Le migliori tavole dell’Insubria, tra Lombardia, Piemonte e Svizzera
L’Insubria è una macroregione ideale che non esiste nella toponomastica bensì nella Storia, quella di genti mobili del Nord Italia che con il loro moto collettivo tracciavano percorsi e componevano collegamenti.
Il collegamento con il passato è dato dal suo nome ispirato agli Insubri, “antica popolazione che si stanziò tra i laghi prealpini a nord del fiume Po agli inizi del IV secolo a.C. e fino al II secolo a.C., quando vennero assoggettati ai Romani”.
Il riferimento ai tempi odierni è datato 1995, quando si decise che con il termine Regione Insubrica “ci si riferisce alla comunità di lavoro transfrontaliera istituita per facilitare i rapporti economici e lavorativi tra il Canton Ticino e le province italiane con cui confina e con cui ha molte affinità linguistiche, culturali e storiche: Verbano-Cusio-Ossola, Novara, Varese, Como, Lecco”.
A sancire la rilevanza culturale di questo territorio storico, è la presenza dell’Università degli Studi dell’Insubria, uno degli atenei più seri e prestigiosi d’Italia, il quale, non a caso, ha due sedi, una a Varese e un’altra a Como, confermando quindi il legame tra le aree riconducibili alla regione insubrica.
Nel telaio del tempo in divenire, vari fili hanno tessuto questo legame: quello enogastronomico è uno dei più potenti e tangibili.
Ci sono piatti e vitigni che segnano con la loro presenza la contiguità delle tradizioni alimentari di questi territori.
Per questo ci appare importante una recente pubblicazione che parla proprio di Insubria di Gusto. L’eccellenza della tavola insubrica, data alle stampa dall’Editoriale Giorgio Mondadori, gruppo Cairo.
Una guida essenziale non soltanto ai sapori ma anche alle bellezze dei territori toccati. Dopo un’introduzione sui luoghi da visitare in ogni città di rilievo, iniziano delle stringate schede sui ristoranti ritenuti più interessanti: una pagina, quindici righe circa, con traduzione in inglese a fianco.
Ecco le tavole scelte.
Nella zona di Como, Da Candida a Campione d’Italia, la Trattoria del Vapore a Cernobbio, La Veranda a Moltrasio, Tarantola ad Appiano Gentile, Tenuta dell’Annunziata a Uggiate Trevano, The Market Place a Como.
A Varese, Acquerello a Fagnano Olona, Al Gallione a Bodio Lomnago, Al Vecchio Convento a Varese Bizzozzero, Al Vecchio Faggio a Cuasso al Monte, Da Annetta a Varese, Osteria degli Angeli a Malnate, 2 Lanterne a Induno Olona, Ilario Vinciguerra Restaurant a Gallarate, Luce di nuovo a Varese, Madonnina a Cantello, Ma.Ri.Na. a Olgiate Olona, MoMa a Sesto Calende, Montelago a Ternate, Sole di Ranco a Ranco, Tana d’Orso nel Borgo di Mustonate.
A Novara, Le Fief di Oleggio Castello, Pinocchio di Borgomanero, Hotel San Rocco di Orta San Giulio, Tiro a segno ancora a Borgomanero.
Nel Verbano-Cusio-Ossola, Barabba a Casale Corte Cerro, Divin Porcello e Ristorante Vigezzina a Masera, Edelweiss e Locanda del Sasso a Crodo, Il Clandestino a Stresa, La Meridiana e La Stella a Domodossola, Piccolo Lago a Verbania.
Nel Canton Ticino, Atenaeo del Vino a Mendrisio, Castelgrande a Bellinzona, Crotto dei Tigli a Balerna, da Rodolfo a Vira Gambarogno, Grotto Serta a Lamone, La Belle Epoque a Minusio, Lago a Vico Morcote, La Sorgente sempre a Vico Morcote, Orico a Bellinzona, Motto del Gallo a Taverne, Osteria del Centenario a Muralto, mentre per Lugano ci sono Al Faro, Antica Osteria del Porto, Fresco, Il Salumaio di Montenapoleone, Olimpia, Sass Café.
Nella provincia di Lecco, Villa Calchi a Calco, Nicolin a Lecco, Pierino Penati a Viganò Brianza.
