Specialmente… a Roma: luoghi da scoprire
I luoghi sorprendenti di Roma: fuori dalla cartolina, dentro la città vera
Roma è la città italiana con la maggiore inflazione di posti da cartolina, quelli “che non puoi non avere visto nella vita”, un tempo meta inevitabile delle gite scolastiche, oggi sfondi prediletti per l’agghiacciante moda dei selfie.
Basta però allontanarsi qualche metro dalla selva degli autoscatti buoni per l’esibizionismo di Facebook per scoprire invece storie e luoghi di Roma non meno emozionanti delle grandi vestigia archeologiche della città.
Non c’è zona, quartiere o rione che non nasconda un suo scrigno di emozioni da visitare o anche semplicemente incontrare: seguire la mappa nascosta dei luoghi insoliti, vuol dire anche conoscere davvero l’anima più intima di Roma.
Recarsi alla stupefacente Centrale Montemartini vuol dire venire a contatto con la parte più brutalmente urbana della zona Ostiense, dove la bellezza non puoi trovarla nei monumenti ma devi cercarla magari in qualche scorcio metropolitano, fosse anche la facciata di un palazzo.
E’ il brulichio della popolazione universitaria che sciama tra traffico intenso e qualche sparuta villetta, la caratteristica che colpisce di più andando a visitare Il Museo Birra Peroni nella zona di Tor Sapienza che in alcuni tratti in nulla ricorda di essere a Roma.
Cercare i luoghi insoliti di Testaccio ti fa comprendere come questo sia il rione delle grandi passioni: quella per la cucina popolare trova un cuore archeologico nella preziosa cantina di Checchino, rivestita di anfore rotte di epoca romana, mentre gli appassionati di calcio di tutte le fedi non possono perdersi una mostra emozionante come Roma Ti Amo, in quella sede del Macro – Museo d’arte contemporanea di Roma che un tempo ospitava il mattatoio.
Anche le zone ritenute più pittoresche hanno anfratti di cultura, come quella popolare e poetica proposta dal Museo di Roma in Trastevere che dà respiro intellettuale a un rione altrimenti ostaggio di una rumorosa e superficiale movida.
La rabdomanzia museale può condurti a belle scoperte anche in centro, come nel caso del Mu.Cri, il Museo Criminologico di Roma che porta nel cuore del rione Ponte uno spaccato dell’anima nera dell’uomo e dell’eterna lotta contro il Male.
E, rimanendo in pieno centro, se pensate che piazza Navona per voi non abbia più segreti, provate ad andarci all’ora in cui si esibisce nonno Adriano…
Per godere di tutto ciò, basta proseguire nella lettura di questo Speciale.
Centrale Montemartini a Roma: le macchine e gli dei
Il punto d’incontro di tutti i passati di Roma. Nel museo della Centrale Montemartini in via Ostiense 106, il passato remoto dell’archeologia classica si fonde con il passato prossimo dell’archeologia industriale.
E’ così che le monumentali vestigia metalliche della fabbrica di un tempo fanno da sfondo a centinaia di statue e reperti della Roma antica, creando un allestimento singolare che sbalordisce i visitatori.
Colpisce il contrasto tra le mastodontiche strutture della prima centrale elettrica pubblica romana e le tantissime sculture trasferite in questa sede dalle collezioni dei Musei Capitolini.
Le fredda pesantezza delle geometrie funzionali dei macchinari viene così addolcita dalla gentilezza del tratto delle opere dei maestri scultori del periodo dall’età repubblicana fino alla tarda età imperiale, capolavori della scultura rinvenuti negli scavi della fine dell’Ottocento e degli anni Trenta del 1900.
“La storia del polo espositivo dei Musei Capitolini nella ex Centrale Termoelettrica Giovanni Montemartini, straordinario esempio di archeologia industriale riconvertito in sede museale, ha avuto inizio nel 1997 con il trasferimento di centinaia di sculture in occasione della ristrutturazione di ampi settori del complesso capitolino” spiegano dalla struttura romana dei Musei in Comune.
