Tenuta del Meriggio in Campania, l’antica magia dei vini dell’Irpinia
Se non dovesse bastare una serie di vini meravigliosi a elevare lo spirito, ecco concorrere la poesia, il sogno, l’idillio bucolico, l’incanto stendhaliano, perfino la magia, tutti nutrienti di un mondo a parte chiamato Tenuta del Meriggio, iconica definizione della cantina in contrada Serra a Montemiletto in provincia di Avellino scaturita dallo sturm und drang enoico di Bruno Pizza.
Una spremuta di romanticismo ottocentesco attualizzato nel cuore dell’Irpinia, in cui dal 2009 Bruno fa vino con il supporto “della giovane e determinata figlia Emilia”.
“Le cose migliori nascono dalla semplicità” dicono dalla cantina che dedica il suo primo pensiero alla bellezza del posto in cui il fondatore ha deciso di vivere, lavorare e fare vino: “già percorrendo le prime curve della provinciale che porta al Passo della Serra il visitatore è conquistato dalla bellezza singolare di questa parte della terra Irpina che divide la valle del Sabato da quella del Calore; terra da millenni nota per la coltivazione della vite a cui é naturalmente vocata; ed è qui sulla Serra di Montemiletto, a circa 550 mt di quota, che si adagia la Tenuta del Meriggio al centro della quale è stata posta la moderna cantina”.
Un ritratto impressionista in grado di trasmettere come l’attività della Tenuta del Meriggio “nasce dalla passione per i vigneti prima che per gli inarrivabili vini che da essi si producono in questi luoghi”.
Ci si rivolge al lirismo anche per il nome scelto per l’azienda: “ci piace riferirlo all’atmosfera che si plasma, specie nelle tremule ed assolate controre estive, quando su questi colli il tempo sembra sospeso e l’aria pervasa da un’antica magia”.
La filosofia della Tenuta è rigorosa, basandosi “sulla scelta produttiva di utilizzare, valorizzandole al massimo, le uve dei propri vigneti partendo dalla certezza che essi sono impiantati su terreni eccezionalmente vocati e nella convinzione che la qualità nasca innanzitutto in vigna”.
Così l’ammirazione per il territorio si traduce in rispetto del terroir “inteso come l’interazione indissolubile tra fattori pedoclimatici, vitigni impiantati, l’intervento dell’uomo tramite aggiornati sistemi colturali, moderne tecniche di vinificazione e tradizionali metodiche di affinamento in cantina”, raffigurando “l’unica strada percorribile per tendere al massimo della qualità”.
Anche quando si è trattato di realizzare la moderna cantina è stato seguito un pensiero alto ed evoluto, ricorrendo ai principi della sostenibilità ambientale: “la produzione di acqua sanitaria ed elettrica viene soddisfatta, nelle ore diurne, da pannelli termici e fotovoltaici e le acque meteoriche sono conservate in un piccolo lago dove vengono convogliate anche le acque reflue filtrate mediante un complesso impianto di fitodepurazione; la grande sala di vinificazione è attrezzata con innovativi impianti e contenitori inox tutti termoregolati”.
La bottaia invece “è stata ricavata nella parte interrata dell’edificio, ricoperta da un tetto verde e con umidità garantita da una parete mantenuta costantemente bagnata dall’acqua che filtra dal terreno: questi accorgimenti, insieme al silenzio e l’assenza di vibrazioni, consentono l’invecchiamento e la conservazione dei vini nelle grandi botti di rovere e nei pregiati tonneaux”.
Acquista in tal modo ancora maggiore spessore uno slogan come “la nostra visione è verde, come l’Irpinia”, riferito all’impegno dell’azienda a ridurre al minimo il suo impatto ambientale: “le nostre vigne vengono coltivate ed i nostri vini prodotti con il minor utilizzo possibile di prodotti chimici, ricercando la naturalezza; preservando il più possibile la biodiversità, lasciando aree a bosco lungo e dentro i nostri terreni, puntando a essere energeticamente indipendenti entro la fine del 2023”.
