Rore, cantina che racconta la Valsugana e ha salvato la Vernaza Zinesa
E’ tempo che la Valsugana riconquisti centralità nella produzione vitivinicola del Trentino, quella celebrata già da testi scientifici del ’600 che ne esaltavano tale vocazione agricola, accompagnata dalla memoria storica di fine ’800 con la fondazione nel Borgo omonimo di una cantina sociale in grado di diventare punto di riferimento per l’approvvigionamento di vino per l’Impero Austro-Ungarico: tutto ciò accadeva ad appena tre chilometri da Telve, paese di neanche duemila abitanti in provincia di Trento dove sta facendo scalpore la cantina Rore, in grado di recuperare cotanto nobile lignaggio con un’azione che assembla storia familiare, sensibilità moderna e grandi capacità artigianali.
Siamo “sui pendii che dal Brenta portano fino al paese di Telve, nell’unico punto nel quale la zona vinicola Valsugana si allarga e dove, un tempo, si produceva molta uva, destinata anche al mercato oltreconfine”: è qui che opera Matteo Ferrai, con passione e metodo ereditati da papà Franco.
L’attività dell’azienda agricola della famiglia è stata iniziata dal nonno di Matteo che si basava sull’osservazione empirica della realtà rurale intorno a lui che da sempre vantava lunga tradizione contadina: è partito così dall’allevamento delle mucche, fino a quando negli anni ’80 non ha deciso di partecipare alla profonda riorganizzazione collettiva dell’agricoltura della zona, passando dalla pratica estensiva a quella intensiva legata all’ambito frutticolo o viticolo.
Per parlare di vera e propria azienda vitivinicola bisogna però aspettare la fine del secolo scorso, appoggiandosi su impianti messi a dimora da nonno e padre di Matteo, procedendo così anche alla trasformazione dell’uva in vino.
Una produzione limitata per ettari vitati e bottiglie realizzate, ma proprio per questo di elevatissima qualità garantita dal favorevole contesto pedo-climatico che attraverso una forte escursione termica tra ore diurne e notturne consente una virtuosa maturazione delle uve con un livello di acidità ideale per lo spettro aromatico delle uve.
Sono le basi programmatiche che hanno consentito a Rore di svolgere anche un’operazione culturale di massima importanza per il Paese e tutta la nostra civiltà, il salvataggio dall’estinzione della varietà di uva chiamata Vernaza Zinesa (storpiatura di Vernaccia Senese), grazie all’inserimento di essa tanto nel progetto Vini dell’Angelo quanto nella collana Vini nelle Città Italiane, iniziative del distributore trentino Proposta Vini la cui missione è il salvataggio della biodiversità naturale insieme alla tutela delle radici antropologiche della regione, nonché l’affermazione del pregio intellettuale del vino associato alla letteratura e a ogni contesto di cultura identitaria.
Del Progetto Vini dell’Angelo che “recupera e colleziona le varietà d’uva presenti in Trentino fino alla fine della Grande Guerra, ne promuove la coltivazione, la vinificazione e la commercializzazione” vi abbiamo parlato più volte, meno della quasi ventennale pregevolissima collana editoriale I vini nelle città italiane che narrandone sette in altrettanti libri descrive al tempo stesso “le tipologie di vini che venivano consumate nell’arco di alcuni secoli, dal XV al XIX”, per chi “nell’offerta enoica, voglia riportare all’indietro le lancette della storia”.
Una collana realizzata insieme a Iris Fontanari Martinatti, ricercatrice storica e scrittrice che firma anche il volume Trento. La città del concilio (Proposta Vini, Ciré di Pergine Valsugana, dicembre 2015) dove si può leggere che “molto diffusa in varie zone del Trentino fin dal secolo XVI era la Vernaccia trentina, chiamata anche Vernazzola e/o Cinese, coltivata soprattutto nel fondovalle per produrre vini da esporto, in particolare nel periodo precedente la fillossera”.
