Cosa mangiavano gli antichi Romani?
A Roma abitualmente venivano consumati tre pasti al giorno.
La colazione (jentaculum), con latte, pane, formaggi o avanzi del giorno prima; i ragazzi andando a scuola consumavano gli adipata (pasticcini).
Il prandium, pasto frugale, freddo e rapido, anche solitario, in piedi o in tabernae, con verdure, uova, funghi o avanzi.
La coena, preceduta dal bagno nelle terme, anche in compagnia, il quale iniziava verso le ore 15 o 16 odierne e si concludeva prima del buio: si basava su una polenta a base di pappa di farro e grano (puls) accompagnata da legumi o carne allo spiedo. Inizialmente la cena era comunque un pasto frugale e solo successivamente divenne simbolo di lusso. Frequentemente era suddivisa in tre parti: la gustatio con uova e olive, la carne (ferula), la secundae mensae con frutta e dolciumi.
Le carni preferite erano: maiale da latte, agnello, capretto, pollo, ma anche asino, cinghiale, fagiano, pavone e ghiro. La selvaggina era frollata e speziata. Per la durezza, in genere, le carni erano cotte due volte, la prima nel latte. Il pesce fresco era per i ricchi, conservato per il popolo.
I sapori agrodolci erano graditi: funghi con miele, piccioni con datteri e pesche marinate.
Nel periodo greco-romano si sviluppano due concetti fondamentali legati all’alimentazione. L’importanza del cibo per la salute del corpo: quindi particolare cura era dedicata alla scelta, alla preparazione (cucina), alla quantità, in modo da garantire insieme all’attività fisica, a quella sessuale, al sonno, etc., l’equilibrio indispensabile per una buona salute. L’importanza della convivialità, al contrario dei barbari e degli animali: il banchetto presentava risvolti religiosi e sacri, oltre ad avere come caratteristica la moderazione.
L’affascinante storia dell’alimentazione al tempo dei Romani ha rappresentato la prima tappa dell’evento gastro-storico Vediamoci Sottocasa… per Cena, organizzato dalla società di turismo storico-artistico Villago in collaborazione con il MUST, Museo del territorio vimercatese. Una visita guidata del MUST dove a ogni tappa espositiva ne è corrisposta una enogastronomica: l’abbiamo seguita con la guida Valentina Ronzoni.
Il Pultem, progenitore della polenta
Tocca forse ai Fenici il titolo di progenitori della polenta. La loro polenta, che i romani chiamavano, con nome assai simile al nostro, “pultem”, era fatta però di un cereale affine al frumento, il farro, il quale, macinato e cotto, dava una farinata molle, da condire con formaggio.
La ricetta della Polenta di farro (per 4/6 persone)
Ingredienti: 1 litro di brodo vegetale; 250 gr. di farina integrale di farro; pecorino grattugiato.
Preparazione: Portare ad ebollizione il brodo vegetale. Versare a pioggia la farina di farro e mescolare fino a cottura (circa 10 min.). Assaggiare di sale. Versare la polenta in una pirofila da forno e cospargere di pecorino grattugiato; mettere in forno caldo per 5 minuti fin quando non si forma la crosta superficiale.
La polenta di farro può essere utilizzata scondita e senza passarla in forno, come base per accompagnare carni stufate o per preparare le polpette di farro.
PRODOTTI TIPICI DELL’EPOCA ROMANA
ASPARAGI, la verdura preferita dai Romani
Gli asparagi, molto diffusi nell’antica Roma, erano considerati un potente afrodisiaco. Li ritroviamo nelle fonti storiche e nelle antiche ricette.
Apicio, scrivendo della cucina dell’epoca, li cita spesso: ad esempio, li indica come fondamentali per approntare la patina, ovvero una purea all’uovo arricchito con Garum ed erbe aromatiche, usata come contorno dei beccafichi.
