Angelica, cantina trentina che ricerca uve dimenticate per grandi vini
L’attitudine congenita del distributore trentino Proposta Vini a impostare il proprio lavoro come un operatore culturale ha tra le sue basi il nobile progetto della cantina Angelica che agisce alla stregua di una soprintendenza: infatti conduce autentici scavi archeo-botanici alla ricerca di vitigni storici perduti del Trentino, ne approfondisce lo studio scientifico per acclararne le peculiarità ampelografiche, li recupera con la stessa cura di un restauratore verso un antico reperto, ne afferma il valore storico esponendoli in un museo a cielo aperto, quindi li valorizza riportando sulle tavole i vini che se ne traggono, compiendo così una divulgazione di pari rilevanza rispetto a quella di libri, strumenti didattici e dispositivi gnoseologici.
(particolare di alcune vecchie piante del vigneto El Zeremia, su piede franco, sito in località Sperdossi, nel comune di Revò)
Si comprende quindi che siamo molto oltre la semplice responsabilità sociale d’impresa, il mecenatismo e la filantropia, bensì ci troviamo nell’ambito di una rigorosa e appassionata missione socio-antropologica sviluppata attraverso un ammirevole impianto educativo fatto di documenti remoti, scoperte agresti e vivide vestigia della civiltà contadina, dove la potente azione pedagogica avviene tanto con strumenti scientifici quando con prodotti ludici, mettendo insieme nettari squisiti per il palato, stimoli alla curiosità per la mente e perfino lampi di poesia per la sensibilità dell’animo.
Angelica oltre che una cantina è dunque “il braccio operativo di Proposta Vini nell’ambito della ricerca”: tecnicamente si tratta di un’azienda formalmente iscritta nel registro delle imprese agricole, ma in realtà “la sua reale funzione non è quella di creare reddito lavorando la terra ma di supplire alla latitanza di molti produttori: in pratica, attraverso essa, sono state piantate, tutte quelle varietà che nessuno voleva” spiega Gianpaolo Girardi, il titolare dell’iniziativa che da sempre al pragmatismo dell’imprenditore illuminato associa la profondità dell’intellettuale.
La cantina Angelica, con epicentro in Civezzano, quindi “supporta le ricerche sul campo di Proposta Vini e cura il Vivaio Matonari, collezione nella quale sono presenti oltre cento varietà storiche d’uva coltivate nella provincia di Trento prima della Grande Guerra e che sono servite per il reimpianto a molti produttori facenti parte del progetto Vini dell’Angelo” di vitigni rari e sconosciuti ma dagli esiti eccezionali in fase di vinificazione come Valderbara, Lagarino Bianco, Portoghese, Turca, Pavana e altre ancora, tutto su due ettari vitati.
(a sinistra il Lagarino Bianco, a destra la Valderbara)
Il progetto Vini dell’Angelo è vocato a supportare concretamente il genius loci, attraverso tale opera di salvataggio dall’oblio di perle vegetali ataviche che rappresentano radici identitarie delle collettività del Trentino, promuovendone la coltivazione, la vinificazione e la commercializzazione affinché bevendo i vini “prodotti con uve coltivate nel Tirolo Italiano fino alla caduta del mondo asburgico, ci possiamo calare, con un po’ di fantasia, nell’atmosfera dell’Austria imperiale con le musiche degli Strauss, immaginando la fatica dei contadini nel solleone estivo oppure il paesaggio senza macchine, grattacieli, autostrade, viadotti e funivie”.
Il rigore dell’iniziativa è confermato dal supporto della Fondazione E. Mach di San Michele all’Adige, dalla quale fanno notare come grazie a essa “molti dei vitigni antichi, spesso volutamente dimenticati, sono stati (re)iscritti nel Catalogo Nazionale delle Varietà di Uva da Vino”, restituendo così “dignità a questi antichi vitigni, permettendone la coltivazione e la vinificazione, per ottenere prodotti unici e di territorio” capaci di restituire “anche e soprattutto antichi profumi e sapori”.
Profumi e sapori di cui adesso si può godere nelle tante versioni enoiche scaturite dal lavoro delle circa venti cantine che hanno aderito al progetto, creando un mosaico vinicolo di rara originalità organolettica che sta conquistando un sempre maggiore numero di appassionati (https://www.propostavini.com/i-nostri-progetti/vini-dellangelo/).
La base del progetto è individuabile nella Collezione Matonari, comprendente esattamente centoventiquattro varietà di uve antiche un tempo coltivate in Trentino, per la maggior parte in un tempo antecedente la Prima guerra mondiale.
Circa una trentina di piante sono invece degli ibridi piantati nella provincia di Trento tra gli anni ’20 e gli anni ’30 del secolo scorso.
