“Homo sapiens”, l’evoluzione umana in mostra
Uno sguardo al passato più remoto per comprendere il presente e ipotizzare il futuro:è stata una mostra interattiva con la coscienza dei visitatori, Homo sapiens, svoltasi tra il 2016 e il 2017 al MUDEC, il Museo delle Culture di Milano.
Nel raccontare Le nuove storie dell’evoluzione umana, l’esposizione ha scelto la strada del racconto morale quasi di leopardiana memoria, utilizzando il dato scientifico per entrare nel vivo del dibattito culturale odierno e dei suoi conflitti sociali. Così le migrazioni di milioni di anni fa divengono monito per chi contesta quelle contemporanee, mentre si confuta il concetto di razza tra gli umani per demolire le già fragili basi del razzismo.
Un neo umanesimo antropologico che non sorprende, apprendendo che il progetto della mostra nasce da Luigi Cavalli Sforza, luminare di lunghissimo corso (ha novantaquattro anni) che non ha mai temuto di esprimere posizioni controverse con i suoi studi profondi e spesso anti-convenzionali.
Partito dalla genetica, Cavalli Sforza è approdato all’antropologia, in un percorso molto esteso che ha messo al centro dell’indagine l’Uomo, studiato attraverso le migrazioni che ha affrontato, analizzando i modi in cui comunica e si organizza.
La mostra appare così la summa del pensiero di Luigi Cavalli Sforza, associato alla personalità multiforme del curatore Telmo Pievani, “filosofo della scienza, evoluzionista, comunicatore e saggista”, da tempo impegnato in azioni di divulgazione scientifica che vanno dalle pubblicazioni ai festival. Memori di pubblicazioni di Pievani come Homo sapiens e altre catastrofi (Meltemi ), La fine del mondo. Guida per apocalittici perplessi (il Mulino ) ed Evoluti e abbandonati (Einaudi), immaginiamo come suo il tocco ironico che si coglie più volte nei testi dei pannelli.
Da queste intelligenze non poteva certamente venire fuori una mostra noiosamente avvitata su dati tassonomici: infatti l’allestimento è estremamente godibile e di facile fruizione, come dimostrano le tante scolaresche in visita. Vera divulgazione, dunque, dove una seria documentazione scientifica viene tradotta in storytelling ammirevole per sintesi e capacità di racconto.
Si evita l’affastellamento di informazioni e oggetti esposti, puntando a una severa selezione dei reperti: fossili, manufatti, utensili, modelli, ricostruzioni e documenti sono spiegati da parole chiare e forme lessicali scorrevoli.
“Un grande affresco multidisciplinare” si definisce opportunamente la mostra, dove “le nuove scoperte scientifiche, i recenti ritrovamenti e il ricco patrimonio etnografico della collezione permanente del MUDEC, aggiornano il progetto internazionale che ha coinvolto le comunità scientifiche di Italia, Stati Uniti, Israele, Germania, Francia, Spagna, Australia, Georgia, Sud Africa, assieme a Università, Musei e Istituzioni di tutto il mondo: uno sforzo straordinario per raccontare da dove veniamo e come siamo riusciti, di espansione in espansione, a popolare l’intero pianeta, costruendo il caleidoscopico mosaico della diversità umana attuale”. Per sviscerare i temi di questa epopea, sono stati messi insieme genetisti, linguisti, antropologi e paleoantropologi.
Cinque le sezioni tematiche: Migranti da due milioni di anni che narra l’inizio del genere Homo, affermando di conseguenza le origini africane di tutti noi; La solitudine è un’invenzione recente che spiega il contatto, duecentomila anni fa, con le altre specie del genere Homo; I geni, i popoli, le lingue che rappresenta l’evoluzione cognitiva della specie, circa quarantamila anni fa; Tracce di mondi perduti che dimostra come la domesticazione di piante e animali abbia premesso alla popolazione umana di crescere, in tutti i sensi; infine Tutti parenti, tutti differenti: le radici intrecciate della civiltà che esplicita il messaggio della mostra, “la forte unità biologica e al contempo la straordinaria diversità culturale interna della specie umana”.
L’esperienza di visita associa a reperti preziosi anche postazioni multimediali e dispositivi interattivi, per creare “passaggi immersivi tra suoni e colori che raccontano le grandi prime volte dell’umanità”.
Non mancano ricostruzioni scenografiche di grandi dimensioni che cercano e trovano il forte impatto spettacolare, riguardanti soprattutto gli animali estinti.
Più nascoste ma di eguale forza suggestiva i video che documentano alcune tribù indigene di cacciatori-raccoglitori che ancora resistono nel loro fiero isolamento dalla modernità.
Ma il focus rimane “da dove veniamo e come siamo riusciti a popolare l’intero pianeta”, per spiegare come “un mammifero bipede sia diventato cosmopolita”, capace di produrre “un ventaglio meraviglioso di diversità culturali e linguistiche”.
In questa mostra a tesi, due sono i messaggi che rimangono scolpiti nella mente una volta che si esce dalle stanze espositive.
Il primo è che “gli spostamenti di popoli sono stati e continuano a essere il motore principale dei cambiamenti nel mosaico della diversità biologica e culturale umana”.
Il secondo è che “l’esistenza di razze umane a un livello biologico e genetico non ha alcun fondamento”: si tratterebbe di una mera “costruzione culturale e sociale”, perché “quel che noi vediamo è un insieme di varie storie di adattamento a climi e habitat che hanno generato popolazioni diverse fra loro a un livello morfologico superficiale, ma del tutto simili nel loro corredo genetico”; ne deriva che “le razze umane non sono nei nostri geni, bensì nella nostra mente” e che “quel che un tempo ci divise, la biologia, oggi potrebbe unirci”.
Con la nostra telecamera abbiamo catturato alcuni angoli della mostra che ci sono sembrati particolarmente significativi: ecco il video.
Info: www.mudec.it