Petilia, la “piccola patria” irpina dei grandi vini campani
Semplicità, naturalezza assoluta, passione trasparente: potete applicare queste definizioni tanto a Roberto e Teresa Bruno quanto ai vini che fanno sotto l’egida Petilia. Perché più che mai i vini di Petilia sono lo specchio di chi li crea.
L’intenzione dichiarata è quella di fare vini in cui il frutto sia pienamente rispettato, da quando si trova ancora in vigna fino al momento in cui si deve esprimere nel bicchiere.
Enorme è così la cura delle viti e del terreno che le alimenta, quanto l’attenzione nel non rovinare in cantina ciò cui la natura ha dato vita: soltanto così si può spiegare quel senso di pulito e naturale che ritrovi in ogni vino di Petilia, dove il frutto trionfa su tutto, mantenendo nella versione vinificata sentori e aromi dell’acino.
A ogni sorso di un vino Petilia, ti viene da scuotere il capo e schiudere un sorriso di approvazione, mentre ti chiedi ammirato “ma come fanno a creare un vino così sincero e autentico”? E’ talmente unico lo stile di Petilia che lo riconosceresti tra mille, a occhi chiusi.
Merito della lavorazione, con le uve che vengono immediatamente pressate dopo la raccolta, selezionando poi soltanto il mosto fiore.
Per questo ogni vino Petilia è come una spremuta di Irpinia, la magnifica regione che accoglie la misconosciuta ma nobilissima Altavilla Irpina, i cui natali sono antichissimi, tanto che “vi è chi ritiene che Virgilio l’abbia menzionata nell’Eneide, col nome di Poetilia” (https://it.wikipedia.org/wiki/Altavilla_Irpina).
Sul sito dell’azienda si racconta del popolo dei Pelasgi che dalla Tessaglia (nell’antica Grecia), “nell’anno 152 dalla fondazione di Roma”, portò con sé l’Aminea Gemina, oggi Greco di Tufo, “antico e prestigioso vitigno del quale parleranno Catone, Varrone e Columella”.
Roberto e Teresa, oltre duemilacinquecento anni dopo, si sono messi in testa di fare rinascere negli stessi siti quel Greco di Tufo, insieme ai vitigni autoctoni del territorio irpino.
Il Greco di Tufo vinificato da Petilia ti accoglie olfattivamente col profumo di albicocca, mentre al palato su una base di susina si sviluppano toni vegetali di erba selvatica.
Il Fiano di Avellino è un trionfo di mineralità che all’ingresso in bocca si annuncia con composta di cotogne e agrumi verdi. Sorprende la naturalezza piena e ricca di personalità, insieme a una freschezza che non rinuncia al corpo. Magnifico come il sorso sia tenacemente titillante, suggestivo, ammaliante.
L’Aglianico Le Sepaie ti fa arrivare già al naso pepe e liquirizia, mentre in bocca una deliziosa nota amarognola di erbe spontanee bilancia un intenso fruttato dolce. Buona l’acidità, grande lo spessore. Vino maturo e compiuto.
La Falanghina Hirpos esalta le caratteristiche aromatiche del vitigno, facendo esplodere un agrumeto nel bicchiere che dopo avere deliziato il naso si riversa deliziosamente sul palato.
Il Taurasi Vigna 450 sprizza nobiltà a ogni sorso, con la sua imponente densità che concentra tutta la complessità di fiori e frutti virati in rosso.
Abbiamo incontrato Teresa durante la manifestazione Il Barbavino 2016, organizzata dal Barbaresco di Legnano: in quell’occasione abbiamo realizzato la video-intervista che trovate qui sotto.
Info: www.aziendaagricolapetilia.it
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