Qual è il prezzo giusto di una pizza?
Per quale motivo tutti siamo convinti che una pizza margherita debba costare meno di un piatto di pasta al pomodoro? Nessuno si scandalizza se un mediocre primo piatto a base di pasta industriale viene fatto pagare al ristorante dieci o più euro: è considerato normale. Siamo però sempre pronti a gridare allo scandalo se la pizza Margherita di fiducia sfonda il tetto psicologico dei 6 Euro.
Se ci mettiamo a ragionare a mente fredda però è facile notare come il food cost della pasta sia inferiore, così come il suo tempo di preparazione complessivo. Niente impasti da preparare e far lievitare per ore e ore, nessun tempo perso per fare i panetti, scaldare il forno a legna, occuparsi del taglio della mozzarella ecc ecc.
La pizza, utilizzando i classici criteri di formazione del prezzo, dovrebbe costare decisamente di più rispetto al piatto di pasta. Invece negli anni abbiamo dato vita ad una corsa al ribasso che vede ormai pizze margherite proposte a 3 Euro oppure a 5 in improbabili menù con bibite e contorni.
A farne le spese non sono stati i margini dei ristoratori ma la qualità. L’industria molitoria ha efficacemente intercettato questa richiesta di taglio dei costi e ha iniziato ad offrire mix di farine per pizza di scarsissima qualità a un prezzo irrisorio, spesso infarcite di miglioratori chimici in grado di ridurre drasticamente anche i tempi di lievitazione e maturazione, perché si sa, il tempo è denaro.
Nasce così anche il formaggio filante già cubettato sottovuoto che ha soppiantato lentamente la mozzarella, la salsa di pomodoro per pizza già condita e creata a partire dal concentrato di pomodoro estero e molti altri prodotti che hanno reso la pizza una commodity quasi indifferenziata e di scarsissimo valore: economico, nutrizionale e gustativo.
In questa spirale al ribasso si sono inseriti efficacemente gli stranieri che in alcune città della penisola, specialmente al nord, hanno ormai un monopolio di fatto quando si tratta di pizza da asporto e domicilio. Tanto che pizza e kebab sono ormai due parole così intimamente associate da rendere la cosa parecchio preoccupante.
Dalla parte opposta del mercato abbiamo la pizza gourmet, un termine che non ha un’identità univoca ma che abbiamo imparato a conoscere grazie allo straordinario lavoro di personaggi come Simone Padoan e Renato Bosco. La pizza intesa come piatto di alta cucina. Una base che diviene quasi focaccia per sorreggere e valorizzare gli ingredienti e le preparazioni, messe in prevalenza a crudo. Esperienze gastronomiche dai prezzi ben differenti, qui superare i 30 Euro non è un tabù, fra gamberi rossi, spume di tartufo e foie gras.
Escludendo quindi il fortino napoletano che gioca un campionato a parte, abbiamo avuto per anni un mercato estremamente polarizzato, da una parte la pizza a 4,5 Euro, dall’altra le pizzerie gourmet con le loro ambizioni quasi stellate.
Nel mezzo un grande vuoto che solo negli ultimi anni finalmente sta venendo colmato. Grazie a una nuova generazione di pizzaioli/ristoratori che mette al centro la qualità, facendo bonariamente la gara a chi ha il cornicione più alveolato e il maggior numero di ore di lievitazione. Che non ha paura di mettere in mostra i propri fornitori, perché non ha più nulla da nascondere al cliente.
Una piccola rivoluzione che coinvolge anche i prezzi e fa storcere il naso a molti, che vedono la pizza snaturata nel suo essere alimento popolare.
La domanda allora nasce spontanea: quanto siamo disposti a spendere per mangiare una buona pizza?
Spendere 7,5 Euro per una margherita fatta con farine macinate a pietra tracciate, pomodoro San Marzano DOP, fior di latte di qualità e olio EVO è così scandaloso? E’ meglio risparmiare 2 Euro per poi passare la notte in preda alla sete e al reflusso gastrico?
Certo, ci sono le esagerazioni: alcuni pizzaioli, probabilmente invidiosi della notorietà mediatica dei colleghi chef, hanno iniziato a comportarsi come delle rock star atteggiandosi a salvatori del mondo gastronomico, con relativi prezzi fuori da ogni logica.
Una recentissima apertura milanese ha fatto gridare allo scandalo mezzo mondo del web per il suo menù che vede una semplice pizza napoletana al prosciutto crudo proposta a 28 Euro.
Esagerazioni difficilmente condivisibili che hanno più a che vedere con la megalomania dei titolari che con il food cost.
Anche se sono fermamente convinto che i prezzi li faccia il mercato con la legge della domanda e dell’offerta, non la somma dei costi fissi e variabili di un’attività. Per cui se qualcuno è disposto a spendere quella cifra, perché no? Ognuno ha il proprio personalissimo concetto di rapporto qualità/prezzo, se così non fosse non si venderebbero milioni di iPhone a 800 Euro.
Il messaggio fondamentale però è che la qualità ha un costo non comprimibile oltre una certa soglia e questo si riflette ovviamente sul prezzo al pubblico della pizza. Un prodotto straordinario e versatile che può farsi ambasciatore di territorio e punta di diamante di una filiera tracciabile, sostenibile e virtuosa. Composta da caseifici, aziende agricole, salumifici, mulini e quant’altro. Un simbolo dell’Italia nel mondo che abbiamo svilito e maltrattato per così tanto tempo da consegnarlo saldamente nelle mani delle grandi catene straniere, una cosa di cui dovremmo sentirci tutti almeno un pochino colpevoli.
Info: Pagina Facebook “IGPizza”