Cappone in vescica di bue e canna di sambuco
Non c’è un solo passaggio del pranzo della tradizione mantovana delle Caselle che non si scolpisca nella memoria in maniera indelebile.
L’emozione più forte è assistere alla preparazione del Cappone in vescica di bue e canna di sambuco, ricetta secolare di cui riferiva anche l’Artusi, di cui oggi i Contadori sono gli ultimi e unici depositari.
Il cappone che cuoce nei suoi umori dentro una parte di ventre bovino, attaccato a un filo, sospeso in un’acqua che freme appena, assistito con cura per infinite ore, nel terrore che qualcosa possa andare storto, vanificando un lavoro interminabile.
Sono tutti elementi narrativi da grande letteratura che avrebbero potuto albergare tra le righe delle Bucoliche del conterraneo Virgilio, a dimostrazione che da queste parte la terra muta da sempre in afflato lirico.
Bisogna scomodare l’epica poi per descrivere la figura (ormai scomparsa altrove) del trinciante: narrata in antichi volumi, è impersonata da colui che agendo con coltello e forchetta seziona il pollo per servirlo ai commensali.
Facile a dirsi, parecchio complicato a farsi: Gianfranco Cantadori agisce sul cappone come uno scultore sulla materia grezza, assestando i tagli con leggiadria e precisione, grazie alla sua immensa conoscenza dell’anatomia animale.
Abbiamo avuto il privilegio di potere documentare tutto questo.
Se a tutto questo aggiungete l’enorme gentilezza e umanità dei Cantadori, le loro divertentissime schermaglie dialettiche che sono pezzi di teatro, le lezioni tecniche su chimica e metabolismo animale del mostruosamente preparato Gianfranco, i preziosi segreti culinari donati dalla generosa Raffaella, capirete perché conoscere Le Caselle sia imprescindibile per chiunque ami l’enogastronomia, o, semplicemente, ami la vita.
Info: www.agriturismolecaselle.com