Birra e polemiche: il provocatorio frankly speaking di Kuaska
Kuaska, nel volume La birra non esiste (Altreconomia, 2015), parla del suo frequente adottare il frankly speaking, caratteristica che ne ha alimentato la fama planetaria di polemista a fianco di quella di immenso esperto del mondo brassicolo, creando molto divertimento in chi lo ascolta ma anche dei problemi alla sua persona.
Un frankly speaking che lo contrassegnato fin da giovane, quando era già anticonformista, tanto che oggi in confronto si sente un borghese: “ma non ho perso un certo spirito che mi porta ad assumere posizioni scomode, come sa bene il mio amico avvocato e ultras del Genoa – si chiama Roberto Atzori – che dice sempre che non so che cosa sia la diplomazia; in effetti spesso dico in pubblico quello che penso e questo prima o poi mi procura guai”.
E’ anche così però che si diventa una leggenda vivente.
Alla domanda “che cosa sono diventato in tanti anni di militanza”, mette insieme come risposte “un apostolo e un ambasciatore della birra belga – Lambic in particolare – nel mondo”, “un instancabile mentore del movimento birrario italiano”, un “giudice a vita”, ma anche “il degustatore più magro del mondo, cosa non difficile data la stazza dei miei colleghi stranieri e la loro beerbelly: il segreto è ancora una volta nel cibo italiano che mi fa ogni volta miracolosamente tornare in forma”.
Da buon profeta, Kuaska ha emesso i suoi postulati. Eccoli.
“La birra non esiste. Esistono le birre”: inno alla biodiversità etilica dei prodotti brassicoli.
“La birra artigianale è un prodotto vivo, la birra industriale produce cadaveri in bottiglia”: definizione quest’ultima “ovviamente metaforica e non si riferisce in nessun modo al sapore, ma solo alla presenza di organismi vivi”; la birra artigianale è assolutamente non pastorizzata e – di norma – non filtrata: perciò è un prodotto vivo, e incomparabilmente più ricco di aromi e di sapori e straordinariamente vario”.
“La birra è il prolungamento della personalità del birraio”: questo assioma nasce dalla considerazione che “quando assaggio una birra industriale, so che qualcuno per fare la birra ha schiacciato un bottone, poco importa chi sia; in una birra artigianale c’è dentro il birraio, con tutta la sua esperienza e la sua personalità!”.
“Se hai un problema cardiaco vai dal cardiologo o leggi un blog di un appassionato di cardiologia?”: un assioma-domanda che usa “per far capire che non ce l’ho con i blogger, anche se ho detto che li scioglierei nell’acido; ce l’ho con chi è incompetente […]. In Italia poi, quando uno non sa nulla di un argomento, di solito… apre un blog”.
“Là dove le birre osano i vini non possono osare”: uno dei suoi format preferiti, in cui “ho dimostrato che – a differenza del vino – le birre si possono sposare con ogni tipo di cibo; in queste serate propongo piatti che è impossibile gustare a pieno dopo o insieme al vino, come finocchi, carciofi, sottaceti, acciughe, senape, gelato, dolci al cioccolato con liquore”.
Infine, Kuaska svela un altro dei suoi segreti intimi: “il 90 per cento delle parole di mia madre è dedicato al cibo mentre quelle della madre di un mio collega inglese sono dedicate al giardinaggio: che è cosa interessante ma penso che al momento del pranzo o della cena non vogliate trovarvi sul piatto un paio di bulbi!”.
Per brindare all’uscita dell’imperdibile libro di Kuaska, La birra non esiste, l’amico Teo Musso che ne ha ospitato la presentazione all’interno del suo Baladin di Milano, ha deciso di stappare uno dei suoi capolavori, una Birra Metodo Classico: un’occasione per creare un duetto memorabile di intelligenze che si incontrano.
Info: www.altreconomia.it