“Per liberare gli spazi del Museo del Palazzo dei Conservatori, Museo Nuovo e Braccio Nuovo mantenendo accessibili al pubblico le opere, è stata infatti allestita nel 1997 negli ambienti ristrutturati della prima centrale elettrica pubblica romana una mostra dal titolo Le macchine e gli dei, accostando due mondi diametralmente opposti come l’archeologia classica e l’archeologia industriale”.
“L’adeguamento della sede a museo, il restauro delle macchine e la sezione didattica del settore archeo industriale sono stati realizzati dall’Acea” informano i gestori…
… specificando che “è inserito all’interno di un più ampio progetto di riqualificazione della zona Ostiense Marconi, che prevede la riconversione in polo culturale dell’area di più antica industrializzazione della città di Roma (comprendente, oltre alla centrale elettrica Montemartini, il Mattatoio, il Gazometro, strutture portuali, l’ex Mira Lanza e gli ex Mercati Generali) con il definitivo assetto delle sedi universitarie di Roma Tre e la realizzazione della Città della Scienza”.
“La centrale fu inaugurata nel 1912 e intitolata già dall’anno successivo alla memoria dell’Assessore al Tecnologico, Giovanni Montemartini”, racconta il sito: “l’area prescelta era vicina al fiume, per una disponibilità continua d’acqua, e fuori della cinta daziale, non soggetta quindi ad imposte sul combustibile”.
“Nel 1963 una parte degli impianti fu messa fuori servizio e pochi anni dopo anche il resto cessò l’attività; ristrutturata e trasformata durante gli anni ‘80 in Art Center, la Centrale ospita oggi un’esposizione permanente di sculture provenienti dalla collezione dei Musei Capitolini”.
Il percorso espositivo labirintico crea una piacevole sensazione di spaesamento: abbandona l’idea di uno storytelling per concentrarsi sull’emozione resa da un’atmosfera oggettivamente unica.
Chiunque l’abbia visitata – e sono pochi purtroppo – ne serba un ricordo entusiasta: sicuramente uno dei luoghi più singolari della città, alla cui notorietà nuoce la collocazione decentrata, per quanto sia posizionato non distante dalla fermata metro Garbatella e servits da bus che collegano direttamente con il centro.
Insomma, sembra lontano, ma è decisamente a portata di mano, esattamente come il Passato che racconta…
Info: www.centralemontemartini.org
Al Museo di Roma in Trastevere, in scena poesia e cultura popolare
Nel cuore della movida di uno dei quartieri più caratteristici di Roma, si possono trovare anche squarci di riflessione culturale: avviene grazie al Museo di Roma in Trastevere in Piazza Sant’Egidio, capace, con qualche pennellata poetica ed espositiva, di tratteggiare una piccola ma intensa storia moderna della Capitale.
Ha sede in un edificio storico che dal ’600 fino a dopo l’unità d’Italia fu convento delle Carmelitane scalze. Qui è nato nel 1977 come Museo del Folklore e dei poeti romaneschi, attingendo alle collezioni del Museo di Roma.
“Trasferire nella nuova sede di Trastevere i materiali più strettamente attinenti alla documentazione della vita quotidiana e delle tradizioni romane traeva le sue motivazioni dalla ideale e privilegiata connessione che era possibile instaurare fra museo e territorio” , spiega in un editoriale Maria Elisa Tittoni, dirigente dei Musei d’Arte Medievale e Moderna fino al settembre 2011.
“Trastevere, infatti, per le sue peculiari caratteristiche poteva essere considerato il rione romano dove fosse possibile ancora rintracciare frammenti e stimoli della cultura popolare”.
E’ alla fine degli anni novanta che la struttura assume la denominazione odierna, quando “venne riproposta una nuova e più aderente ai tempi sistemazione dei materiali dello Studio Trilussa da tempo confluiti insieme al suo archivio al Museo costituendo una preziosa testimonianza della produzione letteraria in dialetto romanesco e di uno dei suoi più celebri interpreti”.
Peculiarità dell’allestimento sono le cosiddette Scene Romane, “scenografie riproducenti a grandezza naturale aspetti della vita popolare romana del primo Ottocento”…
… testimoniando “con la commistione di pezzi autentici e oggetti confezionati ad hoc, un modo di esporre la cultura popolare tipica dei primi decenni del ‘900”.
