Vini in anfora: dalla Georgia agli italiani, i produttori all’antica
La novità del momento ha almeno seimila anni: a così tanto tempo fa risalgono le tracce archeologiche dei vini in anfora, ultima passione dei winelover più accaniti. E’ il vino alla maniera degli antichi che nella Colchide, la Georgia di allora, forse furono i primi a domesticare la vite selvatica, facendone evolvere il suo prezioso succo nei kvevri, le anfore d’argilla.
Una pratica sopravvissuta fino a oggi grazie a un manipolo di eroi georgiani (soprattutto monaci) che lo hanno salvato dall’oblio, facendolo riscoprire a noi occidentali. Italiani compresi, visto che sono sempre di più i vitivinicoltori del nostro Paese che vinificano in anfora.
Una pratica che quasi automaticamente si inserisce nel filone dei cosiddetti vini naturali o veri, perché per principio esclude invasività chimiche e mistificazioni enologiche: chi sposa questa tecnica di affinamento è mosso solitamente da un afflato culturale e perfino ideologico, all’insegna della purezza arcaica del vino.
Ne abbiamo avuto qualche esempio frequentando le manifestazioni dedicate “ai vignaioli che lavorano in modo consapevole e sostenibile”, con grande rispetto della terra.
Diversi i produttori di vini in anfora.
Il giovane abruzzese Francesco Cirelli ha proposto un Trebbiano salmastro e potente, con evidente nota marina: ancora acerbo il Montepulciano appena minerale, mentre il Cerasuolo esprime grande equilibrio (www.agricolacirelli.com).
I Cacciagalli da Teano (Caserta) ha portato un Fiano carbolico al naso ma ingentilito al palato da sentori di melone, un Piedirosso argilloso all’olfatto e ricco di florealità balsamica, un delizioso Pallagrello nero e uno speziato Aglianico (www.icacciagalli.it).
Montesecondo ha fatto provare il suo Sangiovese acido e ricco di frutti rossi (www.montesecondo.com).
Quindi quell’Elisabetta Foradori che è stata tra le prime a riportare i vini in anfora in Italia: una Nosiola di buona acidità e screziature di mela verde, quindi due versioni del Teroldego, il delicatamente vinoso Sgarzon e il Morei, forte personalità dall’anima fruttata (www.elisabettaforadori.com).
Non potevano mancare i georgiani: su tutti ha spiccato il bianco minerale Amber di Iberieli.
Presente anche Our Wine, autori della quintessenza del genere, il Rkasiteli, vino bianco macerato che può sconcertare un bevitore non esperto, con i suoi profumi terrori magnifici ma prepotenti e un’acidità insistente.
In generale, tutti vini fuori dall’ordinario che richiedono al bevitore attenzione, pazienza e dedizione, come in ogni atto d’amore.