U-Tabarka, vini vulcanici e a piede franco dall’isola di San Pietro
Sono talmente tante le particolarità della cantina Tanca Gioia che il suo distributore Proposta Vini ha dovuto inserirla in ben tre dei suoi Progetti: i Vini delle isole minori poiché l’azienda si trova a Carloforte, nell’isola di San Pietro che contribuisce a comporre l’arcipelago del Sulcis, a poche miglia dall’omonima penisola della Sardegna sud-occidentale; rientra anche nei Vini vulcanici perché i suoi vigneti allungano le radici in terreni sabbiosi frutto di “vulcani estinti, poco rimodellati” che “vanno costantemente spietrati e arricchiti con stallatico naturale” che consentono la coltivazione su piede franco ritenuta “la massima espressione varietale delle uve”; proprio quest’ultimo aspetto gli consente di fare parte pure della sezione Vini franchi che riunisce quattordici vigneti in vari luoghi in Italia che testimoniano “la viticoltura per com’è stata praticata per millenni: franca di piede”, rappresentando “un Museo a cielo aperto”.
L’isola vulcanica di San Pietro nei secoli non ha attirato soltanto moltissime specie di uccelli, ma è stata anche oggetto di una singolare colonizzazione da parte di molti abitanti di Pegli, quartiere del ponente di Genova.
Il sito www.pegli.com spiega che alcuni atti legali accertano come “parecchi cittadini pegliesi emigrarono fondando piccole colonie in: Corsica, Sardegna, Sicilia, Alessandria d’Egitto, Provenza, Catalogna e un po’ ovunque per il Mediterraneo”. Uno di questi approdi fu nel ’500 “l’isola di Tabarka al largo della costa tunisina, per praticarvi la pesca del corallo e il commercio in generale”, dove però gli affari dopo un po’ di tempo presero ad andare male, spingendo i pegliesi a guardare con molto interesse l’isola di San Pietro, tanto da stringere nel ’700 accordi come coloni con l’allora monarca Carlo Emanuele III e iniziare una nuova migrazione che segnerà l’identità del luogo in maniera definitiva, a partire dall’adozione del dialetto ligure.
Infatti gli abitanti di Carloforte (detto U Pàize, il paese) “mantengono vive le tradizioni liguri tra i carruggi assolati: pesto genovese e focaccia sono ricordi vecchi di quasi 500 anni fa, quando i pegliesi intrapresero il loro viaggio che dapprima li portò a Tabarka e successivamente sull’Isola di San Pietro”, portando con sé dalle coste tunisine “una tradizione più recente (iniziata solo 300 anni fa): il cous cous, declinato localmente con il nome di cashcà”, mentre “un altro pilastro della tradizione locale è rappresento dal tonno di corsa, pescato da queste parti dalla metà del Cinquecento”.
Un contesto di cui è impossibile non innamorarsi e infatti è quanto accaduto ai due fondatori della cantina, ai quali l’idea venne in mente “durante una notte in barca a vela, una ventina di anni fa”. Sono Carlo Perfetti e Umberto Zamaroni che a distanza di anni abitano tuttora in Lombardia ma si recano tutti i mesi a Carloforte.
Il ben curato sito di Proposta Vini svela che “da anni Carlo ed Umberto frequentavano quella stupenda Isola di San Pietro e accarezzavano l’idea di potervi coltivare una vigna per la riproduzione di vitigni storici autoctoni”, fino a quando nel 2003 “il sogno diventa realtà con la costituzione della società e con il primo impianto su terreno di origine vulcanica e di composizione sabbiosa che ha consentito la coltivazione a piede franco, quindi con percezione integrale delle caratteristiche delle uve”.
Uve che sono Bovale di Spagna ibridato in Sardegna (detto Bovaleddu o Muristellu), Nasco aromatico (Moscato giallo), Moscato bianco di Calasetta, Vermentino e Carignano del Sulcis.
Per passare dalle intenzioni alle azioni sono state necessarie “giornate sotto il sole a picco” con la fatica di uomini e donne impegnati ad armonizzarsi con il clima e l’ecosistema dell’isola che dettano “regole chiare, dure a volte e non si possono discutere, solo accettare”.
Sono così partiti “con Carignano e Vermentino dal 2000, dopo pochi anni abbiamo aggiunto Nasco Aromatico, Moscato di Calasetta e Bovaleddu”.
