Ristorante del Rifugio dei Walser a Rimella (VC), spunti da migliorare
Le intenzioni della cucina sono buone ma i pieni risultati ancora da raggiungere, al ristorante del Rifugio dei Walser a Rimella, almeno per rendere onore a una location di rara suggestione: una baita del 1700, incastonata in un minuscolo borgo inaccessibile alle auto e quindi da raggiungere necessariamente a piedi grazie a una stupenda strada in pietra restaurata dal Fondo Ambiente Italiano che fende un rigoglioso bosco.
E’ proprio quest’ultimo aspetto a fare crescere le aspettative quando vai a mangiare al ristorante del rifugio, caricandolo di magia e staccandoti dalla frenesia della modernità.
Devi infatti parcheggiare in un piccolo spazio e inoltrarti lungo un sentiero costeggiato da alberi immensi, natura selvaggia, strapiombi e piccoli orridi, scavalcando qualche ruscello e facendo molta attenzione a dove metti i piedi, anche perché l’incanto ti rapisce.
Il percorso è inserito nei Sentieri delle antiche case e chiese di Rimella: questo è il numero 2 che conduce alla frazione di San Gottardo, secondo un pannello “forse la più pittoresca e amena” delle quindici che compongono questo incredibile agglomerato rustico fondato dai Walser quasi mille anni fa in tale paradisiaco angolo dell’alta Valsesia, in Piemonte, in provincia di Vercelli.
I vialetti del borgo di San Gottardo di Rimella sono così amati da chi li conosce da guadagnarsi nel 2006 il titolo di Luogo del cuore del FAI.
La ragione la comprendi quando raggiungi l’abitato e rimani ammirato dall’architettura litica del posto.
L’interno del rifugio è coerente con lo stile del luogo, offrendo allo sguardo pietra viva e legno, così come ci si aspetta.
Ancor di più a questo punto ci si attenderebbe dalla cucina, ma l’esperienza, per quanto dignitosa, non è all’altezza del contesto.
Si parte dagli immancabili antipasti, solitamente porta d’ingresso per la conoscenza della gastronomia e delle materie prime di un territorio. In tavola arriva un tagliere sbilanciato sui salumi, a discapito dei formaggi, mentre la produzione del territorio si configura esattamente al contrario, con una notevole produzione casearia e una norcina invece ridotta.
L’unico formaggio, una toma ben stagionata, conferma la sapienza casearia locale, presentando una crosta con una muffa perfetta che conferisce note organolettiche di pregio.
I salumi presentano carni insolite come cervo, asino, cinghiale e capra, oltre alla tradizionale mocetta: tutti buoni, senza punte di eccellenza.
Interessanti le confetture, una di fichi e l’altra di arance, ma utilizzabili soltanto con il formaggio, arrivato in un’unica tipologia, quindi incongrue per accompagnare tutto l’antipasto.
Qui subentra il problema maggiore, il servizio, condotto da un personaggio di cui non abbiamo ben compreso il ruolo: ha vantato trascorsi professionali non riscontrati con il fact checking, mentre dalle ricerche sono emersi episodi che destano serie perplessità. Da questa figura, tanta affabulazione anche interessante su vari aspetti del territorio, ma quando abbiamo chiesto di spiegarci nel dettaglio i salumi, le informazioni sono state molto generiche, tanto da non riuscire a distinguere un salume dall’altro.
Probabilmente si è trattato della stessa persona che al telefono ci aveva garantito la disponibilità in menu di antiche ricette walser, delle quali invece non c’era traccia. Sul posto ci hanno precisato che Walser sarebbero le materie prime, concetto fumoso e privo di fondamento scientifico, mentre ci è stato annunciato che le vere ricette del popolo germanico le stavano ancora studiando e le avrebbero messe in carta al più presto.
L’informazione incompleta e quindi fallace che abbiamo ricevuto rappresenta una furbata, al limite della scorrettezza, grazie alla quale siamo stati spinti a scegliere questo locale, ma così non si costruisce un rapporto con un cliente, perché è evidente che la credibilità del locale in tal modo è crollata, quindi ottenendo il peggiore dei risultati per chi voglia gestire le pubbliche relazioni.
In un menu molto scarno e povero di proposte, ci siamo così rivolti ai secondi, per verificare la bontà delle tanto decantate materie prime che i gestori sceglierebbero (ormai il condizionale è d’obbligo…) tra i piccoli allevatori della zona.
L’arrosto di capriolo è speziato, caratterizzato dall’intenso apporto delle erbe aromatiche: gradevole, anche se il sapore della carne viene coperto dagli aromi.
Il capretto al forno è il miglior esito, buono e abbastanza goloso, con le caratteristiche della carne ben distinguibili, a partire dal sentore selvatico.
Un po’ asciutto invece lo stracotto d’asino.
Anche tra i dolci, una certa discontinuità.
Se è apprezzabile il Castagnaccio, tosto e ieratico, come deve essere secondo la sua indole tipica…
… risulta invece troppo cioccolatoso lo strudel di pere e cioccolato, segno che la mano in cucina non è stata felice nel calibrare gli ingredienti.
Sintomo di una cuoca che certamente ha mestiere e potenzialità ma che deve ancora crescere in precisione e consapevolezza.
A tutto pasto, un vino Nebbiolo dalla classica acidità spinta di impronta contadina: ai limiti della sufficienza per la bevibilità ma inadeguato al tipo di pasto.
Conto superiore alla limitata soddisfazione ricevuta.
Un contesto ambientale del genere meriterebbe una cura molto più elevata della proposta, soprattutto sul piano culturale: qui la storia è fondamentale, è la radice identitaria di chi vi abita e la ragione per cui giungono dei visitatori, quindi la si dovrebbe necessariamente ritrovare in tavola anche con le ricette di un tempo replicate rigorosamente.
Con un po’ di sforzo questo locale potrebbe arrivare a rappresentare una delle più interessanti esperienze gastro-culturali d’Italia, ma per adesso rimane nell’ambito delle curiosità, appagabili ma non pienamente appaganti.
Info: http://www.rifugiowalser.it/