Il caso Caffè Borsa a Rovigo, tra arte minacciata e memoria opaca
Lo scorso 12 agosto di buon mattino, alle ore 06:47, la nostra redazione ha ricevuto una mail non firmata dall’indirizzo [email protected] in cui ci veniva segnalato il caso appena esploso del Caffè Borsa a Rovigo, informandoci che “a proposito del bellissimo (e ora purtroppo profetico)” nostro articolo sul Caffè Borsa di Rovigo (http://www.storienogastronomiche.it/cera-volta-caffe-borsa-rovigo/) “in questi giorni stanno emergendo notizie di un ulteriore scempio ai luoghi identitari di una seppur piccola comunità ed alla memoria storico-artistica”: quello che anche noi avevamo identificato “come uno dei caffè storici, sta per subire una ennesima ferita con la copertura in cartongesso delle magnifiche colonne rivestite in rame smaltato a granfuoco e lavorate a sbalzo opera di artisti di primo piano (Luis Saccardo e Amleto Sartori) e maestranze raffinate (Maestri Ciorba e Santini)”. La missiva proseguiva notando come il nostro articolo lamentasse “dell’oblio in cui cadono storie e personaggi che hanno segnato la storia non solo locale come Dria Paola, oggi siamo addirittura alla cancellazione di un tratto artistico architettonico che ha pochi eguali: forse la targa che ricordava la diva di cui l’autore sottolineava la mancanza nel locale, dovrà essere completata con la scritta qui sorgeva l’antico caffè Borsa”.
Allegata alla mail, la foto sottostante con la didascalia “una delle sei colonne rivestite anno 1953”.
In seguito a nostra richiesta di trasparenza per il dovere deontologico di verificare le fonti, abbiamo ricevuto una seconda missiva elettronica in cui si legge che “tra le persone che stanno conducendo questa significativa azione di tutela risultano, oltre agli eredi degli autori delle opere oggetto di manomissione, l’Arch. Paolo Lodi (autore di una lettera al Gazzettino prima di detti lavori, in allegato) ed altri studiosi dell’arte e architettura che hanno partecipato al dibattito su Facebook”, firmandosi “P.L.”.
Nella prima mail ci è stato segnalato dove attingere informazioni, la pagina Facebook chiamata Rovigo de ‘na volta (https://www.facebook.com/groups/rovigodenavolta/) che ha ripreso un post di Andreina Milan dell’11 agosto intitolato Rovigo. (La città che odia se stessa) e in cui si legge “i bellissimi pilastri decorati di Amleto Sartori – opera elegantissima del 1953 – all’interno dello storico Caffè Borsa, sono stati sterilizzati”, azione stigmatizzata con la sarcastica conclusione “ringraziamo vivamente la sensibilità della Camera di Commercio, della Committenza, dell’impresa esecutrice e soprattutto del Progettista che sicuramente a sua insaputa ha provveduto ad occultare un bene artistico pubblico (e vincolato…)”.
Il post ha avuto il merito di scatenare una discussione, tutta ovviamente tesa a denunciare quanto stava avvenendo alle opere citate e alla memoria stessa di un luogo storico della città.
Il giorno in cui scriviamo queste righe è intervenuto a fare chiarezza un documentato articolo della collega Roberta Merlin del quotidiano Il Gazzettino che informa circa l’interruzione dei restauri citati proprio in seguito alle proteste scaturite e all’intervento del Comune che ha preso la decisione dopo un sopralluogo nel cantiere del locale.
(https://www.facebook.com/photo?fbid=10223807187320448&set=pcb.10223807211921063)
La vicenda adesso passa allo studio degli enti competenti, Belle Arti in testa, ma dall’articolo traspare la possibilità che il nuovo legittimo proprietario del Caffè Borsa, il “colosso dolciario” Borsari, probabilmente stia agendo nel rispetto delle regole commerciali e burocratiche, tra le quali purtroppo non è annoverata la sensibilità artistica: non a caso quando un’azienda agisce a favore della cultura e del benessere collettivo, si usa la definizione di responsabilità sociale d’impresa, quasi a sottolineare che si tratta di una gentile concessione dell’industriale di turno e non di un obbligo normativo.
Si sono dunque levati gli scudi per le opere d’arte contenute nel locale, ma si continua a ignorare l’affascinante figura di Dria Paola a esso legata e quindi possibile spunto di storytelling da associare a questo bar storico, trattandosi di una diva del cinema nel periodo del passaggio dal muto al sonoro nata a Rovigo nel 1909 con il nome di Pietra Giovanna Matilde Adele Pitteo, figlia di Ione Volebele che era proprio la proprietaria del Caffè Borsa di piazza Garibaldi nel centro rodigino.
Al tempo del nostro articolo facemmo notare “che ci saremmo attesi di trovare all’interno del locale una celebrazione dell’attrice, o almeno qualcosa che ne ricordasse il legame con il Caffè”, visto che altrove in città non avevamo trovato traccia evidente di un ricordo di Dria Paola, entrata nella storia come “prima attrice del sonoro”: oggi osserviamo che ci si batte giustamente per alcune opere figurative ma si continua a snobbare un’artista indigena, esponente di un periodo eroico della Settima Arte, la quale in ambito locale ha ottenuto sporadici tributi, come nella bella mostra Cinema! Storie, protagonisti, paesaggi. Raccontare il Polesine allestita nel 2018 a Palazzo Roverella a Rovigo a cura di Alberto Barbera, o la serata a lei dedicata nel corso della manifestazione Rovigoracconta 2020.
Davvero inspiegabile (e dolorosa per un osservatore culturale esterno) questa rimozione dell’attrice dal sentimento comunitario di Rovigo, fenomeno che forse andrebbe indagato sotto l’aspetto sociologico.
Ultima nota, le opere per le quali adesso si chiede giustamente tutela non ci risulta che fossero maggiormente valorizzate dalle precedenti gestioni del locale, come abbiamo avuto modo di notare durante la realizzazione di un nostro reportage negli scorsi anni.
Guardando attentamente le nostre foto pubblicate a suo tempo, infatti, si poteva notare come alcune delle medesime opere d’arte che oggi si vogliono salvare non fossero depositarie di grande attenzioni: talune venivano coperte da anonime piante che le nascondevano parzialmente al pubblico come se fossero semplici decori…
… mentre su altre addirittura si appendevano orologi e calendari.
Forse allora la disattenzione verso questi beni artistici parte da più lontano…
Se la comunità rodigina in passato non ha manifestato apertamente di ritenere le opere del Caffè Borsa come parte delle proprie radici identitarie, ciò può avere spinto a sua volta l’imprenditoria che si è succeduta nel tempo alla guida del locale a non dare la dovuta importanza a tali espressioni artistiche e quindi a non trattarle come avrebbero meritato.
La protesta attuale, al di là del risultato edilizio concreto che otterrà, avrà certamente il merito di fare comprendere a tutta Rovigo che la città è depositaria anche di questo ulteriore giacimento di bellezza, spingendo magari i cittadini a una maggiore consapevolezza e diffondendo lo stimolo a proteggere i propri simboli.
Perché nemmeno il più estremo ma lecito pragmatismo imprenditoriale ha interesse ad andare contro un sentimento popolare, purché questo sia solido e non occasionale.