Museo del Brigantaggio di Itri (LT), ricostruzione di un dramma del Basso Lazio che riguarda tutti
Le esposizioni dedicate al fenomeno dei briganti in varie zone d’Italia rappresentano la più elevata operazione civile legata ai beni culturali, poiché recuperano verità storiche scomode affossate dalla retorica di Stato, riaprono ferite sociali ancora tutte da medicare, combattono fake news secolari e con coraggio pongono sotto i riflettori gravissime responsabilità del Potere costituito che hanno affossato economie locali già fragili e condannato comunità remote a portare zavorre capaci di frenarne lo sviluppo: di tutto ciò è luminoso esempio lo straordinario Museo del Brigantaggio di Itri in provincia di Latina, con la suo monumentale meticolosa ricostruzione di un dramma localizzato nel Basso Lazio ma in grado di toccare la coscienza di ciascuno di noi.
Il museo, pur compiendo un’inevitabile operazione politica, è lucidissimo nel mantenere un equilibrio tra la materia incendiaria trattata e la necessaria razionalità dell’analisi scientifica compiuta, poiché fin dalle premesse “intende favorire un atteggiamento riflessivo ponendosi come centro di ricerca e documentazione e offrendo percorsi espositivi che invitano il visitatore a entrare in contatto con fonti, problemi e strumenti interpretativi”.
Questo perché “il brigantaggio ha rappresentato un momento assai drammatico per l’Italia e, in particolare, per l’area che oggi definiamo Basso Lazio; la sua storia si è protratta per molti anni e la documentazione che ne è emersa comprende ambiti diversi: dalla vita politica e sociale a quella militare e religiosa, dal campo delle arti a quello della criminologia”.
Grande già dalla “missione riflessiva ed etica” del museo scolpita al suo ingresso il rispetto per la libertà d’interpretazione del visitatore, il quale “avrà modo di comprendere, acuendo una sensibilità per le testimonianze, le scritture e i punti di vista situati, come sia contesa la verità sulle storie estreme dei briganti del Basso Lazio: al di là del conflitto di interpretazioni che viene messo in mostra, si tenterà comunque di comunicare in modo evocativo un livello di senso ormai ampiamente condiviso ma tutt’altro che espresso compiutamente: la necessità di conoscere e conservare costituisce un impegno etico da noi contemporanei contratto nei confronti di quanti persero la vita e spesso l’onore, nelle vicende del brigantaggio”.
Tale introduzione ci immette subito nell’atmosfera drammatica evocata nella mission, soprattutto nell’anticipare il vertice dell’orrore del fenomeno narrato, quando “nella prima metà dell’Ottocento il brigante, una volta ucciso, era colpito da un’ultima maledizione”: infatti “il suo corpo, ritenuto indegno di sepoltura, era gettato fuori delle mura della comunità, squartato e la sua testa esposta come monito per la popolazione”, una brutalità che ha spinto gli allestitori a una condivisibile pietas, facendo in modo che il museo pur essendo “un luogo istituzionale di memoria acquista anche il senso di dare a questi nostri conterranei una degna sepoltura”.
Nel concetto espositivo i curatori hanno scelto il criterio più inappuntabile per maneggiare una materia tanto scivolosa, quello dell’oggettività del reperto, della prova incontrovertibile del documento, tenendo a bada ogni tentazione di commento soggettivo per offrire invece un florilegio di dati, memorie tangibili, immagini e rappresentazioni fedeli, costruendo un affresco storico comunque di rara carica suggestiva in cui però la potenza emotiva viene filtrata dall’intelligenza del visitatore e dal tenore della sua sensibilità.
Risultano quindi centrate e riuscite le “scelte metodologiche dell’allestimento” nelle cui intenzioni il museo “appare archivio, mostra i contenitori, assomiglia in alcuni suoi tratti ad un magazzino, ad una stanza del collezionista: al visitatore è dato di consultare schede, toccare con mano gli oggetti, accostarsi in modo riflessivo al materiale documentario esplorato durante la ricerca”.
Tutto ciò grazie a un “corpus documentario incredibilmente vasto (bandi, notificazioni, proclami, dipinti, incisioni, stampe, fotografie) che è stato individuato, riprodotto e mostrato”.
Ciò è indice di diverse virtù progettuali.
Innanzi tutto anni di ricerca sul campo per trovare reperti sepolti dal tempo ma anche a causa di una mancata valorizzazione, acquisiti i quali è scattato il loro studio fatto non soltanto di osservazione empirica ma anche di verifica filologica e contestualizzazione storica.
Un patrimonio adesso conservato in un archivio interno che ribolle di altre storie da raccontare…
… organizzato con una sorta di anarchia creativa che lo rende vertiginosamente affascinante, scatenando la voglia di saperne di più.
Sono le premesse di un autentico museo narrativo e al tempo stesso spettacolare nell’attenzione che dedica alla grazia dell’allestimento e alla sua efficacia comunicativa, proponendo al visitatore anche due potenziali modi di vivere l’esposizione, privilegiando l’immediatezza dello sguardo oppure il filtro dell’azione epistemologica.