Le tre Scene Romane più antiche, Osteria, Saltarello e Scrivano pubblico, sono state esposte per la prima volta nel 1930. In seguito ne vennero realizzate altre da Orazio Amato, le Scene dei pifferai, del carro a vino, della portantina e della farmacia, “costruite con tutti i mezzi e gli accorgimenti scenografici necessari per creare la illusione della realtà”.
Al ritratto di questo scorcio di storia romana, concorrono acquerelli, dipinti, incisioni, rappresentando usi e costumi, feste e tradizioni.
La Poesia acquista centralità nella Stanza di Trilussa, condensato dell’universo del vate della romanità espresso attraverso videoinstallazioni, oggetti, fotografie, lettere, cartoline, giornali, disegni e filmati.
Il Museo ospita anche mostre, spettacoli e convegni.
Negli ultimi anni si è accreditato soprattutto come una delle più importanti sedi di esposizioni fotografiche in città, sempre di notevole interesse, in alcuni casi baciate da grande successo di pubblico.
Se si vuole davvero comprendere quali siano le radici popolari della Roma moderna, è inevitabile visitare questo delizioso museo.
Info: www.museodiromaintrastevere.it
Il Museo Criminologico di Roma: in mostra delitti e castighi
Un viaggio unico nel lato oscuro dell’essere umano. Il Mu.Cri, Museo Criminologico di via del Gonfalone 29 a Roma, è molto più di un’esposizione di reperti di eventi delittuosi e delle pene che ne sono scaturite: è un percorso tra le aberrazioni che possono condurre un essere umano a uccidere, atto non meno cruento di certi violenti metodi di correzione e sanzione.
Non un catalogo di efferatezze da parte di buoni e cattivi, quindi, bensì una discesa agli Inferi dal taglio quasi poetico che racconta tantissimo della nostra specie, alla luce dell’eterna lotta tra Bene e Male.
Significativo che di un simile museo sia titolare il Dipartimento Amministrazione Penitenziaria del Ministero della Giustizia, egida istituzionale che garantisce rigore scientifico laddove si potrebbe trascendere nel macabro gratuito: invece tutto lo storytelling si attiene a criteri oggettivi e scientifici, per quanto sia possibile razionalizzare la ferocia.
Altamente simbolica anche la sua sede odierna, quel Palazzo del Gonfalone che nel 1827 fu fatto costruire da Papa Leone XII con la funzione di carcere minorile.
Come istituzione però il Museo Criminologico è stato fondato nel 1930 dall’Amministrazione penitenziaria, quale “utile supporto per lo studio del sistema penale e penitenziario, oltre che strumento scientifico per la formazione di funzionari e magistrati e di divulgazione al tempo stesso”.
Dopo alterne vicende, ha ricevuto nuovo slancio nel 1994, sulla spinta di un rinato interesse per lo studio dei sistemi penitenziari e della criminologia.
“L’esposizione”, spiegano i gestori, “tra i tanti reperti in mostra, di antichi strumenti di punizione e di esecuzione capitale, testimonia la crudeltà dei sistemi punitivi del passato, contrapposti alle finalità della pena sancite dalla Costituzione, principi su cui si fonda l’Ordinamento penitenziario vigente”.
Tre le sezioni. Nella prima, in mostra gli strumenti di tortura e quelli per l’esecuzione delle pene capitali: le gogne, il banco di fustigazione, l’ascia per la decapitazione, la Vergine di Norimberga…
… il collare spinato, la sedia di tortura, la “briglia delle comari”, scudisci, fruste, nonché il mantello rosso del celebre Mastro Titta, boia dello Stato Pontificio.
Nella seconda sezione, dedicata all’Ottocento e agli studi di Antropologia criminale, ecco frammenti di storia carceraria, reperti sui manicomi giudiziari e il fenomeno del brigantaggio.
Nella terza sezione, “una sorta di Wunderkammer (stanza delle meraviglie) del crimine per l’eterogeneità degli oggetti esposti: reperti provenienti dalle carceri italiane in un arco di tempo che va dagli anni Trenta agli anni Novanta del Novecento”.
