Cibo e tempo liturgico: un legame scomparso?
Domenica 15 novembre è iniziato per il calendario ambrosiano l’Avvento, mentre per quello romano inizia il 29 novembre. Queste due date mi hanno dato lo spunto per riflettere brevemente sul rapporto tra cibo e religione, in riferimento al calendario liturgico.
Per molti secoli, soprattutto durante il Medioevo, il calendario civile fu profondamente legato a quello liturgico e suddiviso in “giorni di magro” e “giorni di grasso”. L’alimentazione era fortemente condizionata da questi due periodi (bisogna ricordare che in un anno i giorni di astinenza dalla carne e di digiuno erano attorno ai 140/160), così come la rinuncia agli alimenti carnei. Per capire a fondo il significato di queste privazioni non bisogna solo fare riferimento alle simbologie religiose, ma anche all’importanza della carne dal punto di vista culturale e sociale. Per molto tempo il suo abbondante consumo fu direttamente associato a elevate disponibilità economiche e ad un alto prestigio sociale; viceversa, non consumarla voleva dire essere poveri o, in taluni casi, emarginati dalla società. Nelle comunità di inizio Medioevo, profondamente legate alla guerra e alla caccia, l’esclusione della carne voleva dire proprio questo. Lotario I re d’Italia dall’ 822 d. C. all’850 d. C. prescriveva il divieto di consumare carne e la deposizione forzata delle armi per chi si macchiasse del grave crimine di omicidio di un vescovo.
Dal punto di vista prettamente alimentare la presenza di un numero così ingente di “giorni di magro” e l’esigenza di nutrirsi diedero vita nel corso del tempo alla diffusione e consumo di prodotti sostitutivi: formaggi, uova, latte e pesci d’acqua dolce. Quest’ultimi furono preferiti a quelli di mare per due ragioni fondamentali: potevano essere allevati in vasche o piccoli laghetti, anche all’interno dei complessi monastici o nobiliari; inoltre erano dei validi sostituti, per le zone non prospicienti al mare, dei pesci d’acqua salata, che non potevano essere trasportati per lunghi viaggi (le anguille invece, per esempio, messe in ceste con erba e foglie fresche potevano sopravvivere anche per alcuni giorni) e non si conservavano a lungo.
Dal punto di vista culturale e sociale si originarono due aspetti molto interessanti: da un lato l’elaborazione di un gran numero di preparazioni legate all’uso degli alimenti “magri” ma, aspetto maggiormente importante, furono proprio questi sistemi a generare un modello di integrazione tra i cibi delle culture germaniche e quelli di matrice mediterranea, formando un sistema straordinario composto da alimenti di diversa natura e origine che coesistono tutt’ora perfettamente e fanno del nostro patrimonio alimentare uno scrigno di sapori incredibilmente variegato.