Parco Museo S’Abba Frisca a Dorgali, alla sorgente della cultura sarda
Non potrebbe esserci migliore metafora di una sorgente d’acqua antica ma sempre fresca per un’esperienza museale che consente realmente di abbeverarsi all’autentica cultura materiale della Sardegna, la nostra regione che ha mantenuto maggiormente intatta l’identità agro-pastorale, la più nobile che possa esistere al mondo.
La sorgente si chiama con evocativa semplicità S’Abba Frisca e dà il nome a un parco museo di Dorgali in provincia di Nuoro che ormai da anni fa scuola, in tutti i sensi.
Fa scuola nel dibattito sul ruolo dei privati nella cultura, perché nasce dall’immensa generosità e profonda consapevolezza civile di Portolu Secci, titolare di un’azienda agricola che ha interpretato nel più elevato dei modi la responsabilità sociale d’impresa, investendo sulla Conoscenza e contribuendo al Sapere collettivo.
Fa scuola sul piano scientifico perché crea un’ammirevole osmosi tra diverse tipologie espositive, mettendo insieme elementi di eco-museo, museo distrettuale, museo della cultura contadina, museo antropologico, museo etnografico, museo del costume, parco botanico e perfino cenni di museo paleontologico.
Fa scuola pure nel senso più letterale perché di scuole di ogni ordine e grado ne ospita tante, nel corso dell’anno, offrendo un prezioso supporto pedagogico esperienziale alla didattica comune.
Fa scuola perché inserisce nell’esperienza l’enogastronomia nella sua accezione più seria, rinunciando a ogni snobismo ma al tempo stesso senza scadere nel folklore, individuando correttamente nel cibo un imprescindibile strumento per la comprensione della civiltà.
Si comprende bene dunque il motivato orgoglio di Portolu per avere dato vita a un gioiello di cui deve andare fiera non soltanto la Sardegna ma l’Italia intera. Lo sguardo combattivo e irrequieto di Portolu però porta i segni della fatica immane che ha dovuto compiere per realizzare questo monumento alla sensibilità, un’impresa titanica per la quale si sarebbe aspettato un maggiore sostegno da parte degli enti pubblici, i quali farebbero bene a rendersi conto del clamoroso valore del Parco Museo S’Abba Frisca, eleggendolo a ciò che merita, cioè imprescindibile punto di riferimento del sistema culturale sardo e tappa obbligatoria di ogni percorso turistico nell’isola.
Per questo nessuno meglio dello stesso Portolu Secci può parlare del parco museo: lo ha fatto davanti alla nostra telecamera, nel video che segue.
Il Parco Museo S’Abba Frisca promette “un tuffo nel passato, alla ricerca dell’identità”, missione perfettamente raggiunta grazie a una gestione che unisce perizia organizzativa e forte afflato umano, alla base di un successo di presenze che lo scorso anno ha toccato le ventiseimila unità.
E’ immerso nel verde della vallata di Littu, in territorio del comune di Dorgali, “circondato da un fitto bosco di lecci e dominato dai bastioni calcarei dei monti Ruiu e Irveri, estreme propaggini settentrionali del Supramonte marino”, ad “appena due chilometri dal mare del Golfo di Orosei”.
Lo spunto iniziale è partito “dalla ristrutturazione di una vecchia azienda agricola”, intorno alla quale si sviluppa oggi un articolato percorso museale diviso tra parti all’aperto e altre al chiuso.
La visita è rigorosamente guidata e si può svolgere “in italiano, inglese e francese”, permettendo “di conoscere da vicino la natura, la cultura e le tradizioni della Barbagia”.
La parte etnografica si identifica con la collezione “custodita nei quindici ambienti: il cortile del contadino, il capanno del pastore, la forgia del fabbro, le camere da letto, filatura e tessitura, armi, gioielli”…
… mentre il percorso naturalistico, “particolarmente ricco di flora e fauna locali”, comprende “fontane e cascate”…
… snodandosi “tra camminamenti megalitici, siepi ed alberi secolari” in cui “sono presenti oltre 250 essenze della macchia mediterranea, piante officinali e tintorie”…
… tra cui potere ammirare anche rarità botaniche come l’ancora misterioso frutto della Pompia, agrume autoctono dal carattere selvaggio e indomabile come la terra su cui vegeta.
Tra gli animali si scorgono anatre, testuggini di terra, cavalli…
… e l’ormai rarissimo asinello albino tipico dell’Isola dell’Asinara.
La sezione etnografica del museo prevede diverse tappe, di alto valore istruttivo, supportate da “circa 4500 reperti della civiltà contadina e agropastorale” risalenti a un periodo compreso “tra il milleseicento e gli anni ’30 del novecento”. Qui però la memoria non è raggelata in una teca, perché ogni oggetto è ancora pronto all’uso e realmente impiegato nelle dimostrazioni didattiche che si svolgono nella struttura.
Diverse le suggestioni che si incontrano nel corso della visita.