Fra il I e il II sec. d.C., Giovenale ne parla nelle sue Satire, consigliando di gustarli con uova belle grosse. Svetonio, invece, nel De Vita Caesarum ci svela alcuni segreti in ordine al rapporto dei potenti dell’epoca con gli asparagi. Secondo l’opera, i Romani li consumavano in generale previa scottatura in acqua bollente. Cesare era solito mangiarli conditi con burro, mentre Augusto, per far comprendere la necessità di far qualcosa velocemente, diceva: “celerius quam asparagi cocuntur”.
Le fonti narrano che gli asparagi erano apprezzatissimi da tutti gli imperatori a Roma, al punto da denominare per iniziativa imperiale una nave preposta per il loro trasporto: Asparagus. Inoltre, gli asparagi venivano spesso trasportati, con carretti trainati da cavalli, dalle rive del Tevere alle nevose Alpi per essere conservati per sei mesi ed essere impiegati nel corso delle feste in onore di Epicuro.
CANNELLA – Cinnamomum zeylanicum- La corteccia milleusi
Nell’antica Roma la cannella non veniva utilizzata soltanto in cucina, ma trovava anche molti altri impieghi. Veniva generalmente cosparsa sulle are funerarie. Nerone nel 65 d.C. al funerale della moglie Poppea Sabina ne versò l’equivalente di una provvista di un anno. Inoltre a Roma la cannella veniva utilizzata quale misura di peso: 350 gr equivalevano a 5 kg di argento, con un rapporto di 15 a 1.
CAVOLO (e Cavolfiore) – La panacea dei Romani
Nell’antica Roma il cavolo era considerato un ottimo medicinale e la panacea di molti mali. Catone il Censore, politico ma anche igienista, individuò molte regole di “buona salute” e, tra le molte, sosteneva l’importanza dell’utilizzo quotidiano in cucina del cavolo dolce (Brassica leni).
Nel suo De Agricoltura (158 a.C.) afferma che esso, tra tutte le varietà di cavolo, è quello con le maggiori virtù curative. La validità dei suoi insegnamenti la sperimentò con la sua stessa longevità, morì a più di ottant’anni in un epoca in cui la media della mortalità era ferma a 35 anni.
Catone distingueva 4 varietà di cavolo: a) grande a foglie larghe e gran caule, molto potente; b) con foglie crespe, molto efficace, forse ancor più del primo; c) con caule piccolo, tenue; d) un quarto erratico e inutile. Nelle sue prescrizioni mediche Catone lo consigliava contro le malattie degli occhi, nelle lussazioni, nelle fratture e nelle ferite. Prescriveva il cavolo anche per medicare piaghe e ferite; efficace pure negli ascessi delle mammelle e nei carcinomi. Sosteneva altresì: “se avete un polipo al naso aspirate fortemente il cavolo selvatico in polvere e il polipo cadrà”. Per problemi all’udito, consigliava di triturare le foglie del cavolo nel vino e di far cadere qualche goccia della miscela ottenuta nell’orecchio. Contro l’herpes invece consigliava di applicare piccole striscioline delle foglie, e contro la depressione o l’insonnia consigliava di mangiare prima di cena il cavolo condito con l’aceto.
Osservazioni sulle verdure di Leonardo da Vinci
A proposito di asparagi: questi bastoncini, lessati e conditi con sale, olio e pepe, ti faranno brillare gli occhi, elimineranno i gonfiori di stomaco e altri problemi intestinali, allevieranno i dolori alla schiena e alle ossa, agiranno come un leggero lassativo. Ma non esagerare con gli asparagi perché possono causare ulcere alla vescica. Tieni sempre a portata di mano un po’ di centrifuga di asparagi da offrire agli ospiti qualora si lamentino di essere stati avvelenati.
Materiali tratti dall’evento Vediamoci Sottocasa… per Cena ideato e curato da Villago, svoltosi presso il MUST, Museo del territorio vimercatese (MB).
Info: www.villago.it
Info: www.museomust.it