Si riportano anche le parole dell’Almanacco Agrario che ne parla nel 1898: “fra le varietà di vitigno ad uva bianca la più diffusa è la Vernaccia bianca, specie nelle plaghe di pianura anche soggette ad acquitrini; il vitigno è robusto e assai fertile e dà un vino gustoso di molto corpo… questa varietà d’uva è veramente preziosa per terreni umidi di pianura dove nessun altro vitigno prospererebbe” (De Carli G., Viticoltura, in “Almanacco Trentino”, Trento 1898, p. 261.)
Secondo altri studiosi si tratta della stessa varietà che “in Veneto è chiamata Bianchetta trevigiana” corrispondendo alla Bianca gentile di Fonzaso e alla Pavana bianca del Feltrino, mentre nel Trentino è la Vernaccia, Vernazza o Vernaz (Cosmo I. – Polsinelli M. – Sardi F., Bianchetta trevigiana, in “Principali vitigni da vino coltivati in Italia”, vol. II, Treviso 1962, p. I).
Ma è nella Bassa Valsugana (da Novaledo a Primolano) che “la Vernaccia trentina è chiamata Cinese: questo nome, nella zona di Bassano del Grappa e sui Colli Euganei, era sinonimo di Senese, perché riferibile ad un vitigno di provenienza toscana […]. Dal nome Vernaccia Senese si è poi passati al solo Senese e, infine, con una leggera storpiatura dei primi due suoni, a Cinese, seguendo un tracciato che partendo dalla Toscana e passando per i Colli Euganei, arriva in Valsugana”.
Sotto l’aspetto socio-economico del posto, prima dell’invasione della fillossera “la Vernaccia trentina svolgeva, nella nostra vitivinicoltura, un ruolo di primissimo piano”, mentre in seguito “la sua importanza andò sempre più diminuendo”.
Dal punto di vista ampelografico “il grappolo a maturità è medio, compatto, conico e molto serrato; l’acino, pure medio, è subrotondo, pruinoso e con la buccia verde-giallastra molto dura; la polpa è molto mucillaginosa e ha un sapore poco spiccato”, mentre “il vino è poco alcolico, con aroma fruttato e leggermente speziato, il retrogusto è leggermente amarognolo”.
Durante la degustazione, la Vernaza Zinesa di Rore del 2018 ci ha incantati e commossi: a un corredo di fiori primaverili nel bouquet abbiamo trovato affiancato un ancestrale tocco di pietra focaia, mentre al gusto si presenta intensamente sapido e perfino con note aspre da limone verdello, insieme a susina gialla e alla confermata screziatura amaricante della genziana.
Dal corpo esile ma stuzzicante, irretisce a lungo con il suo finale minerale.
La cantina si distingue anche per le bollicine, come quelle a metodo classico del Trento Vallis Ausuganea da blend di Chardonnay e Pinot Nero il cui ficcante profumo floreale vede in evidenza il gelsomino, mentre dall’osservazione di un gradevole e compatto aspetto petillant si passa a un sorso cremoso che veicola al palato dense sensazioni di albicocca, pesca, cedro ed erbe di campo spontanee.
Beva che entusiasma richiamando alla mente significative espressioni champenois d’Oltralpe.
Si deve invece al metodo Martinotti la bolla piena e golosa dell’Agità Brut, assemblaggio di 80% Chardonnay e 20% Pinot Nero che al naso seduce con la zagara, mentre in bocca evoca yuzu, mango e note di panificazione.
Come base del vino precedente, utile un passaggio dallo Chardonnay della casa dal bouquet così fortemente caratterizzato dalla mela da suggerire perfino il sidro, mentre il palato riconosce pesca a polpa bianca, mandarino e alchechengi.
Cambiamo bacca per il Rebo Rore Nero che i frutti di bosco li rende protagonisti sia al naso che in bocca, con in evidenza amarena, corbezzolo e un accenno di cannella.
Un percorso di pensieri applicati e vini palpitanti che fanno innamorare della Valsugana, della sua gente, delle sue tradizioni, dei suoi sapori, grazie alla rarissima capacità dei nettari di Rore di trascinarti nel suo mondo a ogni sorso.
Info pagina Facebook: Azienda Vitivinicola Rore
Distribuzione: https://www.propostavini.com/produttori/produttore/rore-franco-ferrai/