Il MAMbo di Bologna, centro di gravità culturale permanente
A consolidare l’immagine culturale di Bologna ha contribuito la creazione del MAMbo, il Museo d’Arte Moderna, nonché sede dell’Istituzione Bologna Musei.
Una struttura un po’ retrò ricavata dall’antico forno comunale, trasformato nel centro privilegiato per la sperimentazione postmoderna dell’arte nel solco della ricerca “delle più innovative e pulsanti pratiche di sperimentazione”.
Il MAMbo sorge nel complesso della Manifattura delle Arti, eclettico distretto culturale composto dalla Cineteca di Bologna, dai laboratori del dipartimento accademico del DAMS, da quello di Scienze della Comunicazione e dal Cassero, storico circolo della cultura omosessuale bolognese, collegato esternamente al museo dallo splendido Giardino del Cavaticcio.
I primi mattoni dell’edificio vennero posti nel 1915 grazie al sindaco Francesco Zanardi, non per finalità artistiche ma per garantire l’approvvigionamento del pane ai cittadini bolognesi durante la Grande Guerra.
Le condizioni di estrema indigenza di larga parte della popolazione spinsero infatti il primo cittadino all’ideazione di questo enorme centro di panificazione, caratterizzato dalla pianta rettangolare, dalle enormi vetrate e impreziosito esternamente dai decori cementizi realizzati dal professore Roberto Cacciari.
L’attività produttiva venne differenziata nel 1927 e integrata dalla conservazione dei prodotti alimentari all’interno delle medesime mura, ampliate sotto l’egida dell’ingegner Carlo Tornelli, fino a misurare 105 metri.
Le modifiche sostanziali apportate in quegli anni investirono ovviamente anche gli ambienti interni, attraverso l’installazione stratificata di depositi del vino, di celle frigorifere per la conservazione delle carni e macchinari per la lavorazione dei derivati del latte.
Il fabbricato venne così adibito a Ente Autonomo dei Consumi, fino al fallimento dello stesso nel 1936.
Per risollevare le sorti dell’antico panificio bolognese intervenne nel dopo guerra il sindaco Zanardi, attivandosi per il ripristino dell’Ente che rimase in funzione sino al 1958.
La successiva gestione dell’edificio passò nelle mani del Comune, diventando la sede di scuole medie prima, dell’officina dell’Istituto Professionale Fioravanti poi, finendo per essere affittato alle iniziative dei privati.
Il processo di conversione dell’antico forno in dimora d’arte prende corpo a metà degli anni ’90. L’ambizioso progetto poggiava sulla trasformazione della storica struttura in un centro di gravità culturale permanente, mantenendone però intatta l’identità architettonica.
Al termine della ristrutturazione, pianificata dal celebre architetto Aldo Rossi, il MAMbo si presentava suddiviso al suo interno in tre piani, e lo è tuttora, distribuiti sui 9.500 m2 complessivi.
“Nell’ampio ingresso al pian terreno si affacciano il Foyer e la Sala delle Ciminiere, completa degli originari camini del vecchio panificio, ora adibita a spazio per le esposizioni temporanee. Sono allo stesso piano Bar/Ristorante ex Forno del Pane e il CorrainiMAMbo artbookshop, accedibili entrambi anche dal portico esterno. Il livello più basso è condiviso dal Dipartimento educativo e dalla Sala Conferenze, interrati in un lato e con affaccio sul giardino del Cavaticcio e Manifattura delle Arti dall’altro. La Biblioteca-emerotecad’arte contemporanea è raggiungibile al piano ammezzato. L’intero primo piano è riservato alle sale espositive della Collezione Permanente del MAMbo e di Museo Morandi”.
La nascita del MAMbo si lega quindi in maniera indissolubile al pilastro museale felsineo, animatore per oltre trent’anni del dibattito culturale cittadino grazie alle presentazioni delle avanguardia a fianco delle riletture della storia dell’arte italiana e internazionale.L’idea di stravolgere caratterialmente lo storico fabbricato rispose all’esigenza di dare asilo alle collezioni e alle mostre d’arte contemporanea della Galleria d’Arte Moderna di Bologna.
La mission del museo andava ben oltre però la semplice ospitalità della storica GAM. Il MAMbo intendeva infatti superare i confini del mero spazio espositivo, proponendosi piuttosto come punto di riferimento sperimentale, sociale e informativo per le nuove leve dell’arte contemporanea, in una cornice internazionalizzata grazie anche all’International Contemporary Art Network. Obiettivo centrato in pieno.
