Erbe selvatiche: le (poche) regole per una raccolta sicura
Raccogliere, cucinare e nutrirsi di erbe selvatiche non è difficile né pericoloso, a patto che si rispettino con rigore alcune regole, come peraltro in tutte le cose della vita. Non è necessario essere un botanico: io sono uno psicologo, lavoro ascoltando ed aiutando le persone. Questo hobby, questa passione per le erbe selvatiche mi consente di avere una relazione più curiosa, rispettosa, profonda e “gustosa” con la natura, una natura che rimane troppo sullo sfondo, per chi come me deve necessariamente vivere in città per motivi di lavoro. Basta armarsi di poche cose: alcune conoscenze, qualche suggerimento pratico, ben pochi strumenti per la raccolta e gli attrezzi di una normale cucina. Ma la cosa davvero fondamentale è il metodo, il modo di agire e procedere. Quello è centrale per avere successo, e su alcuni aspetti non sono ammesse deroghe.
C’è malapianta e malapianta. Non esiste eccezione alla regola: si mangia solo quello di cui si è sicuri al cento per cento. Sempre e comunque, senza “se” e senza “ma”. Se si ha qualche dubbio su un’erba/pianta, e non si riesce a scioglierlo con certezza, non va mangiata nel modo più assoluto. Non sono molte le piante rigorosamente tossiche o mortali, e ancor meno sono quelle che, di queste, si prestano a confusione con piante edibili. Ma in alcuni casi ci si deve andare cauti: qua e là è possibile sbagliarsi e rischiare, anche molto.
Curiosità e pazienza: un passo alla volta. Ogni volta che si coglie un’erba sconosciuta, è bene raccogliere solo qualche campione: qualche foglia, un bocciolo, una pianticella intera. Lo si porta a casa e si approfondisce la sua conoscenza (fotografie, libri e siti specializzati, esperti competenti, botanici). Solo quando si è capito di cosa si tratta, e come, dove e quando si può raccogliere, si può procedere con una raccolta più sostanziosa… a partire dall’uscita successiva.
La natura sostiene l’uomo se tu sei sostenibile con lei. Le piante vanno colte con rispetto! Mai prelevare germogli, foglie o parti che le lascino moribonde o deperite. Quante volte mi è capitato di passare in incolti ricchi di cùei dove raccoglitori, o per meglio dire razziatori, trascurano la salute dello spinacio e si riempiono la borsa di piante intere, trascurando peraltro specie golosissime e più ricche di nutrienti che gli crescono giusto a fianco, come l’ortica (urtica dioica).
La raccolta va fatta lasciando alla pianta la possibilità di riprendersi e ricacciare altre foglie, germogli, polloni o fiori. A seconda della propria botanica, ogni pianta ha le sue “regole di ingaggio” con cui offre all’uomo le sue parti migliori senza risentirne troppo. Anche se, per fortuna nostra e sventura del contadino, talvolta le malerbe son così infestanti e piene di vita che non c’è proprio modo di nuocergli! In questi casi si può serenamente dare fondo ai propri istinti predatori e dare il via ad un accaparramento selvaggio.
Un minimo di organizzazione e attrezzatura. Consiglio di uscire a raccolta con ben poche cose: sacchetto di stoffa, coltellino e/o forbici, eventualmente guanti (ad esempio per le ortiche), sacchetti di plastica trasparenti da congelatore. Dato che si coglie solo ciò che si conosce, niente libri: alla verifica si penserà a casa con calma (vedi regola n.2). Fondamentale: le verdure non si puliscono a casa, ma già al momento della raccolta! Basta raccogliere solo le parti della pianta che interessa, di esemplari sanissimi e puliti, dividendoli per tipologia nei diversi sacchetti, oppure a seconda dell’uso previsto: in un sacchetto la raccolta per la misticanza, in un altro quello per il misto da cuocere, nel terzo i fiori, nel quarto le ortiche per gli gnocchi, nel quinto i singoli campioni da verificare e così via.
Buone misure pratiche e sanitarie in cucina. Le erbe da insalata van sempre lavate molto e con cura, rigorosamente intere per non disperdere sali e nutrienti: affettarne alcune sottilmente è in alcuni casi utilissimo per il consumo, ma va fatto dopo il lavaggio. E’ consigliabile un’oretta precauzionale in acqua e bicarbonato, o amuchina: passaggio evitabile se si è sicuri di dove si è colto, inevitabile invece per le erbe palustri come il crescione (nasturtium officinalis) o le veroniche (veronica beccabunga, veronica anagallis). Alcune piante dopo il lavaggio richiedono un tuffo in acqua bollente: serve in alcuni casi per decomporre sostanze irritanti (come per l’ortica e la vitalba, clematis vitalba), in altri casi per attenuare l’amaro, oppure per esigenze meramente culinarie. Non offrono problemi di conservazione, anzi resistono in frigo circa il doppio del tempo delle loro cugine “industriali” (consiglio avvolgimento in un panno di cotone). Naturalmente, non ci sono problemi nel conservarle in freezer dopo una sbollentata. E’ consigliabile però, in via generale e se il gusto non rimane troppo forte per i nostri palati disabituati, la cottura a vapore: conserva maggiormente sapori e nutrienti rispetto al passaggio in acqua bollente.
E poi, in cucina! Concluderei con una rassicurazione: esistono procedure, metodi, trucchi e ricette che consentono di rendere accessibili al palato anche le erbe commestibili più ostiche, amare o durette. Il risultato più entusiasmante è che in questo modo la nostra bocca impara a riscoprire e tollerare sapori assai più ricchi, a volte esplosivi, raddoppiando l’ampiezza della nostra esperienza gustativa.