sia ricoperto da alberi, per compensare l’anidride carbonica prodotta da i mezzi meccanici”.
Giusto per sottolineare l’onestà non soltanto intellettuale di chi come Picchioni rispetta la natura di chiunque tout court, il suo sito aziendale “non utilizza cookies di tracciamento né a fini statistici né a fini di marketing”, un piccolo gesto dal grandissimo significato etico.
I vini di Picchioni sono all’altezza degli impegnativi presupposti.
Avevamo già avuto modo di sottolineare come la più classica e nota delle tipologie da lui prodotte, il Buttafuoco (blend di Croatina, Barbera e dell’autoctona Ughetta di Solinga in percentuali variabili secondo l’annata), sia in assoluto l’interpretazione più singolare e perfino spiazzante della categoria da noi mai provata, tanto nella versione giovane del Solinghino quanto nella Riserva del Buttafuoco Bricco Riva Bianca, con quei bouquet di selva seguiti da un approccio abboccato che apre a un sorso vellutato di rara eleganza, appagante, morbido, netto, dove il primo si fa notare per freschezza e intensa acidità, mentre il secondo è un trionfo di succulenta frutta in cui si riconoscono fragoline di bosco e spezie orientali, fino a un condiviso magnifico finale zuccherino.
Le riserve riguardano anche altri rossi d’eccellenza.
Il Rosso d’Asia è un assemblaggio di Croatina (90%) e Ughetta di Solinga (10%) “prodotto nelle sole annate favorevoli”, in cui il sottobosco è protagonista tanto al naso quanto al palato, tra gelso nero, ciliegia e ribes rosso, con importanti note erbacee che rimandano al timo.
Arfena è il tributo all’ormai identitaria presenza nel territorio del Pinot Nero, qui in purezza, così da avvincere subito l’olfatto con i frutti rossi in composta, mentre al gusto conquista con carruba, papaya e corbezzolo, avviluppando con sorso pieno e caloroso.
Il Pinot Nero lo ritroviamo sempre in purezza ma spumantizzato nel Rosé pas dosé Profilo, metodo classico senza aggiunte di zucchero o liqueur d’expédition che sfodera un magnifico colore aranciato e un ammaliante bouquet di lievito e panificazione su cui si innesta una nota erbacea balsamica; in bocca è denso e cremoso, restituendo la suggestione di un vino perpetuo con tutta la sua sedimentazione aromatica ingentilita da brillante acidità e stuzzicante petillant. E’ così che in bocca si avvertono yuzu, susine di Dro, sorbo e karkadè.
Dichiariamo infine un debole per Da Cima a Fondo, un Metodo Ancestrale da Croatina e Uva rara fatto come una volta e di conseguenza in grado di regalare al sorso evocazioni remote, tra profumi di lampone e foglie di amarena, quindi sapori di fragola Candonga caramellata, mirtillo rosso (cranberry), tarassaco, con le bollicine che ingolosiscono l’impatto tanninico.
La sua vinificazione viene descritta in questo modo: “le uve vengono raccolte a mano in cassetta; dopo la pigiatura e la diraspatura, avviene la prima fermentazione, con il mosto che rimane per alcuni giorni a contatto con le bucce: il vino viene poi travasato in vasche di cemento nelle quali riposa per tutto l’inverno; in aprile viene imbottigliato così com’è per far svolgere la rifermentazione naturale in bottiglia in primavera: le bottiglie, collocate in piedi, restano in cantina al fresco e al buio per alcuni mesi prima di essere messe in vendita”.
Le parole di Andrea Picchioni potete ascoltarle nella video-intervista che trovate qui di seguito, in cui spiega tutte le peculiarità del suo progetto.
Info: https://www.picchioniandrea.it/
Distribuzione: https://www.propostavini.com/produttori/produttore/picchioni-andrea