Per ogni provincia, vengono riportate alcune ricette tipiche. Per Como, i Misultit, la Filascetta, Tucc e Regell, Risotto al pesce persico. Per Lecco, la Cuncia, l’Agnello alla valsassinese, la Cutizza e la Rüsümada. Per Novara, la Paniscia, il Tapulone e le rane alla novarese. Per il Ticino, la busecca ticinese e il pesce in carpione. Per Varese, lavarello carpionato, Polenta Cumedada. Per il Verbano-Cusio-Ossola, Gnocchi all’ossolana, Lausciera.
Alcuni cenni anche sui prodotti tipici dei vari territori. A Como formaggi meravigliosi e antichi come lo Zincarlin e il Semuda, insieme a Pan Mataloc, Baschin e Masigott. A Lecco, Fiorone, Scapinasc, Patata Bianca di Esino, Chiavadini, Miascia e Paradell. A Novara, il Gorgonzola, il Salamin d’la duja, la Fideghina, Riso Balilla, Pane di San Gaudenzio, Baci di Fara e il Ghemme, strepitoso vino che mette insieme vitigni come il Nebbiolo locale (chiamato Spanna), la Vespolina e l’Uva Rara. Nel Ticino, Spampezia, il Merlot, poi un’altra versione dello Zincarlin e l’identitaria Farina bóna. A Varese, gli Asparagi di Cantello, i Caprini freschi della Valcuvia, i Brutti e Buoni di Gavirate, il Dolce Varese, la birra Poretti. Nel Verbano-Cusio-Ossola, Bettelmatt, Fugascine, Tarlàp, Prünent,
Un volume utile, anche se con qualche lacuna.
Colpisce la mancanza di un approfondimento sul vero piatto identitario dell’Insubria, quello che più unisce i vari territori: la Rostisciada, o Rustisciada, o Rustisciana, un piatto che cambia nome man mano che ci si sposta dal lecchese al varesotto, attraversando proprio l’Insubria. Viene inserito come Rustida quale ricetta tipica di Oleggio, ma a Busto Arsizio hanno fior di documenti che dimostrano come una ricetta simile negli ingredienti e nel nome sia profondamente legata al loro territorio.
Analogo il discorso per un’altra assenza che stupisce, il Pan Tramvai o Pan Tranvai, denominazione che anche in questo caso muta a seconda di dove ci si trovi, tra le provincie che se ne contendono la paternità: in primo luogo Varese, cui aggiungere il milanese e la Brianza, aree che secondo alcune interpretazioni potrebbero essere anch’esse annesse all’Insubria.
Di nuovo Busto Arsizio è vittima nel volume della più incredibile dimenticanza, i brüscitt: si tratta di una ricetta famosissima, impossibile da non conoscere sia per un semplice appassionato di cucina ma soprattutto per chi scrive di gastronomia, senza considerare che perfino i più seguiti programmi televisivi nazionali hanno raccontato tale preparazione. I brüscitt sono tra le ricette più importanti della cucina italiana, anche per il valore antropologico, essendo simbolo della cultura contadina, con tanto di Magistero che ne tutela la ricetta originaria: un simbolo assoluto delle tavole della provincia di Varese, impossibile da ignorare.
Da sottolineare anche l’omissione dell’unico vino da vitigno realmente autoctono del Ticino, la Bondola: oggi in declino, certamente, ma fondamentale se si vuole raccontare la vitivinicoltura ancestrale della Svizzera italiana. E poi, se si cita il Merlot ticinese, bisogna anche parlare del Nostrano, la versione declassata che però da tradizione si serve dei crotti.
A tutto questo vanno aggiunti i distillati di Uva americana, delizia che da sempre contraddistingue la cultura del bere ticinese. Anche in questo caso, nell’ambito enoico, sarebbe stato utile e suggestivo un riferimento all’importanza del Merlot nel comasco, visti i punti di contatto con l’enologia ticinese.
Capiamo che possano mancare i piatti antichi più difficili da trovare, ma per quelli appena citati stiamo parlando di evidenze impossibili da trascurare.
Pur sapendo che ci sarebbe molto di più di cui parlare, il volume rappresenta comunque un buon punto di partenza per approcciarsi ai sapori dell’Insubria.
Info: www.cairoeditore.it