Dal 2007, anno della sua inaugurazione, il MAMbo è diventato in meno di un decennio il crocevia di innumerevoli mostre prestigiose, assurgendo in breve tempo a luogo privilegiato per le esposizioni di arte contemporanea in Italia.
Il MAMbo può inoltre vantare una collezione permanente per cui vale senz’altro la pena spendere qualche ora del proprio tempo.
Punta di diamante è indubbiamente la sezione dedicata a Giorgio Morandi, con una carrellata di opere che evidenziano l’influenza esercitata dall’illustre artista bolognese sull’arte contemporanea.
Un aspetto, questo, che crea un filo rosso semantico con le aree tematiche del percorso espositivo, in cui spiccano gli aspetti maggiormente innovativi della pratica artistica dal dopoguerra sino ai nostri giorni, visti attraverso l’esperienza dell’ex Galleria d’Arte Moderna.
La prima, Arte e ideologia, annovera dipinti del calibro de I Funerali di Togliatti di Renato Guttuso e Morire per Amore di Roberto Sebastian Matta, calibrando come è evidente la propria attenzione sull’aspetto politico e intellettuale degli anni ’60.
La seconda, 1977. Arte e azione, si focalizza sui grandi fermenti socio-culturali in atto a Bologna e in Italia in quell’anno, caricato di significati drammatici ma anche di una ritrovata vena creativa. Fra i maggiori protagonisti della rassegna compaiono Marina Abramovic e Ulay, Gina Pane, Hermann Nitsch e Luigi Ontani.
La terza, 1968 I – Nuove prospettive, raccoglie opere di Gianni Colombo, Enrico Castellani, Bridget Riley o Giovanni Korompay che compongono il primo nucleo di collezione della GAM, segnato dalle ricerche spaziali e ambientali, e integrato da quelle di Grazia Varisco, Getulio Alviani, Dadamaino, Gruppo T e Gruppo N e da altri interpreti dell’Arte Cinetica e Programmata.
La quarta, 1968 II – Arte Povera, è dedicata all’emergere del movimento italiano tra i più influenti e importanti del XX secolo, basato sul rigetto dell’arte tradizionale attraverso la riscoperta del valore dei materiali “poveri”, quali legno e plastica.
La quinta, Forma 1, è un omaggio al medesimo manifesto sottoscritto nel 1947 da Carla Accardi, Ugo Attardi, Pietro Consagra, Piero Dorazio, Mino Guerrini, Achille Perilli, Antonio Sanfilippo e Giulio Turcato per proporre una mediazione artistica tra astrattismo e realismo, dichiarandosi “formalisti e marxisti, convinti che i termini marxismo e formalismo non siano inconciliabili”.
La sesta, L’Informale, muove dalla mostra Informale in Italia tenutasi nel 1983 alla Galleria d’Arte Moderna di Bologna dedicata a Francesco Arcangeli, fondamentale rivisitazione della tendenza su scala nazionale del movimento che attecchì nel dopoguerra in tutta Europa.
La settima, Arcangeli: l’Ultimo Naturalismo, omaggia lo storico direttore della GAM nella definizione di quelli da lui definiti, nei due celebri articoli apparsi sulla rivista Paragone negli anni ’50, come gli Ultimi Naturalisti, individuati nei pittori Pompilio Mandelli, Mattia Moreni, Ennio Morlotti, Sergio Vacchi, Sergio Romiti, Vasco Bendini.
L’ottava, Focus on Contemporary Italian Art, si propone come un’officina al servizio delle pratiche avanzate da artisti italiani negli ultimi decenni, subito dopo l’esplosione dell’Arte Povera e della Transavanguardia.
Un laboratorio in continua evoluzione, teso, come si legge sul sito ufficiale del museo, a sostenere i “giovani artisti italiani delle ultime generazioni, aiutandoli nella realizzazione di lavori da presentare in importanti rassegne internazionali e promuovendo innovative pratiche per favorire la crescita generale del sistema dell’arte in Italia”.
L’ultima, Nuove Acquisizioni, chiude il percorso espositivo della collezione permanente del MAMbo. Un collage espositivo in cui rintracciare le opere di importanti artisti internazionali, ospitate negli anni scorsi con mostre personali, tra cui quelle di Matthew Day Jackson e Planem Dejanoff.