Calo di attendibilità della guida Osterie Slow Food? Vedi I Runchitt
Sarà stanchezza (speriamo…), ma la guida alle Osterie d’Italia edita da Slow Food mostra preoccupanti segni di decadenza. Per la Lombardia soprattutto. Vedi il caso I Runchitt di Brinzio (provincia di Varese).
Ci sono locali dove hai esperienze talmente negative che esci dicendo “qui non ci torno più”: uno di questi è I Runchitt di Brinzio.
Testato un paio d’anni fa, è ancora scolpito nella memoria per una serie di aspetti negativi che rendono sconcertante averlo trovato inserito nelle ultime edizioni della guida alle Osterie d’Italia di Slow Food.
Su questa si legge “il locale è piccolo, ma molto ben curato”, forse perché il recensore non si è accomodato nella sala una cui parete è in condivisione con quella della toilette: a noi è capitato e abbiamo così trascorso la cena sentendo in continuazione chiaramente il rumore degli sciacquoni che scaricavano l’acqua nel water, non esattamente il suono che mette a proprio agio quando stai mangiando. Ricordando quel momento con gli altri commensali che erano presenti allo stesso tavolo, oggi ci si ride sopra, ma non certamente con simpatia, bensì come uno dei momenti più imbarazzanti mai vissuti in un locale di ristorazione.
La recensione prosegue dicendo “l’accoglienza è gentile, premurosa”, abbastanza vero, peccato però che il nostro commiato sia stato molto meno cortese: a fine pasto ci è stata lasciata sul tavolo la bottiglia di un liquore, gesto che in tutti i locali del mondo rappresenta un atto di empatica generosità da parte dell’esercente, il quale così comunica implicitamente al cliente di potersene servire liberamente, senza parcellizzarne il costo.
Al momento di pagare però la persona alla cassa ci chiede: “quanti bicchierini avete bevuto del liquore che vi abbiamo lasciato in tavola?”. Tutti e cinque i commensali abbiamo sgranato gli occhi e spalancato la bocca in segno di sconcerto: basiti, abbiamo iniziato l’imbarazzante conta dei bicchieri, cercando di ricordarci quanti ne avessimo bevuti e chiedendoci se dovessimo autodenunciare anche di avere fatto mezzo dito di rabbocco. Tra di noi, c’è chi ha iniziato già da dentro il locale e a dire “qua non ci metto più piede”.
Anche su questo episodio oggi ci ridiamo su, amaramente. In fondo, ci è andata bene, perché non ci hanno fatto pagare anche l’aria che abbiamo respirato nel locale: sarebbe stato difficile contare anche i metri cubi di aria finita nei nostri polmoni…
Sempre nella recensione di Slow Food viene lodata “la lettura dei piatti da una carta piccola”, quindi al fortunato recensore non deve essere accaduto di chiedere informazioni ai camerieri: noi lo abbiamo fatto, precipitando in un involontario cabaret dell’assurdo. A un ragazzo che serviva ai tavoli, abbiamo chiesto lumi sui primi che ci ha portato, ma ci ha risposto che “dei primi sa tutto la ragazza”, intendendo la collega: quando a questa abbiamo chiesto di spiegarci i secondi piatti, ci ha risposto “dei secondi deve chiedere al ragazzo”, ovvero il collega citato prima.
E’ concepibile che i camerieri non siano istruiti su tutti i pochi piatti di una “carta piccola”? Dare informazioni dettagliate ai clienti, non dovrebbe essere uno dei primi imperativi di un’osteria che entri nella grazie di Slow Food?
Ultimo episodio, il titolare che ci porta in tavola un liquore al finocchio di loro produzione, dicendo che ce lo stava facendo provare in amicizia, perché fatto in casa e quindi non commercializzabile: peccato che poco dopo lo abbiamo visto in vendita nell’area shop del locale, con tanto di prezzo apposto. Perché allora recitare la parte dell’amico cortese che ci voleva fare provare qualcosa di speciale e riservato, quando invece si trattava di un normale prodotto in vendita?
I piatti? Corretti, ma non memorabili. Ha ragione la guida Slow Food quando si complimenta per le materie prime, davvero ottime, anche perché in buona parte prodotte dagli stessi titolari del locale. Ancora incerta invece era apparsa la mano del cuoco di allora, un giovane alle prime esperienze: cotture e presentazioni avevano evidenti difetti, tra cui una chiara piattezza organolettica.
Sarà migliorato nel frattempo questo locale? Non lo sappiamo e non abbiamo intenzione di verificarlo, anche perché le argomentazioni positive lette nella nuova guida Slow Food non ci sembrano sufficienti per giustificare un nuovo test.
Sulla base della nostra esperienza, l’inserimento di questo locale nella guida testimonia una volta di più il sensibile calo di attendibilità della redazione lombarda della guida di Slow Food: se si considera quanto siano pochi i locali della provincia di Varese segnalati, appare inconcepibile che nella versione ridotta della guida pubblicata dalla rivista Bell’Italia nel 2015 sia presente I Runchitt e sia stata invece esclusa l’Osteria dei Peccatori di Gallarate, la migliore di tutto il varesotto insieme a La Rava e la Fava di Busto Arsizio (presente invece in guida) e tra le prime d’Italia.
A ciò va aggiunto che parliamo dello stesso gruppo di collaboratori di Slow Food che ancora non ha messo in guida per la Lombardia né l’Osteréa dè la Anetì di Bergamo né Le Rubinie del Po del Ponte della Becca (Linarolo, PV), tra le più rigorose di tutto il Paese
Osterie che applicano quotidianamente tutto ciò che Slow Food professa da sempre, rientrando perfettamente quindi nella filosofia dell’associazione, sia in termini di politica dei prezzi che di valorizzazione di materie prime e ricette del territorio. Inoltre si tratta di osterie ben note ai collaboratori di Slow Food, i quali le hanno contattate, qualche volta anche per chiedere qualche cortesia o collaborazione: perché allora non vengono ancora incluse in guida? Il quesito è inquietante, la risposta potrebbe esserlo di più.
Certo è il grave calo di credibilità di quella che comunque rimane ancora l’unica guida sensata della ristorazione italiana, ma ormai soprattutto per demerito altrui.