Come l’antico capanno del pastore, chiamato su Cuile, in questo caso di oltre cento anni fa, costruito “in pietra basaltica e legna di ginepro, la cui forma circolare richiama le tipiche abitazioni nuragiche”, da cui trasuda la sacralità della fatica, la vocazione al sacrificio errante senza sosta di chi è destinato a governare le greggi per l’intera esistenza, tra le asperità dei disagi ma anche con l’immenso dono della vita libera in simbiosi con la natura.
Tra un passo e l’altro, ecco il recinto delle capre che ancora ospita splendidi esemplari…
… “il cortile del contadino con la mola asinaria, il carro a buoi, gli aratri”, tracce di quell’eroismo quotidiano che sta alla base dell’evoluzione dell’Uomo…
… il cortile del fabbro col la forgia e il mantice dell’800, veri lampi di ingegno remoto…
… e nel frattempo si costeggia una teca con reperti che testimoniano il primato della Sardegna come prima terra emersa di tutto il territorio italiano.
Alcuni spazi mettono in evidenza ideali basi ataviche di attività moderne del made in Italy come il design e la moda, quando mostrano gli abiti di uso giornaliero e quelli della festa, accanto a monili e gioielli…
… ma anche gli strumenti della filatura e della tessitura, con vecchi telai ancora funzionanti.
Importante anche la collezione di armi del museo, la quale vanta tra i pezzi pregiati delle sciabole (leppas de chittu) del 1800 e “un rarissimo fucile sardo a pietra focaia risalente alla seconda metà del millesettecento”.
Vivido il racconto degli antichi mestieri.
Si narra la produzione del vino, dell’olio e del pane, con torchi del ’600 per la lavorazione di quel Cannonau che ha in Dorgali la sua zona di elezione fin dall’epoca romana…
… e “il frantoio in pietra trainato a cavallo e la pressa in ghisa ottocentesca” che testimonia “l’importanza della produzione dell’olio d’oliva per l’azienda di S’Abba Frisca: ancora oggi circa 700 olivi in produzione, in buona parte secolari, vengono coltivati nei terreni limitrofi il parco”.
Non meno rilevante “il vecchio pozzo sovrastato dalla noria, macchina a trazione animale, risalente alla metà del XIX secolo, utilizzata per il sollevamento dell’acqua”…
… e la “cucina del pane carasau nella quale vengono rivelati i segreti del pane dei pastori”.
La conclusione della visita è puntellata da “una raccolta di circa sessanta piccas, vasche realizzate con vari tipi di pietra, utilizzare un tempo in tutta la Sardegna come mangiatoie per gli animali da cortile”.
Vanno sottolineati gli ambiti espositivi che illustrano il rapporto tra Uomo e animali, decisivo in una terra così difficile, a partire dal legame solidale con il cavallo, da curare nel migliore dei modi, dando così vita anche a opere di alta pelletteria.
Vivamente consigliato ai visitatori spingere al massimo la curiosità e aguzzare la vista, così da non perdersi un manifesto elettorale di oltre un secolo fa che sembra scritto oggi, con promesse che sembrano vergate al tempo odierno.
Un’immersione avvincente e indimenticabile in un piccolo mondo antico che rappresenta però la base fondamentale del tempo che viviamo, la memoria di ciò da cui veniamo: anche per questo dovrebbe essere un dovere civile visitare questo parco museo, poiché induce noi stessi a una profonda riflessione, invitandoci a riconsiderare un presente contraddittorio e a recuperare i valori di un tempo.
Abbiamo sintetizzato la visita guidata nel video che segue.
Una ricca programmazione trasforma poi la struttura in un museo vivente che permette “di fare un tuffo nelle tradizioni della Sardegna”, grazie “alla dimostrazione degli antichi mestieri: la forgiatura del ferro e la produzione di manufatti tradizionali nell’antica fucina; la tornitura della ceramica che prende forma dalle esperte mani del vasaio; la setacciatura della farina e produzione delle paste alimentari, in particolare, sa frègula; musica dal vivo e balli in abiti tradizionali”.
La permanenza al Parco Museo S’Abba Frisca è infine arricchita da un’appendice in grado di emozionare tanto il corpo quanto la mente: una degustazione di prodotti tipici che “derivano da piccole aziende agricole presenti nel territorio tra le quali quella del parco stesso”.
Si ha così il privilegio di assaggiare squisitezze quali la sapida ricotta mustia, il frue che zampilla di acidità, intensi salami artigianali e l’immancabile pane carasau…
… circondati da pareti in pietra nuda sulle quali scorrono foto e documenti attestanti l’intensa attività della struttura e la sincera motivazione culturale e identitaria di chi ci lavora.
Il Parco Museo S’Abba Frisca a Dorgali è la risposta più concreta e convincente a chi teme che la Sardegna possa essere vista soltanto come agglomerato di splendide spiagge, poiché dispensa cultura a ogni passo, ergendosi a custode di un genius loci di esemplare rilevanza mondiale.
Chiunque transiti dall’isola, deve recarsi qui se vuole cogliere la vera essenza della Sardegna: si porterà dietro una lezione di vita imperitura, un amore sconfinato per tale terra, ma anche una maggiore consapevolezza di sé.
Info: https://mail.sabbafrisca.com/home-it.html