I vini autoctoni della Svizzera Italiana, snobbati dagli stessi ticinesi
Il vino ticinese offre scoperte ma soffre complessi. I produttori sottovalutano le delizie autoctone che producono, i rivenditori sminuiscono i vini contadini che vendono, i consumatori denigrano i vini locali che consumano. Un circolo vizioso che ha relegato in un cono d’ombra i vini della tradizione e fatto lievitare i prezzi dei vini omologati che scimmiottano i francesi.
A Lugano ci è capitato di dovere difendere le qualità del vino ticinese nel corso di una discussione con un giovane energumeno locale che bazzica nel mondo della musica. Afflitto da un complesso di inferiorità, il ragazzotto si è messo a strepitare in pubblico che “il Merlot ticinese fa schifo!”, blaterando frasi sconnesse a favore della modernità tecnologica della Svizzera e negando invece l’anima profondamente contadina di questa terra.
Pur essendo il protagonista di quanto raccontato da persona di poco conto e di basso profilo intellettuale, questo episodio testimonia comunque l’atteggiamento autolesionistico di tanti, troppi ticinesi verso i propri tesori enologici.
Rischia così di sparire un vino identitario come quello ottenuto dall’uva autoctona Bondola, i cui produttori ormai si contano sulle dita di una mano, mentre tempo fa era il vitigno principale della Svizzera italiana.
Paradossalmente, chi ci crede di meno sembra essere proprio chi lo produce.
Abbiamo contattato alcune delle poche aziende che ancora lo vinificano, come Mondò, Albaino e Pizzorin, ma soltanto quest’ultimo ha avuto la grazia di risponderci. Nel corso di un’interessante telefonata, ci ha confermato il complesso di inferiorità di cui soffre il mondo del vino ticinese, il quale riflette una sorta di vergogna di tanti nella Svizzera italiana di ricordare le tradizioni di una volta, quando la vera anima del popolo ticinese non era chiusa in una fredda banca o prigioniera dell’alta finanza, bensì era intrisa della terra lavorata con fatica e della semplicità di un mondo agreste oggi invece sottovalutato e perfino dileggiato dai giovani rampanti dall’animo provincialotto.
Pizzorin ha concordato con la necessità invece di accendere maggiormente i riflettori sull’agroalimentare ticinese e di agire per recuperare e tutelare l’antica enogastronomia del territorio.
Paradossale invece non avere ricevuto la cortesia di una risposta da Albaino, visto che il suo è stato l’unico esemplare di Bondola che abbiamo trovato in vendita a Lugano nel momento della nostra ricerca, scovandolo alla Fiaschetteria Italiana di corso Pestalozzi. Abbiamo scritto mail e fatto telefonate ad Albaino, senza trovare disponibilità al dialogo, come se all’azienda non interessasse diffondere la conoscenza di un suo stesso prodotto, in cui evidentemente non deve credere più di tanto.
Veniamo però alle caratteristiche di questo vino. Di difficile approccio, la Bondola di Albaino ti accoglie con un’invasione di acidità e l’ostilità tipica del vino rurale. L’ossigenazione poi smussa questo spigolo, facendo emergere lentamente un netto sentore di mora. Con la permanenza nel bicchiere, cresce la sua personalità semplice, esprimendo la singolarità di un autoctono fragile ma sincero.
Il Bondola è un vino difficile, certamente, lontanissimo dal gusto ruffiano dei vini internazionali tutto velluto. Non a caso anche dei vini tratti dalla Bondola abbiamo sentito sempre e soltanto parlare male in Canton Ticino, con il solito letterale “fa schifo” rivolto a questo vitigno.
Ignoranza? Disinformazione? Insensibilità enoica? Forse un po’ di tutto questo concorre alla scarsa fortuna della Bondola, insieme alla mancanza di una incisiva attività di promozione che porti alla conoscenza dell’importanza di questo vitigno autoctono e quindi alla sua (ri)scoperta da parte dei consumatori.
Sempre alla Fiaschetteria Italiana di Lugano, è possibile acquistare un altro ricordo dell’enologia rurale ticinese, il Nostrano.
Considerato, ancora una volta snobisticamente, un “Merlot declassato”, si prende la rivincita nei grotti, dove è il re della tavola imbandita in maniera tradizionale per accompagnare cibi campagnoli, la vera natura del Ticino. Anche qui ritroviamo la Bondola che, nel tagliare il Merlot, dona un punta di amaro e rende originale il gusto antico di questo vino. Il Merlot qui utilizzato proviene dagli scarti della vinificazione considerata superiore, per un difetto di maturazione o perché gli acini sono troppo piccoli: eppure qui si esprime in maniera sincera, senza essere drogato dal legno e dal lungo affinamento.
Date le asperità tanniniche di questi vini, meglio abbinarli ai possenti salumi di altura del vicino Canton Grigioni, come la Carne secca di Andeer, trama della carne ben fitta e gusto molto sapido.
Per un tipico fine pasto ticinese, immancabile il Grappino, distillato di uva americana tipico del Cantone, realizzato con uve ibride coltivate in tutto il territorio, tanto da rappresentare un elemento caratteristico delle pergole locali.
Amaro come un distillato di ruta, colpisce la sua prepotenza erbacea che lo rende davvero digestivo. Gusto pulitissimo e rinfrescante, nel finale lascia un’inattesa nota di dolcezza.
Grappa dura e netta, ma non ostica. Come l’antico spirito dei ticinesi.