Il tragitto vissuto in chiave fenomenica privilegia la dimensione prettamente visiva in cui ci si lascia risucchiare da un’illuminotecnica di impianto quasi teatrale capace di irretire con un sapiente uso dei chiaroscuri, tale da far dimenticare il mondo esterno e trasportare epidermicamente nell’epoca narrata, con la luce intenta a ricavarsi spazio tra le tenebre per creare concentrazione su totem parlanti che impiegano cromatismi vividi come la materia affrontata per colpire senza mediazioni l’immaginario dell’osservatore, sollecitato anche dal linguaggio figurativo, ovvero la chiave d’accesso infallibile quando si applica con convinzione la pratica dell’inclusività postulata dalle ultime direttive dell’ICOM, l’International Council of Museums…
… ricorrendo a ogni forma espressiva, dal segno pittorico al tratto etereo del disegno…
… passando per la fumettistica d’autore tra richiami onirici e suggestioni senza tempo…
… quindi utilizzando il valore di testimonianza della fotografia…
… magari offerta in osmosi con i criteri dell’infografica…
… oppure cristallizzata nella scontornata grandiosa bidimensionalità del cartonato…
… per approdare alla tranche de vie miniaturizzata del diorama che qui fissa come in un fotogramma il furibondo dinamismo della pugna…
… fino all’immediatezza del video, sia come frammento di opere cinematografiche che sarebbe doveroso recuperare per intero in visione casalinga…
… sia nella forma del filmato che propone l’imperdibile verità personale di testimoni indiretti e familiari dei protagonisti del brigantaggio ripresi con le telecamere, da ascoltare per ore…
… fino all’inevitabile commozione indotta dall’oggetto personale di una vita spezzata…
… e al fragore simbolico del cimelio dallo squillo epico.
C’è poi il percorso pedagogico, certamente più esigente sul piano cognitivo ma capace di ripagare la maggiore attenzione con una serie di generose didascalie dislocate ovunque, soprattutto sulle pareti, nelle quali scorrono testi ricchi di informazioni quanto perfettamente intellegibili a ogni livello nel tratteggiare eventi ed episodi altamente istruttivi, attraverso i quali apprendiamo come l’epicentro geografico del fenomeno sia da collocare “lungo e intorno la via Appia” tra il XVIII e il XIX secolo, quando “questa nostra terra divenne l’ombelico del mondo”, poiché vi si ritrovano contemporaneamente eserciti di conquista o liberazione insieme a ribelli, sbandati e malandrini, ciascuno con i suoi interessi da affermare, ovviamente confliggenti…
… un panorama in cui spicca la figura del brigante, criminale razziatore o eroe libertario secondi i diversi punti di vista, certamente inviso all’ordine pubblico di ogni potere (“francesi, borbonici, pontifici o piemontesi”) che lo considererà soltanto un “barbaro”, un ribelle armato datosi avventurosamente alla macchia per sottrarre territori al controllo dei soldati grazie alla calorosa solidarietà del popolo più reietto: tale figura così sarà bollata come personaggio “anti-moderno”, giustificandone a suo modo la repressione come questione di supposta civiltà.
La figura del brigante che combatte i forti con il sostegno dei deboli ha un’evidente potenza di storytelling da rendere inevitabile la sua traduzione in racconti popolari, analisi sociologiche, opere letterarie, saggi, film e sceneggiati televisivi…
… ciascun media intento a scegliere la propria chiave di lettura tra eroe negativo o romantico, sublime delinquente o genio sregolato, movimento contro-culturale o protesta contadina, come ben dimostra l’eccellente panoramica offerta dalla struttura.
Si acquisiscono preziose nozioni, a partire dall’invenzione e immediato successo del termine brigante fatto risalire agli anni dal 1796 al 1880 per indicare “colui che si oppone all’avanzata del tempo nuovo” mostrando coraggio e al tempo stesso efferatezza.
Tutto è chiaro e fibrillante grazie a un percorso espositivo progettato da Vincenzo Padiglione articolato nelle tre sezioni Ragioni della Storia (“dove vengono presentate le giustificazioni che per circa cento anni resero legittima la repressione dei briganti” secondo la sintesi del Comune di Itri), Ragioni del Mito (“dove si mette in luce una ben diversa interpretazione del brigantaggio, quella degli eroi romantici”) e Ragioni del Luogo (“il brigante nella vita quotidiana, patrimonio della zona”).
Perché tanto formidabile lavoro collocato proprio a Itri? Perché il suo territorio è stato effettivamente epicentro del fenomeno, tanto da guadagnarsi la definizione di “Terra di Briganti” riversatasi sull’intera comunità e contrassegnandola per decenni…
… quasi inevitabilmente se si considera che proprio Itri ha dato i natali alla figura più leggendaria del fenomeno, Frà Diavolo, nato come Michele Arcangelo Pezza il 7 aprile 1771, cui il museo è dedicato e del quale sembra ancora di avvertire la presenza in città, dove sono evidenti sue tracce perfino genealogiche…
… vertice di una schiera di altri protagonisti di cui rende conto con precisione il museo.
E’ anche grazie a questo museo se Terra di Briganti “non è più un marchio di infamia, ma diviene un segno forte che la storia ha lasciato nella zona, una traccia della memoria da recuperare”.
Un museo così raro, prezioso e necessario che merita il viaggio, poiché visitarlo è un dovere morale di ciascun cittadino italiano, quale risarcimento alla Verità violata e al tempo stesso massimo contributo alla formazione di una propria visione del Paese in cui viviamo, fin dalle sue radici storiche e antropologiche.
Info: https://www.museobrigantaggio.it/