Quindi “testimonianze di fenomeni devianti e criminali: spionaggio; criminalità organizzata; ricettazione e furto di opere d’arte; gioco d’azzardo. Un’area è dedicata agli omicidi ed ai fatti di cronaca che suscitarono molto scalpore negli anni del secondo dopo guerra”.
Da questo museo è transitata anche la triste storia post-mortem di Giovanni Passannante, l’anarchico che nel 1878 attentò senza successo alla vita di re Umberto I. Secondo alcuni storiografi, si trattò di un tentativo volutamente fallito, al fine di attirare l’attenzione sulle istanze libertarie sostenute da Passannante: una vicenda controversa raccontata anche in un film del 2011, diretto da Sergio Colabona, il quale documenta proprio la controversa vicenda della sepoltura dell’anarchico nella sua città d’origine, Savoia di Lucania. I resti di Passannante sono stati ospitati in questo museo dal 1936 fino al momento della loro riconsegna alla sua città, nel 2007.
Andiamo a visitare il Museo Criminologico con la responsabile Assunta Borzacchiello.
Info: www.museocriminologico.it
Il Museo della Birra Peroni, a Roma
Nel Paese del vino, forse non ci si è accorti a sufficienza di quanto anche la birra rappresenti un pezzo di identità dell’Italia. Basta una visita al Museo Birra Peroni per rendersi conto di quanto questa bevanda e soprattutto la marca in oggetto abbia accompagnato la storia personale di intere generazioni di italiani.
Basta fare un giro nei quartieri popolari di Roma, città della sua sede centrale odierna, per vedere quante tracce Peroni abbia lasciato anche nell’arredo urbano, oltre che nel contrassegnare la gastronomia popolare.
Il bell’allestimento del Museo in via Renato Birolli 8 a ogni passo ti fa annuire col capo, perché con le sue suggestive ricostruzioni scenografiche mette in risalto tante cose che siamo abituati a dare per scontate. Per esempio tutti quei momenti di vita popolare in cui si è scelta la compagnia dela birra Peroni, oppure quanto abbiano segnato l’immaginario collettivo le sue campagne pubblicitarie.
Nell’allestimento l’area dedicata alla réclame, con in testa gli spot televisivi, è quella che più di tutte fa scattare l’effetto amarcord, con una punta di nostalgia per la bella televisione che fu ma anche per una certa ingenuità di massa che oggi appare romantica.
Quanti italiani hanno perso la testa per Solvi Stubing, l’attrice tedesca che dopo un’attività nel cinema e nei fotoromanzi divenne “la bionda” per eccellenza grazie al ruolo di testimonial negli anni sessanta della celebre pubblicità televisiva della Peroni.
Meno si ricorda invece che lo stesso ruolo di testimonial è stato coperto anche da Claudio Lippi…
… e da un certo Mario Girotti, futuro Terence Hill.
Non meno interessante il resto del percorso del Museo Birra Peroni, chiaro e suggestivo nel raccontare la storia dell’azienda dal 1846 ad oggi, con il supporto di documenti e immagini d’archivio.
Inaugurato nel 2001, “documenta gli aspetti produttivi, commerciali e di costume che hanno sancito il successo prima nazionale e poi internazionale dei marchi Peroni e Nastro Azzurro, dalle loro origini ad oggi”, dicono dall’azienda, grazie al contributo di un “Archivio Storico, dichiarato di notevole interesse storico dalla Soprintendenza Archivistica per il Lazio nel 1996, conserva oltre 500 metri lineari di documentazione in faldoni e registri, 10.000 scatti fotografici, video, oggettistica, confezioni e materiali pubblicitari”.
Tre le sezioni del Museo, “dove i pannelli narrativi si accompagnano ad oggetti, arredi d’ufficio, materiali di confezionamento e promozionali, filmati d’epoca, fotografie, utensili, mezzi di trasporto, manifesti e antichi macchinari”.
Descrivono “uno spaccato della storia aziendale nella prima metà del Novecento”, il processo produttivo “ricostruito attraverso macchinari e oggetti originali”, l’evoluzione del packaging e del materiale promozionale, la storia della comunicazione pubblicitaria.
