Cappella degli Scrovegni a Padova, sette secoli di estasi davanti agli affreschi di Giotto
Il termine capolavoro è oggi così abusato tra iperboli emotive ed eccessi lessicali da ritrovarsi depotenziato, portando chi all’opposto ne ha rispetto semantico a usarlo con parsimonia per non contribuire al suo depauperamento di senso: per questo diventa salutare e perfino liberatorio porsi davanti a una monumentale espressione del genio che invece merita in pieno la definizione di chef-d’oeuvre, riaffermando con forza la distanza siderale del talento immortale dalla prosaica quotidianità, come avviene al cospetto della Cappella degli Scrovegni a Padova regalata all’Umanità da Giotto all’inizio del XIV secolo.
L’attribuzione a tale bene culturale del termine prima dibattuto si incontra già nelle note del sito dei Musei Civici della città veneta che la curano e gestiscono in Piazza Eremitani 8: “l’opera costituisce il massimo capolavoro ad affresco dell’artista e testimonia la profonda rivoluzione che il pittore toscano portò nell’arte occidentale”, aggiungendo note storiche dalle quali si apprende come il ciclo sia stato affrescato da Giotto “in soli due anni, tra il 1303 e il 1305”, dispiegandosi “sull’intera superficie interna della Cappella narrando la Storia della Salvezza in due percorsi differenti: il primo con le Storie della Vita della Vergine e di Cristo dipinto lungo le navate e sull’arco trionfale; il secondo inizia con i Vizi e le Virtù affrontate nella pozione inferiore delle pareti maggiori e si conclude con il maestoso Giudizio Universale in controfacciata”.
Da qui l’invito a riconoscere le rivoluzioni compiute da Giotto, riguardanti rappresentazione dello spazio, prodromi di prospettiva e tridimensionalità, rappresentazione dell’Uomo, fino a ribadire una delle parti che maggiormente irretiscono il pubblico come il soffitto voltato dipinto in guisa di “un manto azzurro di stelle” capace di alimentare la fantasia del visitatore…
… fino a un contributo estraneo all’artista con la presenza nel presbiterio di un gruppo scultoreo raffigurante la Madonna con il Bambino tra due angeli “realizzato dal grande scultore Giovanni Pisano all’inizio del Trecento”.
Per gli amanti dell’arte giottesca poi arrivano ulteriori conferme sulla grandezza pionieristica delle proprie intuizioni, legata alla sua impressionante urgenza di rendersi democraticamente intellegibile a tutti adottando pionieristicamente tecniche di comunicazione universali ma senza togliere mai nulla all’altezza siderale della sua ispirazione.
Saranno semplificazioni, ma è impossibile non collegare il suo stile nell’impaginazione delle Storie narrate con il futuro linguaggio del fumetto e la sua potenza esplicativa in grado di trascendere l’uso della parola senza nulla togliere alla perfetta e immediata comprensione dell’evento raccontato…
… e non è mera suggestione vedere vagiti pre-cinematografici nella composizione del quadro (profondità di campo, complessità della messa in scena, giochi di sguardi che azzardano perfino quello diretto in camera)…
… e nella capacità di cogliere il moto ancora in fieri ma cristallizzandolo in un fotogramma, come gli slanci di braccia che fanno presagire il completamento dell’azione…
… proseguendo con dinamiche aggressioni in divenire colte un istante prima del loro irrimediabile esito…
… la mimica plasticità rarefatta coincidente con la morbidezza cinetica del rallenty…
… approdando a fantasiose sovrapposizioni che paiono annunci della sfrenata liberazione dell’inconscio illusorio anticipatore dell’impronta meliesiana…
… fino a visioni apocalittiche la cui esuberanza qui materica e manuale è lezione contenutistica imperitura al gonfiore della replica virtuale di un distopico kolossal americano.
Indiscutibile quindi l’inserimento di questo ciclo affrescato nella Lista del Patrimonio Mondiale Unesco avvenuta nel 2021, in quanto parte più rilevante dello straordinario sito seriale “I cicli affrescati del XIV secolo di Padova”, inserito infatti nell’imperdibile percorso di Padova Urbs Picta insieme ad altri sette gioielli dipinti tutti da non perdere per comprendere come il fondamentale contributo di Giotto si sia affiancato a quello di altri artisti per giungere alla definizione di “un modo completamente nuovo di rappresentare la narrazione in pittura, con nuove prospettive spaziali influenzate dai progressi della scienza dell’ottica e una nuova capacità di rappresentare le figure umane, in tutte le loro caratteristiche, compresi i sentimenti e le emozioni”.
Tutto questo avviene con un sistema di visita irreggimentato il cui rigore però non soltanto non scalfisce la gioia dell’esperienza, bensì contribuisce ulteriormente al suo fascino: la permanenza nell’ambiente affrescato è infatti limitata a 15 minuti, un termine perentorio che invece di mettere ansia spinge piuttosto a vivere con maggiore intensità ogni singolo istante della percezione operata dallo sguardo, cosicché tutto l’apparato pittorico acquista maggiore importanza, alimentando l’acume nel cogliere il dettaglio e la prontezza nel rilevare l’insieme della sinfonia visiva.
L’organizzazione funziona molto bene, tanto da ridurre al minimo l’attesa, la quale tuttavia non è per nulla fastidiosa, grazie alla qualità dei visitatori, i quali sembrano frutto di una selezione spontanea di sensibilità predisposte alla meraviglia alla quale assisteranno.
Intelligente l’idea di fare trascorrere il tempo necessario per la stabilizzazione del microclima interno in una sala in cui viene mostrato un filmato sui restauri dell’opera, ricco anche di note storiche ed estetiche.
Dalla visita si ricavano sentimenti ed emozioni di una potenza quasi stendhaliana che da ormai oltre sette secoli educano ai valori morali della bellezza operando al contempo una sublimazione della grazia estetica capace di collegare la superficie percepita dalla pupilla con la profonda elaborazione interiore del cuore.
Sarà pur breve il passaggio innanzi a queste mura cromatiche dalla consistenza metafisica, ma segna per tutta la vita.
Info: http://www.cappelladegliscrovegni.it/index.php/it/la-cappella-di-giotto