Lievito madre, impasti diretti e indiretti: realtà e inganni del mercato
In un precedente articolo abbiamo parlato delle intolleranze al lievito e di come in realtà questo disagio sia semplicemente causato da impasti fatti male, con grandissime quantità di lievito di birra, farine forti e una sostanziale assenza di maturazione.
Dovete sapere però che esistono due macro-categorie di impasti, quelli diretti e quelli indiretti.
La prima prevede di inserire direttamente il lievito di birra insieme ad acqua, farina e sale nell’impastatrice. E’ senza dubbio il metodo più diffuso in assoluto, perché è il più veloce e semplice da gestire: non necessita di particolari strumenti e, se ben utilizzato, rispettando i giusti tempi di lievitazione/maturazione, dona comunque ottimi risultati. La pizza napoletana classica per esempio utilizza quasi sempre il metodo diretto.
Anche se è il più diffuso non è però l’unico modo per ottenere ottimi prodotti. Qui entrano in gioco gli impasti indiretti che nascono proprio con l’intento di migliorare le caratteristiche organolettiche e la conservabilità e digeribilità di pane e pizza. In questa categoria l’impasto vero e proprio è preceduto da un pre-impasto che avrà la funzione di lievito in quello finale. Farina, lievito di birra e acqua sono lavorati e lasciati fermentare dalle 4 alle 72 ore e successivamente aggiunti al nuovo impasto di acqua e farina, senza più aggiunta di alcun lievito di birra.
A seconda della proporzione fra acqua e farina questi pre-impasti assumono il nome di biga o poolish.
La biga è un pre-impasto solido che si ottiene utilizzando un 45% di acqua su kg di farina e al cui interno si aggiunge un 1% di lievito di birra. Una percentuale bassissima quindi che serve unicamente come starter e durerà poi fra le 8 e le 72 ore, in modo che la fermentazione lattica si sviluppi completamente. E’ molto importante ottenere una biga che sia completamente matura, altrimenti rischieremo di ritrovarci un prodotto scuro, molle, appiccicoso e dall’odore sgradevole, inadatto alla panificazione di qualità e che trasmetterà tutti i suoi difetti anche al prodotto da forno finale. L’osservazione e il costante controllo di temperatura e umidità giocano quindi un ruolo molto importante.
Il Poolish invece è un impasto semi liquido, dove farina ed acqua sono presenti in eguali quantità e la dose di lievito, pur rimanendo bassissima, è più variabile. In base al tempo che decideremo di concedere alla lievitazione avremo bisogno di più o meno lievito di birra. Un poolish a 5 ore avrà bisogno di un 1% mentre uno a 12 ore solamente di uno 0,2%.
Come sempre il tempo è un alleato formidabile in panificazione, più saremo disposti a concederne al lavoro dei lieviti, più ci ripagheranno in digeribilità e profumi.
Ora vi starete sicuramente chiedendo, ma l’ormai celeberrimo lievito madre in quale di queste categorie si inserisce?
Nessuna delle due. E’ un mondo a parte, perché non utilizza il saccharomyces cerevisiae (lievito di birra) ma fermenta grazie a lieviti e batteri naturalmente presenti nell’aria, acqua, farine e anche… persone!
Nell’impasto di acqua e farina si sviluppa quindi una microflora batterica autoctona, in cui prevalgono i batteri lattici (così dovrebbe essere almeno, se prevalgono i batteri acetici il vostro lievito non sarà adatto a una buona panificazione) che lavoreranno in simbiosi con i lieviti e doneranno ai prodotti da forno finiti sapori e profumi decisamente marcati. Molto difficile prevedere in maniera scientifica quali saranno, perché il lievito madre è una creatura imprevedibile e in continua evoluzione. Sarà quasi impossibile sapere esattamente quanti e quali batteri stiano colonizzando in quel momento il nostro lievito, per cui, rinfresco dopo rinfresco, sarà sempre una sorpresa scoprire cosa avremo effettivamente tirato fuori dal forno.
Questo è chiaramente un grande limite se parliamo di pizza e pani industriali, dove tutto deve essere assolutamente standard e uguale a sé stesso all’infinito, ma è invece una bella e stimolante sfida per gli artigiani. I quali, grazie a questo tipo di lievito e alla dovuta cura e maestria, possono creare prodotti unici, interessanti e diversi da qualsiasi altro.
E’ importante sapere che aldilà del marketing e delle mode non esiste una tecnica migliore di un’altra. Tutto dipende dal prodotto che intendiamo realizzare, dalle nostre capacità tecniche e dal tempo di cui disponiamo.
Un impasto diretto lasciato lievitare/maturare 16 ore a temperatura ambiente può essere più digeribile e piacevole da mangiare rispetto ad uno realizzato con una biga ormai troppo matura, o un lievito madre con troppi batteri acetici.
Diffidate sempre da chi assolutizza o spara 1000 ore di lievitazione con la pasta madre di 300 anni appartenuta alla trisnonna Ermengarda da Velletri. Sono belle storie, spesso inventate di sana pianta che hanno poco a che vedere con la tecnologia alimentare e quello che andrete poi a mettere in bocca.
Come in ogni cosa è l’equilibrio a fare la differenza: saper abbinare la giusta farina con la tecnica d’impasto, il lievito, il tempo e tutte le variabili atmosferiche è ciò che distingue un serio e appassionato artigiano professionista dai tanti ciarlatani improvvisati che operano nel mondo della panificazione.
Lasciate che siano i vostri sensi a giudicare un buon prodotto, senza farvi influenzare troppo da roboanti comunicati stampa e nomi altisonanti: la pubblicità passa, la qualità resta.
Info: Pagina Facebook “IGPizza”