Il Drago Alato a Magré (Lavarone) in Trentino, monumentale scultura lignea memoria di un disastro
Vaia è il nome con cui è passato alla storia un disastroso sconvolgimento meteorologico che nell’ottobre del 2018 ha lasciato ferite profonde in Trentino, dove ancora trema il sangue nelle vene dei testimoni al pensiero di quella violentissima tempesta e dei furibondi venti che stracciarono dal suolo enormi quantità di alberi proiettandoli in un folle volo capace di evocare l’Apocalisse: un trauma dal quale la volenterosa gente del posto ha voluto riprendersi presto con sacrificio ma anche velocità d’intervento, con un’azione collettiva alla quale ha partecipato il mondo dell’arte, tramite la creazione di un’opera monumentale capace di strabiliare ogni visitatore, il Drago Alato, scultura lignea che il suo autore Marco Martalar ha stagliato su un rilievo di Magré che si sporge sul panorama incantevole dell’Alpe Cimbra.
Iniziativa e collocazione non casuali, poiché già in partenza il Trentino è la regione d’Italia in cui la creatività si sposa maggiormente con le ragioni della Natura, come testimonia il primato di esposizioni d’arte en plein air, una delle quali, tra le più suggestive in assoluto, si trova proprio nel comune di Lavarone del quale Magré è una frazione, titolare dell’allestimento Il Respiro degli Alberi, frutto della sensibilità dell’amministrazione locale oggi ben guidata da Isacco Corradi, attivissima sotto l’aspetto culturale.
In questo contesto Martalar ha deciso di riportare la bellezza facendola risorgere dalla distruzione stessa, usando per l’opera “l’abete bianco più alto d’Europa morto proprio a Lavarone nel novembre del 2018 a seguito di Vaia”, come riportato dal sito TrentinoCultura del Dipartimento Cultura, Turismo, Promozione e Sport (https://www.cultura.trentino.it/Tour-virtuale-nei-tesori-del-Trentino/Il-Drago-in-legno-piu-grande-d-Europa), aggiungendo che “il legno utilizzato per la realizzazione dell’opera non è stato trattato e proprio per questo motivo il possente Drago col passare del tempo e degli anni a poco a poco scomparirà sposando appieno la filosofia dello scultore legata al concetto naturale di morte e decomposizione”.
Il risultato è una scultura alta più di 6 metri e lunga 7 composta da una copiosa serie di lunghe liste legnose fissate dalla severità del ferro, tese tutte a comporre continue onde che rendono sinuoso e scattante ogni volume, come saettanti fasci di nervi scoperti visibili grazie a una scarnificazione non violenta ma certamente metaforica.
L’opera riesce nell’intento ossimorico di trasmettere l’idea di una lunga e meditata preparazione progettuale della materia, quasi di impianto architettonico, ma al tempo stesso giunge potente all’animo dell’osservatore un’urgenza fibrillante dell’autore dal carattere istintivo, come se si trattasse di un ready made spinto da tormento michelangiolesco.
Un capolavoro di grazia e intelletto con la rara virtù di arrivare a tutti gli osservatori, ciascuno con i propri strumenti cognitivi ma tutti accomunati dal monito di quello sfogo degli elementi che ci ha resi ancora una volta collettività, sia pure con il solo nodo di uno sguardo.