Tintilia del Molise, le intense versioni dei vini di Claudio Cipressi
La Tintilia è l’unico vero autoctono molisano, da cui possono nascere vini di enorme personalità.
Sul sito del Consorzio per la Valorizzazione dei Vini D.O.C. del Molise, con sede all’Unioncamere Molise di Campobasso, si legge che questo vitigno è stato “introdotto nella seconda metà del settecento, in piena dominazione borbonica, in virtù dei commerci tra il regno di Napoli e la Spagna”, tanto che il suo nome deriverebbe “dall’etimo Tinto che in lingua iberica significa rosso”.
Sebbene alla fine dell’800 fosse “la varietà maggiormente coltivata in tutto il territorio del Molise e considerata necessaria nelle zone regionali più interne”, invece “nel dopoguerra si è assistette ad un progressivo abbandono delle vigne, proprio nelle zone di antica coltura del Tintilia, tanto da considerarlo virtualmente scomparso dalle superfici vitate regionali” (www.consorziovinimolise.centaurusweb.it).
Per questo va un sentito applauso ai produttori molisani che negli ultimi anni hanno deciso di tutelarlo e promuoverlo.
A distinguersi è stato in particolare Claudio Cipressi che con la sua cantina di San Felice del Molise, in provincia di Campobasso, ha perfino rilanciato sulla Tintilia, facendone grandi vini e ampliando la gamma delle loro declinazioni, come se volesse esplorare tutte le potenzialità di queste uve.
Sono così presenti anche un Tintilia Rosato (Collequinto) e un blend con il Montepulciano (Macchianera), ma la quintessenza è rappresentata dalle vinificazioni in purezza, contenute in tre vini.
A sbalordirci sono state le sue versioni più estreme per sincerità, perché coraggiosamente maturate senza fare legno. Come il Macchiarossa che fa “24 mesi in acciaio + 6 mesi in bottiglia”. Sublime il suo profumo, da roseto in fiore. Di rara grazia il sorso, tenuamente acido, appena balsamico, sempre gentile malgrado la potenza alcolica. Echi lontani di liquirizia ed erbe officinali. Un vero capolavoro.
Caratteristiche simili per il Settevigne che però eccelle in freschezza, offrendo sfumature del tutto proprie, pescate dai sette vigneti di proprietà. Il retro della bottiglia riporta in etichetta come il Settevigne nasca “dall’amore per il vino e per il territorio a cui appartiene”.
Rispetto ai precedenti, il Tintilia {66} intensifica il frutto e conduce verso un sentiero in pieno sottobosco, tempestato di piccoli frutti rossi. Trentasei mesi in legno arrotondano certe pulsioni selvatiche presenti invece nel Macchiarossa e nel Settevigne.
Da notare che Cipressi applica il metodo “rigorosamente biologico per la coltivazione in vigna”, tanto che dal 2014 la sua azienda agricola è certificata come Bio.
Da sottolineare anche che è stato proprio Claudio Cipressi a riscoprire questo vitigno, operando il lungo, faticoso e certosino lavoro di individuarne le poche viti rimaste, rimettendole poi in coltura per arrivare a dare nuovamente vita al vino che se ne trae: un atto di eroismo che corrisponde a una potente azione di tutela di un bene culturale del Paese come la Tintilia del Molise.
Per questo è particolarmente interessante ascoltare la sua video-intervista che segue.
Info: www.claudiocipressi.it