Da tali uve è scaturita una linea di vini che ha preso il nome U-Tabarka proprio per omaggiare la storia di questa terra e il legame con la citata località tunisina.
L’identità infatti è il primo dei valori dell’azienda, insieme alla “passione di riscoprire e valorizzare i vitigni autoctoni, storicamente coltivati sull’isola”, limitando al minimo gli interventi umani “con trattamenti tradizionali e poca o nessuna irrigazione”, facendo in modo che ogni annata sia particolare.
Per mantenere tanta autenticità, tutti i loro vini “vivono ed evolvono in acciaio e vetro, non facciamo uso di legno”, atto di coraggio in un mondo avvelenato dagli intrugli dell’industria, ma anche di onestà intellettuale verso i veri amanti del vino che prediligono nettari che permettano di individuare i dettagli organolettici delle uve senza interventi invasivi delle tecniche enologiche.
Tutte le vigne “si trovano al centro dell’isola, divise in due grandi appezzamenti: noi le chiamiamo Vigna Alta e Vigna Bassa” e sommate fanno “poco meno di 10 ettari di suolo sabbioso e secco, ideale per una viticoltura di qualità estrema”, ma anche per la coltivazione di viti a piede franco (senza porta innesto di vite americana), caratteristica “molto importante in quanto, secondo i massimi esperti moderni di microbiologia del terreno e secondo gli anziani, il porta innesto si comporta da filtro e snatura ed impoverisce i vini rispetto ad una vite tutta d’un pezzo”. Carignano del Sulcis e Vermentino di Sardegna “coltivati in questo modo hanno un profumo ed una persistenza emozionanti”.
Senza dimenticare che “ogni metro quadro, ogni pianta è in vista del mare e del suo respiro”, dettaglio non da poco se ti trovi a Carloforte.
Tutti i vini portano con sé le peculiarità di tanto rigore programmatico, consentendo di amplificare i pregi donati da una natura generosa.
Come nel caso del Nu Go Quae del 2018, assemblaggio alla pari di Nasco aromatico e Moscato di Calasetta di cui ci siamo innamorati follemente fin dai suoi primi accenni olfattivi di frutta esotica, seguiti al palato da alchechengi, cedro candito e pera Madernassa.
Il retrogusto è pieno di acidità e aromi, con equilibrati richiami alla pasticceria.
Il Vermentino di Sardegna viene proposto in due declinazioni, sempre in purezza, entrambe segnate profondamente da una forte impronta agrumata e dal protagonismo della mineralità: Ventou de Ma però vira più sulla frutta estiva a polpa bianca, nettarine in testa, mentre Giancu si distingue per echi di ananas ed evocazioni di fiori primaverili.
Ancora tra i bianchi il Perdigiournou è il divertissement agronomico della cantina che ha messo insieme 60% Vermentino di Sardegna, 20% Nasco aromatico e 20% Moscato di Calasetta, una killer application edibile alla quale è impossibile resistere, nel suo sprigionare ricordi di zagara al naso, mentre in bocca si dipanano renetta cotta, Susina di Dro e la Pellecchiella del Vesuvio.
Tra i rossi dichiariamo un debole per il supremo Bovale Ciù Roussou U Tabarka 2019 che stordisce con il suo impressionante bouquet di more selvatiche, scatenando al gusto amarena in sciroppo, succo di melagrana, ribes rosso e infuso di rooibos.
Incanta con succulenta acidità, sorso vellutato, corpo avvolgente e un finale delicatamente (e piacevolmente) orientato verso l’abboccato.
Capolavoro.
Il Carignano del Sulcis Roussou U Tabarka ascende sontuoso all’Olimpo della classicità ancestrale, facendoti sentire tutto il vigoroso abbraccio della sua terra, della quale restituisce sapidità ipogea e aromi pedologici di totale originalità, mentre i tannini cavalcano liberi in una prateria di frutti del sottobosco, portandosi dietro note linfatiche di maggiorana e la golosità di spezie come il cardamomo.
Finale interminabile che conduce all’estasi.
Per saperne di più, ascoltiamo la descrizione di questo progetto dalle parole di Giovanni Rombo, nel video che segue.
Info: http://www.u-tabarka.it/
Distribuzione: https://www.propostavini.com/produttori/produttore/tanca-gioia-carloforte