Le birre industriali sono “cadaveri”? Differenze con le artigianali
La disputa tra birra industriale e artigianale è sempre più accesa, soprattutto da quando i grandi marchi brassicoli si sono messi a imitare stili birrari e metodi di comunicazione tipici del mondo dei piccoli produttori indipendenti.
Su questo tema non poteva non dire la sua il vate della birra artigianale, Kuaska, il quale ne ha fatto uno dei temi portanti della sua recente pubblicazione La birra non esiste. La vita, le storie, i segreti di Kuaska, il “profeta” della birra artigianale italiana (Altreconomia, 2015).
Parlando del suo “duro mestiere” di degustatore, lo definisce come una “chiamata”, in cui ha sentito “il dovere morale di assumere il ruolo di traghettatore e portare tutti coloro che vivevano nel limbo dei cadaveri in bottiglia nel paradiso della birra artigianale e del Lambic”.
Il concetto viene approfondito nel secondo postulato di Kuaska, in cui si sentenzia “la birra artigianale è un prodotto vivo: la birra industriale produce cadaveri in bottiglia”.
Tutto sta nella differenza tra le birre artigianali e la birra industriale: “la birra industriale è pastorizzata è quindi morta: la mia definizione delle birre industriali come cadaveri in bottiglia è ovviamente metaforica e non si riferisce in nessun modo al sapore, ma solo alla presenza di organismi vivi”.
Kuaska spiega che la birra artigianale è non pastorizzata e solitamente non filtrata, “perciò è un prodotto vivo e incomparabilmente più ricco di aromi e di sapori e straordinariamente vario”, mentre le birre industriali “nonostante le ultime proposte di birre che ricordano quelle craft, sono praticamente tutte dello stesso stile: lager chiare di bassa fermentazione, prodotte non solo con malto d’orzo ma utilizzando succedanei più economici come mais, riso e facendo ricorso ad additivi, che portano a sapori e gusti per lo più anonimi, uniformi e di scarsa piacevolezza”.
Kuaska riconosce alle birre industriali un “punto di forza” nella stabilità (“non essendoci nulla di vivo”) e la “riconducibilità”. Il birraio artigianale “è invece un piccolo produttore competente che sceglie ingredienti di alta qualità, in qualche caso coltivati o cresciuti sul territorio, senza utilizzare succedanei, produce birre in quantità limitate seguendo gli stili ma anche la propria fantasia, e che spesso serve le sue birre direttamente nel brewpub o le fornisce a pubs, ristoranti o negozi della stessa area”.
Concetti che Kuaska ha ribadito nel corso della presentazione del suo libro al Baladin di Milano, con il consueto eloquio sferzante, come potete verificare nel video che segue.
Info: www.altreconomia.it