Provate Flavio a Roma, per poter dire Velavevodetto…
Locale controverso ma da provare il sempre più noto Flavio al Velavevodetto, in via di Monte Testaccio 97: perché qui si mangia davvero bene, pur con alcune contraddizioni. Partiamo da queste ultime. Il locale è scavato tra i cocci di Monte Testaccio, dichiarato nel loro sito “il cuore più antico di Roma”, ma l’arredo raggela questo accorato nucleo di storia antica. L’accoglienza è altrettanto fredda, ma dopo puoi intercettare un cameriere occhialuto dotato di grande umanità, paziente nel dare spiegazioni agli adulti e nel trattare con i bambini vivaci. Non esistendo una carta dei vini, vieni invitato a scegliere la tua bottiglia tra quelle esposte in un corridoio, ma se chiedi lumi ai camerieri scopri che non sono ferratissimi sui prodotti proposti. Infine, l’abbaglio di una guida capace di scrivere che “il menù viene raccontato a voce, come nelle vecchie osterie”, ma in realtà il menu scritto c’è e nulla richiama davvero a una vecchia osteria. Aggiungiamo che il pubblico lo ama alla follia, mentre la critica è molto divisa sul giudizio, per completare le montagne russe su cui muove la reputazione di questa osteria di cui a Roma si parla molto.
Annotate queste antinomie, vi diciamo che a rimettere tutto a posto ci pensa la qualità della cucina: per onestà intellettuale, riferiamo di avere registrato la manifesta grande soddisfazione dei clienti che avevamo intorno, i quali hanno trovato eccezionale la qualità del cibo e molto piacevole l’ambiente.
Parlando della tavola, quella di Flavio è una cucina di carne, soprattutto, anche perché qui ci tengono a sottolineare che “tutte le nostre carni provengono da azienda agricola biologica”.
Il primo sussulto però ci arriva dal pane, eccezionale: profuma di cereali integrali e ha un retrogusto dolce.
Segue carciofo alla giudia da manuale.
Stessa perfezione per la loro amatriciana, in cui spicca la perfetta cottura al dente della pasta: tuttavia il rigore dell’esecuzione nuoce alla golosità del piatto, il quale risulta eccessivamente asciutto nel condimento.
Perfezione della pietanza e gioia nel mangiarla invece si trovano nella cacio e pepe, dalla sublime cremosità, leggermente sapida come deve essere.
La più fedele alla tradizione tra le loro pietanze è certamente la trippa, veramente alla romana, contraddistinta com’è da un dominante sentore di mentuccia: la memoria corre ad Aldo Fabrizi che in Accadde al penitenziario, film del 1955 diretto da Giorgio Bianchi, decanta questo aroma così significativo per la cucina romana popolare.
Siamo al capolavoro della casa, le polpette: non stiamo parlando del solito piatto di risulta rifilato nei ristoranti dozzinali, bensì di una lunga, accurata e consapevole preparazione. Le carni di gallina e manzo vengono bollite nel brodo, con aggiunta di carote, sedano, cipolla e patate lesse, quindi una punta di noce moscata. A questo punto si procede con l’impasto che parte dal pane spugnato nel latte, cui aggiungono mortadella, limone grattugiato, prezzemolo, parmigiano e aglio. Una squisitezza infinita, anche per la scelta intelligentissima di non fare cuocere troppo l’interno, evitando così che si asciughi.
Nota di merito per la cicoria di contorno: rude e succulenta, ha croccante consistenza ma, soprattutto, sa magnificamente di aglio.
L’intero pasto è stato contrassegnato dal Virtù Romane, Montecompatri superiore D.O.C., ottimo blend delle classiche uve autoctone laziali conosciute altrimenti come er vino de li castelli: Malvasia bianca del Lazio 60%, Grechetto del Lazio 25%, Bonvino, Bellone 15%, questa la magica mistura che dà vita a un robusto nettare bianco da 14 gradi alcolici. Leggermente speziato al naso, è molto minerale, grazie alla evidente provenienza delle uve da terreni di composizione vulcanica. La casa produttrice Le Quinte dichiara di averlo chiamato Virtù Romane “per rendere chiare le enormi potenzialità dei vitigni autoctoni” del territorio romano: possiamo confermare che sono riusciti nell’intento di trasmettere il concetto.
Del resto, l’azienda vitivinicola Le Quinte, “può essere considerata tra la primissime realtà laziali ad avere riscoperto gli antichi vitigni autoctoni di Roma, sia a bacca bianca che rossa. L’azienda è situata nel comprensorio del Comune di Montecompatri, cuore dei Castelli Romani e zona di antichissima tradizione vitivinicola. Cicerone ne parlava come della “zona che produce il vino che Roma beve”” (www.lequinte.it). Plauso al progetto come all’esito nel bicchiere.
Abbiamo provato anche il vino della casa, un blend di Trebbiano e Malvasia Puntinata, dall’interessante dolcezza aromatica.
Concordiamo infine con chi in rete ha lodato la “possibilità di parlare e non dover ascoltare cosa dice il vicino perché sono capaci di rinunciare a qualche coperto per far star comodo il cliente”: è effettivamente apprezzabile la privacy di cui si può godere nel locale e il sostenibile livello di vocio. Una qualità non da poco, nelle osterie romane (e non soltanto).
Info: www.flavioalvelavevodetto.it