La vinificazione a sua volta è improntata a pari rigore: “i nostri vini sono tutti prodotti esclusivamente con mosto fiore da uve provenienti da terreni di proprietà; le nostre uve vengono tutte raccolte rigorosamente a mano e trasportate in piccole ceste fin dentro la cantina”.
Tutte identitarie le uve impiegate, tanto che la Tenuta nel presentare i vini svolge un’azione divulgativa a loro favore.
Così racconta che “la coda di volpe è un antico vitigno campano conosciuto già ai tempi dei romani come cauda vulpium: un tempo era considerato un vitigno di secondo piano utilizzato esclusivamente come uvaggio, oggi, grazie alla vinificazione in purezza con metodiche moderne, ha raggiunto livelli qualitativi elevatissimi”.
In purezza nell’Irpinia Coda di Volpe, si presenta con un bouquet floreale dove si ravvisano margherite e gelsomino, portando in dote al palato invece limone sfusato, mandarino verde e maracuja.
Sapidità e acidità sono così intense da renderlo particolarmente goloso.
Per il Fiano di Avellino il vitigno viene coltivato su una vasta area della provincia omonima nei comuni maggiormente vocati per la sua coltivazione.
All’olfatto spicca una complessità che aggrega zagara e bacche di sambuco, portando in bocca pesca, mela, cedro e un accenno di miele d’acacia.
Pur contemplando mineralità e acidità, spicca soprattutto per la freschezza del sorso.
Per il “nobile vitigno di antichissima origine” chiamato Greco di Tufo lo storytelling diventa ancora più generoso: è molto diffuso sul territorio campano ma “è una cultivar diversa che trae origine da viti di greco provenienti dalla collina di Cicala nel territorio di Nola e trapiantate nell’agro di Tufo intorno al 1660 da Scipione di Marzo che dal casale di San Paolo Belsito si trasferì nei possedimenti della moglie, siti appunto in Tufo; oggi esprime tutto il suo potenziale in un’area non particolarmente estesa in provincia di Avellino centrata sul comune di Tufo ed altri sette comuni limitrofi”.
Intrigano l’olfatto i toni floreali arricchiti da quelli pannosi, mentre al gusto si riconoscono cedro, olivello spinoso, susina gialla e ruta, con un retrogusto erbaceo che impreziosisce il sorso.
Per i rossi apertura d’obbligo con sua maestà l’Aglianico, un “vitigno conosciuto già in tempi antichissimi, originario della Grecia” che presenta diversi biotipi.
L’Aglianico Irpinia esprime la sua forza aromatica fin dal bouquet segnata dal tabacco, arricchito da caffè e chiodi di garofano, per poi tradursi al palato in mirtillo, liquirizia, pepe e cioccolato.
L’Aglianico in purezza ha altre due declinazioni per Tenuta del Meriggio.
Il Taurasi che dopo una lunga macerazione con le bucce “matura prima per 24/36 mesi in grandi botti di rovere e poi in bottiglia per almeno un anno prima della commercializzazione” esprimendo tutto il corredo olfattivo del sottobosco e trasportando al gusto ciliegia, cioccolato fondente, mora di rovo e una sublime screziatura d’arancia.
Il Campi Taurasini “dopo una breve macerazione sulle bucce per 15-20 giorni in acciaio viene affinato per almeno di 12 mesi in grandi botti di rovere e successivamente per non meno di 6 mesi in bottiglia”, giungendo a esprimere un bouquet di ficcante intensità che intreccia muschio, spezie e cuoio, una complessità capace di mettere insieme in bocca prugna, sorbo, mirtillo, rabarbaro e karkadè.
Suadentemente corposo, dal sorso cremoso, seduce con il suo piglio zuccherino affiancato a uno stuzzicante retrogusto amaricante.
Abbiamo chiesto a Bruno Pizza di arricchire di particolari la narrazione del suo mondo e della produzione che ne scaturisce: lo ha fatto nel video che trovate subito dopo.
Info: https://www.tenutadelmeriggio.it/
Distribuzione: https://www.propostavini.com/produttori/produttore/tenuta-del-meriggio/