Dal lambrusco al Sorbara Doc di Cleto Chiarli
Lambrusco a chi? Tre consorzi e il Gambero Rosso rilanciano la forma e la sostanza del lambrusco nella storica tana di Slow Food a Milano di Angelo e Paolo Bissolotti&Figli all’Osteria del treno. Grandi piatti e una scoperta. Filzetta artigianale, mortadella Val di Non, Tarese della val d’Arno, sarde in carpione, risotto con pasta di salame e trevisana, polpette di merluzzo e sarde con pinoli, una meravigliosa coppa ripiena di fichi secchi e pistacchi (un geniale sorbetto di lambrusco Paganelli).
Senza l’amato vitigno Maestri del Parmense e dell’Oltrepò Mantovano, il nero di lambrusco, ho provato dopo il Pignoletto una verticale di Modena, Reggio e Colli Bolognesi, in grande ascesa.
Ben 17 bottiglie, il monovitigno modenese, le varietà mischiate delle vigne più vecchie nel Reggiano, il Grasparossa di Scandiano e Canossa, di Castelvetrano. Spesso diversi da collina a collina, una trentina di cloni che esaltano la biodiversità, come il Marani, il Montericco, l’Ancellotta, il Grappolo Ruberti.
Vi segnaliamo un sublime Lambrusco di Sorbara Doc Premium Mention Honorable delle Tenute Cleto Chiarli e un grande Lambrusco di Sorbara Doc in purezza L’Eclisse di Gianfranco Paltrinieri.
Due piccole aziende, nel caso di Chiarli il gioiello di famiglia. Bollicine strepitose che ci indicano la strada di eccellenza e un trionfo da prosecco. L’eleganza dell’uva Salamino, rispetto al Grasparossa più tannico e corposo, permette risultati strabilianti.
Notevole anche il Modena Dop Francesco Bellei a rifermentazione ancestrale, come il Rosè Sorbara Dop rosato secco di Elio Garuti.
Tratto dal quotidiano Il Giorno del 17 maggio 2014.