“Schigi” di Extraomnes: birra artigianale come passione radicale
Luigi D’Amelio è una delle star assolute del mondo della birra artigianale italiana, dove è conosciuto da tutti con il nome d’arte di Schigi.
La birra l’ha vissuta sotto ogni aspetto, sempre sulle barricate e con innato spirito movimentista, oltre che caustico gusto per la provocazione.
“La birra è stata la mia prima passione giovanile”, racconta, “non si trovavano molte cose interessanti da bere all’epoca: si andava di Giraf, Bonne Esperance e Brigand… già la Chimay Blu era considerata una chicca rara”.
Resosi conto che per avere basi di degustazione era necessario fare un corso e che di corsi sulla birra non ce n’erano, ha puntato sulla formazione.
“Il primo corso sulla birra fu mio! Piozzo 1999, docenti Lorenzo Kuaska Dabove e Teo Musso”. Da lì nacque una grande amicizia con entrambi: “i viaggi in Belgio con Lorenzo furono la svolta: cominciai a capire veramente questo mondo e cosa mi piaceva effettivamente”.
Il passaggio definitivo e inevitabile è stato il Birrificio Extraomnes di Marnate (Varese), marchio fondamentale della birra artigianale italiana, grazie al quale si è aggiudicato il titolo di Birraio dell’Anno 2013, riconoscimento ideato e organizzato dal network Fermento Birra.
“In Extraomnes io sono il responsabile di produzione, mentre la proprietà fa capo alla El Mundo Spa che si occupa di torrefazione di caffè di alta qualità dagli anni sessanta: ho conosciuto Alessandro e Andrea a un corso sulla birra che tenevo io e al quale si erano iscritti, durante il quale mi hanno parlato del progetto che avevano assieme alla sorella di Alessandro, Annalisa, di produrre birra; vi ho intravisto una grande passione e la possibilità di collaborare soltanto in direzione della qualità”.
L’incontro avviene nel 2006, ma Extraomnnes nasce nel 2010, dopo anni di prove e messa a punto delle ricette.
Se si prova a definire Schigi come un intellettuale radicale della birra artigianale, lui si schermisce: preferisce definirsi un rompiballe, “nel senso che non transigo innanzitutto sulla sciatteria, visto che potrei uccidere per una locandina o un menu con le scritte RodeMbach e Guinnes; poi non sopporto coloro che non sono guidati dalla passione ma solo dalla ricerca dei profitti: è una fase in cui la birra artigianale tira e così spuntano da ogni parte personaggi che intravedono il business, birrifici aperti da imprenditori del tondino, corsi tenuti da sommelier del vino che non distinguono una Bitter da una Mild, appassionati che sentenziano dopo aver bevuto la loro ventesima birra, giornalisti a libro paga dell’industria birraria che organizzano eventi sulla birra artigianale, giudici che si ricordano della birra artigianale solo per svernare una settimana a Rimini”.
Il suo credo invece è che “bisogna parlare con i birrai, visitare i luoghi, bere con la gente: poi, forse, si conosce e dopo ancora, forse, si può esprimere un giudizio o un’opinione”.
Tra le sue polemiche più celebri ricorda “quando decisi assieme a Lorenzo Dabove, Davide Bertinotti, Max Faraggi e Carlo Canegallo di abbandonare Unionbirrai, in cui mi occupavo della didattica, per fondare MoBI, il Movimento Birrario Italiano: era arrivato il momento di separare i produttori dai consumatori; possono essere entrambi appassionati di birra artigianale e cercare di farla crescere, ma con obbiettivi finali personali sicuramente diversi: questa scelta ha causato un piccolo terremoto nell’ambiente e gli attori ancora ne subiscono strascichi”.
Gli aspetti negativi della produzione brassicola artigianale che Schgi stigmatizza sono “l’uso di materie prime scadenti, la fretta, affrontare uno stile birrario perché è commercialmente vantaggioso e il trascurare la degustazione”.
Il senso del lavoro di Schigi potete trovarlo nel suo racconto fatto davanti alla nostra telecamera.
Info: www.extraomnes.com