Si parla di vitigni come il Raggio d’Oro che era presente esclusivamente nel territorio di Pergine Valsugana, in particolare nelle località di Serso e Viarago, all’imbocco della Valle dei Mocheni e più precisamente quindi a Canezza, Portolo e Brazzaniga.
(San Lorenzo)
Con questo criterio selettivo la Collezione riesce a rappresentare tutte le antiche zone vinicole del Trentino, da Storo a Capriana, passando per l’alta Val di Non, la bassa Vallagarina e la valle di Terragnolo.
Forte quindi il legame tra alcuni vitigni e specifici territori.
Come la Brentegana che viene dalla Vallarsa situata tra Rovereto e Vicenza, in particolare da Anghebeni, frazione del comune omonimo della valle.
O il Negron, conosciuto anche come Grande Negrara, varietà tardiva presenta dalla frazione Visintainer nel Comune di Pergine fino al lago di Levico.
A questo punto Gianpaolo Girardi usa apertamente e condivisibilmente il termine di museo per tale realtà, il cui nobile compito è conservare le memorie di decine di viticultori che hanno ereditato dai loro avi conoscenze ancestrali che risalgono a secoli se non millenni passati.
(vite di oltre due secoli presente nel vigneto Còi, sito a Brentino Belluno, coltivato a Lambrusco a Foglia Frastagliata)
A ciò si aggiunga l’azione di tutela di diverse forme di biodiversità, quella propriamente detta riguardante le piante e le uve, quindi l’altra metaforica di tipo culturale riferita a un patrimonio di conoscenza che rischiava di scomparire poiché fino a oggi trasmessa soltanto per via orale.
A tutto ciò si aggiunge un lavoro di documentazione che comprende vecchi volumi, interviste e foto ad hoc che testimoniano tale modo di vivere la vitivinicoltura nel passato.
In ogni vigneto è presente un cartello che ha lo stesso valore dei pannelli nell’ambito di un’esposizione museale: in alcuni casi si parte dall’indicazione “qui si coltiva uva…” seguita dal nome della varietà e perfino delle sue ulteriori declinazioni lessicali, come per il San Lorenzo, dove appaiono perfino dei versi delle Poesie di Paolo Poli…
… mentre in altri campi coltivati si trovano tabelle nelle quali sono indicati i vitigni coltivati insieme all’esatta altitudine del vigneto.
Due le referenze di cui si può godere nel bicchiere, entrambe anche sensorialmente all’altezza delle intenzioni del progetto.
Lo Pfersen Rosso nasce da “uve diverse con percentuali non quantificabili di Lagrein, Pinot Nero, Negrara, Pavana, Rossara e altre” provenienti da vigneti che si trovano tra Collina di Serso, Casalino e Vigalzano, tutti con allevamento a pergola trentina e spalliera, con “alcune viti molto vecchie (anche più di cent’anni), altre di varie età, alcune recenti” che affondano le radici in un terreno di medio impasto, porfirico.
La vendemmia avviene con modalità manuale in cassetta con selezione in vigna a settembre, la vinificazione “in rosso con tutte le uve assieme, a temperatura controllata in serbatoi d’acciaio” e sempre in acciaio per cinque mesi si svolgono maturazione e affinamento.
(Pavana)
Al naso trasmette composta di lampone, mentre in bocca si presenta ben acido e sapido veicolando fragolina di bosco, melagrana, gelso nero, insieme a note di cirmolo e di radice di liquirizia. Sarà una suggestione, ma se ne avverte una certa impronta selvatica.
La beva è entusiasmante, facile e scorrevole, resa ancor più raffinata da un corpo esile quanto elegante.
Incanta il finale zuccherino e sfacciatamente spiritoso.
Il Ros De Sers è frutto di vitigni tradizionali coltivati sui pendii di Serso e Viarago quali Negrara, Schiava, Pavana, Turca e Tintoria, allevati a pergola trentina in impianti che vanno dal 1930 ai giorni nostri, su terreno a medio impasto argilloso porfirico.
Anche qui la vendemmia è manuale ma avviene dopo metà ottobre, quindi segue la fermentazione in botti di acciaio con le bucce per circa dieci giorni.
(la Turca)
L’olfatto avverte la prugna matura, il palato riconosce invece la susina di Dro, il sorbo, la barbabietola, con screziature di pepe di Sichuan e cioccolato fondente.
Si distingue per la complessità sensoriale che irretisce fin dal primo sorso.
Non potevamo esimerci dal chiedere a Gianpaolo Girardi un approfondimento circa questo progetto così prezioso: lo trovate nel video dell’intervista da noi realizzata, disponibile qui di seguito.
Info: https://www.propostavini.com/produttori/produttore/angelica/