A Catania la pizzeria popolare è in un Vicolo… cieco?
Nel capoluogo etneo la pizzeria più in voga del momento è Al Vicolo, in via del Colosseo 5: non è una buona notizia, perché si tratta di un successo puramente commerciale e per nulla qualitativo che in realtà testimonia il cattivo stato della ristorazione catanese e della sua clientela.
Al Vicolo è infatti il simbolo di quella ristorazione popolare che, pur ammantandosi di pretese di qualità, in realtà tende ai numeri commerciali e non all’affermazione di una cultura.
Infatti la principale attrazione del locale è la dimensione esagerata del disco della pizza, espediente di bassa e facile comunicazione che può colpire esclusivamente una clientela superficiale. Abboccano infatti i giovani che magari con l’idea di dividere la mega-pizza in due agognano a un risparmio monetario.
Ma ancor di più fa leva sul desiderio di fare caciara alimentare, ovvero di prendere una pietanza da consumare in maniera brutalmente conviviale, felicemente costretti a mangiare la stessa pizza dividendola da buoni amici. Un atteggiamento che esclude consapevolezza verso il valore più alto del cibo, trasformandolo giusto in qualcosa per passare il tempo, da ingurgitare pantagruelicamente fino a scoppiare, rinunciando a qualsiasi riservatezza nel desco, anche all’intimità di mangiare ciascuno la propria sola pietanza.
Che sia questo il vero motivo del successo del locale lo abbiamo verificato dalla vox populi: chiunque parli del locale Al Vicolo dice “quello che fa le pizze enormi”, quasi omettendo qualunque altro elemento di informazione.
Sono gli stessi camerieri a favorire questo consumo alimentare da luna park, consigliando ai clienti nuovi sempre la stessa cosa: giro di antipasti e poi pizze da dividere almeno in due persone, parole loro che certificano trattarsi della vera filosofia (se così si può definire) della pizzeria. Camerieri piuttosto indottrinati a eseguire questo schema, perché non appena provi a chiedere delle modifiche al sistema, cominciano a vacillare nelle loro certezze. Se poi li incalzi con domande sulla qualità del cibo servito, crollano.
Evidentemente il locale non ha frequentazione colta e gourmet tale da avere creato l’esigenza di operare una severa formazione culturale nei confronti del personale, il quale quindi non ha l’abitudine di spiegare natura e origini degli ingredienti, limitandosi a cercare di piazzare la soluzione di consumo più immediata e godereccia. Del resto, perfino sul sito il primo termine riferito alla pizza è “grande…”, guarda caso.
Abbiamo infatti dovuto rivolgere domande a più persone di servizio per capire come fossero utilizzati questi benedetti “grani pregiati” vagheggiati nel menu: percentuali nell’impasto, provenienza, su nulla abbiamo ricevuto risposte esaustive. Alla fine, fra varie opzioni, abbiamo optato per provare il loro impasto con grano di Tumminia, effettivamente pregiato, quanto antico, quanto ancora difficile da ben lavorare. Infatti la pizza con questo impasto che ci è stata servita era fatta male. La maturazione dell’impasto non era avvenuta perfettamente e ancora meno felice è stata la cottura: risultato, il disco della pizza era clamorosamente discontinuo, con parti eccessivamente croccanti e altre invece umidicce, addirittura se non crude. Fare la pizza è un’arte, lavorare i grani pregiati richiede immensa perizia, non ci si può improvvisare: bisogna lasciarlo fare a chi si concentra sul cibo come valore intellettuale e non come merce da vendere. Non basta quindi dichiarare sul sito che si tratta di “una pizza morbida e facilmente digeribile anche grazie al lungo tempo di posa dell’impasto (dalle 24 alle 36 ore)”, perché non di solo tempo è fatta una maturazione, ma di mille altre condizioni e cure.
Va comunque sottolineata la generosità degli ingredienti: l’abbondanza promessa viene effettivamente mantenuta, il disco straborda di condimenti, dei quali va apprezzata la qualità della materia prima. Nota di merito anche per le cotture delle farciture, in particolare per le fritture degli ortaggi come le zucchine, fatte secondo la mano tradizionale catanese.
Proprio questo aspetto fa nascere un rimpianto: il locale potrebbe essere molto meglio di quel che è, se puntasse meno ai bassi istinti del consumatore e provasse invece a darsi una missione anche culturale.
Per adesso suona come una inaccettabile falsità leggere sul sito di questo locale che “Al Vicolo Pizza & Vino mangerete la migliore pizza di tutta la città”: certe affermazioni sarebbero arroganti a prescindere, più che mai se non esiste alcun elemento fondato per asserirle. Al Vicolo non soltanto non si trova “la migliore pizza di tutta la città”, ma nemmeno una pizza pienamente all’altezza della situazione: siamo nella risicata sufficienza, come decine ce ne sono a Catania. Basti fare il paragone impietoso con la straordinaria pizzeria I Cutilisci, tra le migliori in Italia, per capire come anche a Catania la pizza di qualità sia ben altra cosa e pretenda dietro una solida ispirazione intellettuale.
Ispirazione che si coglie almeno nella carta dei vini e delle birre. La scelta di servire dei vini naturali è molto apprezzabile, in particolare per la presenza di referenze del marsalese Barraco (anche il nome della cantina è riportato erroneamente, altra disattenzione del locale…), mentre sul piano delle birre artigianali, oltre alla scontata ma inevitabile presenza delle Tarì, merita di essere scoperta la produzione locale della catanese Birra Del Faro.
Esauriti i rilievi razionali e lasciandosi andare al piacere, l’esperienza di mangiare la pizza in questo locale è comunque gradevole sul piano organolettico: i sapori ci sono, la sostanza anche, perfino il (da noi) contestato impasto si lascia mangiare volentieri e riesce a dare qualche sensazione positiva al palato. A patto che, legittimamente, non si pretenda da una pizza che rappresenti di più, di una mera bella mangiata.
Info: www.alvicolopizzaevino.it