Fruibile attraverso visite guidate e percorsi didattici, significativamente inglobato nella sede produttiva e amministrativa dell’Azienda, il Museo si distingue anche come centro di ricerca per studiosi e studenti, collaborando con le università. Ovviamente, a fine visita, immancabile la degustazione dei prodotti Peroni.
A parlarci della struttura è Daniela Brignone, Curatrice Archivio Storico e Museo Birra Peroni.
Quando il calcio è (davvero) un’arte: in mostra la storia della Roma
Non è possibile raccontare Roma prescindendo dal calcio. Non si tratta di semplice passione sportiva, ma di un elemento fondante della cultura popolare cittadina. E’ argomento di discussione principe nei bar e nelle radio locali, motore di movimenti di massa in direzione stadio nei giorni delle partite, elemento identitario di interi quartieri che si contraddistinguono per la loro fede come accade nelle contrade di Siena con il Palio. Soltanto che a Roma il palio si corre ogni settimana, incendiando i cuori delle tifoserie.
Un simile caposaldo del sentimento cittadino merita di essere preso sul serio anche dal mondo della cultura. E’ ciò che avviene grazie alla mostra Roma Ti Amo allestita alla Factory Pelanda, la prima a narrare ufficialmente la storia della AS Roma. Quasi d’obbligo la sua collocazione nell’ex Mattatoio di Testaccio, visto che proprio in questo rione ha tirato i primi calci la squadra giallorossa.
Fino al 20 luglio 2014 sarà così possibile vivere la storia sportiva, umana e collettiva di una squadra di calcio amata alla follia come poche altre. Una vicenda sportiva raccontata attraverso il linguaggio dell’arte, grazie all’allestimento curato con grande estro da Nicolas Ballario, con l’attenta produzione di Arthemisia Group.
Oltre cinquecento pezzi tra cimeli, documenti, fotografie, trofei, oltre ottanta maglie storiche, una galleria di oltre cento prime pagine storiche, quindi installazioni, video e interattività”, il tutto incastonato tra costruzioni scenografiche capaci di avvincere anche chi non dovesse seguire il calcio.
Tanti i pezzi inediti, come la scrivania dello studio di Italo Foschi dove venne fondata lʼAS Roma, quindi documenti, maglie storiche, tessere, trofei che arrivano dalla Società giallorossa e da grandi collezionisti di cimeli del club, come il Centro Studi dellʼUnione Tifosi Romanisti.
Gli organizzatori garantiscono comunque un ruolo centrale ai tifosi “che troveranno installazioni sensazionali, come il gigantesco calcio balilla che sarà teatro di una sfida eccezionale: lʼattuale squadra contro la rosa storica della Hall of Fame eletta dai tifosi romanisti. Totti che affronta Falcao, De Rossi nel confronto diretto con Conti, De Sanctis in sfida con Tancredi”.
“Questa straordinaria città ha cresciuto con amore e passione una squadra che le è figlia naturale, lʼAssociazione Sportiva Roma”, racconta James J. Pallotta, Presidente Associazione Sportiva Roma: “animata negli Anni ’20 e ’30 da un’impertinente tenacia giovanile, con il trascorrere dei decenni la Roma è cresciuta e maturata, offrendo su centinaia di campi di gioco non soltanto un esempio unico di orgoglio, autenticità e resilienza”, fino a rappresentare “un modo di vivere”.
Il percorso della mostra si snoda lungo oltre 1300 metri quadrati, partendo dalla sala della prefondazione, con i cimeli dei tre Club che diedero vita alla Società giallorossa: Fortitudo-ProRoma, Alba-Audace e Foot Ball Club di Roma.
Si procede con i primi trionfi in Coppa Italia e campionato, come il primo Scudetto nella stagione 1941/42, fino ad arrivare ai successi odierni.
Scorrono i volti dei campione che hanno reso grande la squadra, da Attilio Ferraris IV a Giacomo Losi, da Falcao ad Agostino Di Bartolomei, da Bruno Conti a Pruzzo, fino alle bandiere di oggi, Daniele De Rossi e Francesco Totti, del quale è presente perfino la prima tessera da bambino prodigio.
