Cantine Villa Dora, vini vulcanici dal Parco Nazionale del Vesuvio
Si parla sempre di più dei cosiddetti vini vulcanici, grazie al fascino della loro provenienza e alle peculiarità del loro corredo organolettico, ma anche all’azione divulgativa di un distributore culturale come Proposta Vini che ne ha sancito la dignità di categoria a parte facendone oggetto di una propria linea di prodotti, tra i quali figurano le referenze di Villa Dora, cantina campana che gode del magnifico privilegio di disporre di otto ettari di vigneto all’interno del Parco Nazionale del Vesuvio, con l’intento di proseguire una tradizione vitivinicola del territorio ormai secolare.
L’azienda opera esattamente alle falde dell’iconico vulcano campano, “a circa 3 Km da Pompei, con esposizione sud-ovest ad un’altitudine di 250 mt”, nel comune di Terzigno che fa parte della città metropolitana di Napoli e nella cui area si trova il Bosco del Vesuvio.
(“Scavando nei nostri vigneti abbiamo trovato diverse stratificazioni del terreno; ciascuna corrisponde ad una eruzione del Vesuvio”)
Un’azienda vitivinicola che “segue una felice ed antica tradizione di famiglia”, nata nel 1997 “dal desiderio di Vincenzo Ambrosio di dedicarsi ad una tenuta alle falde del Vesuvio, con la passione e l’esperienza di chi conosce molto bene questo territorio”, nel quale “fu realizzata una ristrutturazione radicale delle colture diretta a creare le basi per una produzione di alta qualità”, attraverso “le pratiche di coltivazione biologica” e operando “secondo il più basso impatto ambientale possibile”.
Per coltivare questo sogno a gestione familiare si sono unite diverse competenze “che confluiscono tutte nell’attività di gestione della società agricola”, con “Giovanna, laureata in economia; Antonio, formazione legale; Francesca, farmacista”, con il coordinamento di papà Vincenzo che ha dato alla cantina il nome della moglie Dora.
Villa Dora ci tiene a sottolineare che utilizza esclusivamente le uve dei propri vigneti, visto che le sue viti “sono a piede franco e la maggior parte di esse ha un’età media di circa 40 anni”, valorizzate da una particolare esposizione soleggiata e ventilata.
Altro condivisibile vanto, il trattare esclusivamente vitigni autoctoni, quali Piedirosso, Aglianico, Caprettone e Falanghina, in un terreno vulcanico ricco di minerali che “costituisce una fonte preziosa di naturali sostanze fertilizzanti che consentono di accrescere in modo considerevole l’intensità dei profumi e dei sapori”, grazie anche ad attività in vigna come il diradamento, quando “a metà maturazione delle uve, diversi grappoli vengono eliminati, in modo da consentire la migliore evoluzione di quelli che restano”.
Sono però soltanto le migliori uve ad arrivare in cantina, per essere sottoposte a vinificazione mediante tecnologie innovative “confrontando l’esperienza acquisita negli anni con le ricerche di settori di studi specializzati”, avvalendosi di convenzioni con l’Università degli Studi di Napoli Federico II e la Facoltà di Agraria dell’Università di Pisa.
Nel segno dell’identità territoriale, i vini sono tutti Lacryma Christi del Vesuvio, sia i rossi che i bianchi.
I vini rossi sono tratti dal classico connubio di uve Piedirosso e Aglianico: la versione più basica è il Vesuvio Rosso che lascia esprimere in tumultuosa libertà la freschezza dei frutti di bosco e una suadente acidità, per precisarsi poi nel Gelsonero in un bouquet potente e perfino balsamico di erba bagnata e intensità silvestre, mentre il sorso fortemente tannico esprime lamponi, visciole, ribes e melagrana, affiancando una beva vellutata a un corpo spesso.
Se il contributo del legno è moderato nei prodotti prima citati, esso si fa invece più significativo nel Forgiato che punta a una maturazione maggiormente marcata e complessa, portando a profumi ficcanti di sottobosco e aghi di pino che in bocca mutano in sentori di mirtilli, more, pepe nero, erbe officinali e cioccolato, tutto condensato in un sorso corposo e materico.
Un vino sontuoso che richiede un approccio meditativo.
Le declinazioni del Lacryma Christi del Vesuvio Doc Bianco ruotano invece intorno al blend di uve Caprettone e Falanghina: di questa tipologia che comprende anche il Vigna del Vulcano, ci sembra perfetto rappresentante il vino che porta – non a caso – il nome della cantina, quel Villa Dora dotato di un complesso bouquet che unisce fiori e minerali rocciosi, per poi liberare al gusto sensazioni di alloro, avocado e mandarino verde.
Comune a tutte le versioni l’intrigante sapidità, mossa da interessanti echi ipogei e perfino da una gradevole nota sulfurea.
Tutti i dettagli di questa produzione ce li siamo fatti raccontare da Vincenzo Orabona, nel seguente video.
Info: http://www.cantinevilladora.it/index4.asp