Cripta del Peccato Originale a Matera, emozionante capolavoro dell’Umanità
L’epifania della sensibilità dell’Uomo, l’acme della capacità della nostra specie di trascendere la natura ferina originaria per ascendere alle vette di una spiritualità panica, quindi anche laica: infatti parla a tutti e tutti incanta, la Cripta del Peccato Originale, immenso capolavoro di umanità scavato nelle esuberanze litiche della Valle del Bradano che cinge Matera.
Visitarla trascende la mera esperienza turistica, sublimando anche l’azione culturale, per farsi viaggio interiore.
Già il precorso per raggiungerla ispira un mistico ricongiungimento con le nostre radici: bisogna fendere i lussureggianti campi della Contrada Pietrapenta in cui l’Azienda Dragone coltiva la vite, elemento vegetale tra i più rilevanti nei simbolismi della medesima religione celebrata dalla Cripta. E’ la pianta da cui si trae quel vino che nella liturgia cristiana si fa sangue di Cristo, memoria di un sacrificio terreno e promessa di un riscatto trascendente.
Al di là della credenza, anche chi pratica l’agnosticismo avverte l’anelito ancestrale insito in quella ritualità, anche perché il mistero della transustanziazione dall’enoico all’ematico in nessun altro luogo al mondo è così matericamente tangibile. In questo contesto agreste, con annessa cantina, il vino lo tocchi, con le tue mani, sia esso materia prima del frutto o la traduzione liquida dello stesso: allo stesso modo nella Cripta è tattile l’esternazione pittorica del culto espresso.
Appare metaforico anche il tragitto fisico degli ultimi metri prima di raggiungere la Cripta. La sede stradale è a fondo naturale, quindi priva delle mistificazioni della modernità che asfaltano le irregolarità per rendere il nostro cammino meno accidentato ma anche piatto e omologato. E’ l’annuncio della sincerità di ciò che si sta per vivere.
La collocazione della Cripta è un’apertura su una parete rocciosa che si raggiunge facendo qualche scalino, mentre lo sguardo viene rapito da un panorama tumultuosamente selvaggio.
Aguzzando la vista, in tutte le rocce circostanti cogli anfratti scavati, grotte che sono evidente traccia antropica.
Fondo e pareti all’ingresso della Cripta invece ti raccontano una genesi geologica lontana milioni di anni, con i suoi fossili ben aggrappati alla pietra che resistono a ogni passaggio umano.
All’interno è ancora pietra quella su cui ti siedi, trascinandoti in un’osmosi con l’ambiente che sta per rivelarsi a te.
Ed è realmente epifanica la suggestiva scelta dei gestori di svelare gli affreschi facendoli apparire dal buio assoluto, illuminandoli uno per volta, con una efficace regia delle luci che giocano con assolvenze e dissolvenze.
Si crea in questo modo un crescendo emotivo che incede di pari passo con la scansione luministica, mentre una voce fuori campo, nel dispensare informazioni, evoca tanto il deus ex machina teatrale quanto il dio celebrato dall’iconografia in mostra.
Al termine di questo tunnel di luci e ombre, l’improvvisa illuminazione a pieno giorno invade gli occhi, i quali in un attimo si riempiono dell’abbacinante complessità iconografica della Cripta.
Le superfici dipinte si succedono in alloggi concavi intervallati da lingue di roccia, creando quasi la sensazione di fotogrammi di una pellicola che scorrono nella tua mente, proiettando le immagini direttamente sullo schermo del cuore.
Irretiti da una bellezza che ti coglie a fior di pelle, scuoti incredulo in capo considerando che tutto ciò risale a ben oltre mille anni fa, quando questo “era il luogo cultuale di un cenobio rupestre benedettino del periodo longobardo”. Nelle note del sito ufficiale della Cripta si legge infatti che gli affreschi sono datati “tra l’VIII e il IX secolo, stesi dall’artista noto come il Pittore dei Fiori di Matera ed esprimenti i caratteri storici dell’arte benedettina-beneventana: la parete sinistra è movimentata da tre nicchie, su cui sono raffigurate rispettivamente le triarchie degli Apostoli, della Vergine Regina e degli Arcangeli; la parete di fondo, invece, è ravvivata da un ampio ciclo pittorico raffigurante episodi della Creazione e del Peccato Originale”.
Se oggi è possibile ammirare tanta meraviglia è grazie all’azione di alcune realtà virtuose di Matera.
La chiesa ipogea infatti è stata ritrovata nel 1963 dai soci del Circolo La Scaletta di Matera, mentre oggi è gestita dalla Fondazione Zétema (http://www.zetema.org/) con perizia, competenza e capacità organizzativa di altissimo livello, tra le più elevate riscontrate in tutto il Paese: questa stessa struttura è stata l’anima del progetto di recupero integrale della cripta, con la consulenza dell’Istituto Centrale del Restauro.
Con rispetto, abbiamo provato a cogliere istanti dello splendore del posto nel video che segue.
Info: http://www.criptadelpeccatooriginale.it/index.php?option=com_gantry5&view=custom&Itemid=195&lang=it