Sei sale suddivise per epoche che raccontano quasi ottantasette anni di emozioni in campo e sugli spalti, capaci di emozionare non soltanto i tifosi ma anche i semplici appassionati dello sport o i curiosi delle passioni umane.
Infatti gli organizzatori ci tengono a sottolineare come non si tratti di “una semplice mostra su una squadra: Roma ti Amo è il punto di incontro tra arte e sport, nonché la celebrazione del calcio come fenomeno sociale radicato nella cultura e nella storia del nostro Paese. Un percorso sensoriale molto variegato, che riuscirà ad arrivare al cuore di ogni visitatore ripercorrendo le tappe del passato e del presente”.
Ecco come la descrive il curatore.
Info: www.asroma.it
La cantina dal cuore archeologico: da Checchino a Roma
Roma è talmente debordante di Storia che puoi trovarla anche nei posti meno consueti, come i ristoranti o le cantine.
E’ il caso affascinante della Cantina di Checchino dal 1887, “scavata sotto il monte di Testaccio, collina fatta di pezzi di anfore di terracotta eretta durante il periodo dell’Impero Romano”, come spiega il sito dell’osteria: “sono anfore da trasporto utilizzate dai mercanti Romani per trasportare olio, vino, frumento, sesterzi e tutto ciò che potevano contenere”.
“Queste anfore una volta usate non potevano essere riutilizzate perché essendo porose erano soggette a deterioramento, inoltre era più oneroso pagare il dazio per riportarle indietro vuote piuttosto che costruirne delle nuove nei luoghi d’origine (Spagna, Grecia e Africa). Quindi le suddette anfore venivano rotte e accatastate in maniera ordinata in questo luogo fino a formarne una collina che attualmente misura circa 46 metri di altezza per un km di perimetro di base”.
“Quindici milioni di metri cubi di anfore che hanno dato il nome al quartiere Testaccio, dal Latino Testa/testae che vuol dire anfora di terracotta, quindi il Testaceum appunto fatto con la terracotta delle anfore. La cantina di Checchino dal 1887 è scavata sotto il monte di anfore detto a Roma Monte dei Cocci”.
E’ tale il pregio di questo luogo storico che i titolari di Checchino si prestano generosamente a farla visitare ai loro clienti, i quali rimangono a bocca spalancata alla vista della stratificazione delle anfore. Tanto da distrarli dalle tante bottiglie di pregio che pur vi sono custodite: infatti “questo ambiente grazie alle anfore gode di temperatura e umidità costanti”, quindi “è luogo eccellente per la conservazione dei vini scelti dai fratelli Elio e Francesco Mariani, entrambi sommelier professionisti”.
Proprio a Elio Mariano abbiamo chiesto di farci visitare questa cantina dal cuore archeologico.
Info: www.checchino-dal-1887.com
L’esilarante Nonno Adriano balla in piazza Navona a Roma
Ogni città ha i suoi personaggi bizzarri che con la loro stravaganza conquistano popolarità e simpatia. Roma non fa eccezioni. Uno dei fenomeni più noti è Nonno Adriano, come dice di chiamarsi uno strambo vecchietto che si esibisce a piazza Navona nei più improbabili playback mai visti.
Con mezzi di diffusione sonora rudimentali, Nonno Adriano si posiziona in un angolo della piazza e fa partire brani musicali retro da un impianto a musicassetta, attingendo soprattutto al repertorio di Renato Carosone. Se l’esibizione canora è a dir poco dadaista, con il suo improbabile tentativo di playback, a conquistare il pubblico è la mimica del nonno canterino: tarantolando da fermo, sfodera un campionario di smorfie che turisti e passanti trovano esilarante.
In effetti è difficile non provare simpatia per questo misterioso signore che si è inventato un mestiere da poter fare anche in tarda età. Il mistero più grande da svelare sarebbe però se “ci è o ci fa”, ma poco importa: non fa male a nessuno ed è più lieve di molti artisti di strada che invece si prendono troppo sul serio, come l’imbrattatele che, nello stesso momento, poco più in là sulla medesima piazza, si atteggia a reincarnazione di Pollock ma è più comico di nonno Adriano, pur senza far ridere.