Albino Armani, dall’Albero della Vite agli archeovini indigeni
Il mondo di Albino Armani è un eno-sistema che tiene mente e cuore in perfetto equilibrio sul buon gusto, in cui radici forti collegano territori come fossero rotte di passaggi umani d’altri tempi.
Il Veneto della Val d’Adige e della Valpolicella in dialogo con il Trentino della Vallagarina e del Maso Michei che si approssima alle Piccole Dolomiti, mentre la Marca Trevigiana guarda la Grave friulana.
Un intreccio di suoli e genti che si traduce in vini che li raccontano.
Sul sito efficacemente l’azienda si rappresenta con un albero della vite, sotto i cui tralci fioriscono le quattro tipologie di produzione: varietali, autoctoni, biologici, spumanti.
Sotto la voce varietali sono raccolti vitigni internazionali portati a un’espressione localizzata (Chardonnay, Gewurztraminer, Muller Thurgau, Pinot grigio, Sauvignon, Cabernet, Traminer, Cabernet Sauvignon, Merlot, Pinot nero) e i classici blend della zona come Valpolicella e Lugana. E’ l’area in cui si sperimenta, con la sensazione che il vignaiolo qui si diverta a estrarre da vitigni consueti delle direzioni organolettiche inedite.
Le altre sezioni sono marchiate ancora più a fondo dalla personalità di Armani e dalla direzione che imprime alla sua attività agricola.
Come la sezione dedicata agli autoctoni.
Refosco, Recioto, Teroldego, Friulano, Amarone, Ripasso, sono classici che l’azienda tratta come tali, con rispetto e dedizione.
E’ assaggiando una rara versione della Corvina in purezza che si capisce che ci troviamo davanti a un fuoriclasse dell’enologia: finalmente si coglie la vera identità di quest’uva miracolosa, spogliata da quelle combinazioni che portano a Valpolicella, Ripasso, Recioto e Amarone. La spina dorsale della produzione enoica del veronese, insomma, la quale però qui si presenta nuda e cruda, offrendo freschezza fruttata e placida bevibilità, facendo scorrere serenità nel bicchiere.
Più nervosa la personalità selvaggia del Foja Tonda, marchio dialettale del raro Casetta, o Lambrusco a Foglia Tonda, “uva rossa anticamente molto coltivata in Vallagarina”, come raccontano alla Armani, abbandonata negli ’60 per obbedire al mercato che richiedeva varietà internazionali, ma che è riuscita a sopravvivere nei comuni di Dolcè, Ala e Avio, anche se è classificato tra le varietà in via di estinzione.
Ma la ragione per cui Armani meriterebbe una medaglia (e concreto sostegno) dal ministero della Cultura (perché siamo oltre l’Agricoltura) è la scoperta, il salvataggio e la tutela di un misterioso vitigno autoctono chiamato Nera dei Baisi. Un vitigno così unico e particolare da essere ancora in fase di studio.
Un’uva ancestrale che risulta rusticamente primitiva anche in degustazione: in bocca esprime una potenza che sembra giungere dalla notte dei tempi, senza però perdere in appagante freschezza beverina. Talmente originale da essere imparagonabile ad altri vini correnti.
Armani spiega che proviene da “un piccolo vigneto curato come un giardino proprio all’entrata della nostra azienda” che chiamano la Conservatoria, “il luogo della memoria viticola della nostra terra”, in cui “sono allevate con cura 13 varietà di vite in via di estinzione che fino a qualche decennio fa costituivano per buona parte il patrimonio viticolo della Vallagarina, fra queste la Nera dei Baisi”.
E’ in questo angolo di laboriosa dedizione scientifica che “vengono microvinificati archeovini rarissimi, seguiti dai ricercatori dell’Istituto Agrario di San Michele all’Adige, dal Centro Sperimentale in Viticoltura della Provincia di Verona in collaborazione con il Comune di Dolcè”.
Archeovini che portano i nomi di Peverella, Vernazza, Turca, Negrara, Corbina, Corbinella.
Commuove questa consapevolezza umanistica di Armani, la quale esprime la massima Dignità del mondo contadino, affermandone il valore sociale, perché tutta la nazione dovrebbe essere grata a una simile azione di conservazione della nostra Memoria.
Passando alle ramificazioni dei vini biologici e degli spumanti, essi rivelano le vena più radicale dell’Armani-pensiero.
Perché vi si annidano le espressioni più estreme del Prosecco, quelle che alla vanità di bollicine evanescenti hanno preferito invece il fremito della terra, dando vita a nettari frizzanti densi, da godere a occhi chiusi come in un rito sciamanico.
Con il Prosecco DOC extra dry si dà una lezione di sapida eleganza, si alza invece il tiro con le versioni riunite sotto l’egida di Casa Belfi, frutto dell’incontro in S. Polo di Piave (Treviso) tra Albino Armani e il giovane enologo Maurizio Donadi, uno che cita Steiner con pertinenza, facendo riferimento alla sua antroposofia prima ancora che ai germi del biodinamico.
Il risultato sono vini materici che si impadroniscono del palato, scatenando un inseguimento di sensazioni tra gusto e olfatto.
Basti provare la serie Colfòndo, in cui si comprende appieno in cosa consista davvero l’apporto dei lieviti indigeni.
Da seguire scrupolosamente i basilari suggerimenti per la degustazione “più limpido con antipasti e primi, versandolo delicatamente per lasciare i lieviti depositati sul fondo della bottiglia; man mano che si procede nel servirlo con le altre pietanze e poi il dessert, basterà agitare la bottiglia per gustarlo leggermente torbido; oppure integrale, versandolo in una caraffa ghiacciata, riportando così i lieviti in sospensione e favorendone l’ossigenazione”.
Un vino vivo, dunque, un vino che parla di sé, di ogni sua particella sensoriale, fino in fondo.
Nella versione Anfora, vinificata in anfore di terracotta di grandi dimensioni, si esalta la sensazione di crosta di pane lievitato con pasta acida e cotto a pietra, una fragranza che sottolinea a ogni sorso la rifermentazione naturale in bottiglia secondo antica tradizione vignaiola.
Assaggiare un Prosecco di Armani, cambia per sempre il modo di approcciarsi a questo vino, qui elevato ai massimi livelli della sua nobilitazione.
Girando una bottiglia di Albino Armani, campeggiano righe che evocano “400 anni nella vigna e una passione infinita per il vino: questa la storia della mia famiglia, fatta di luoghi antichi e di uomini che da sempre presidiano la loro terra”.
Luoghi e uomini che si prestano a essere conosciuti direttamente, grazie alla possibilità di fare visite con degustazione in azienda.
La chiamano ospitalità e nella filosofia aziendale è messa sullo stesso piano di Storia e pensiero e di Persone e lavoro. Non a caso.
Info: www.albinoarmani.com