Le opere di Fiume a Fiumefreddo Bruzio, l’arte di valorizzare un borgo
Ha il fascino di un romanzo, la vera storia dell’artista siciliano Salvatore Fiume che venne attratto dal borgo calabrese Fiumefreddo Bruzio inizialmente per una pura fascinazione onomatopeica con il suo cognome, per poi rimanere irretito dalla grazia del luogo, tanto da volerla incrementare con altra bellezza, quelle delle opere d’arte che donerà alla comunità lungo venti anni di frequentazione del posto.
Come viene raccontato sul sito ufficiale dell’artista di Comiso in provincia di Ragusa (http://www.fiume.org/project/gli-affreschi-di-fiumefreddo-bruzio/), scomparso nel 1997, tutto inizia “durante l’estate del 1975”, quando Fiume ottiene dal Comune di Fiumefreddo Bruzio, in provincia di Cosenza, la possibilità di affrescare le pareti del Castello chiamato Palazzo della Valle, edificio semidiroccato risalente al ’600.
Qui “dipinse tredici pareti fra quelle interne ed esterne del castello settecentesco che avevano per soggetto tre storie, due di vita medioevale e una che raccontava la vicenda di una bellissima schiava calabrese imprigionata dai Turchi”, ma le intemperie hanno portato rapidamente alla loro completa distruzione.
Va meglio l’anno dopo con la settecentesca chiesa di San Rocco, nella cui cupola dipinse i miracoli del santo in occasione di una pestilenza: “la composizione illustra quattro aspetti della vicenda vissuta dal Santo in Italia quando, proveniente dalla Francia, in pellegrinaggio per Roma, trovò la peste” spiega ancora il sito di Fiume.
Vi viene rappresentato “l’incontro di San Rocco con quel terribile flagello”, la cacciata della morte, “la fede che si diffonde tra le popolazioni colpite dal morbo”, in un turbine di immagini dense di pathos, pregne di un dramma che sembra rivivere nello sguardo dello spettatore…
… fino al ritorno alla vita, “simboleggiato dall’evocazione biblica di Adamo ed Eva sotto un albero che è fiorito là dove era rinsecchito e bruciato”.
L’opera è di rara potenza evocativa, trattando la morte in maniera materica, raffigurandola secondo l’iconografia consolidata, ossuta ma scabrosamente nuda, dal teschio che pare digrignare ferocemente i denti, paurosamente dinamica nel movimento percepibile, mentre brandisce un’enorme falce che la sormonta, nell’atto di imporre con il minacciante dito indice della mano sinistra la funerea direzione del destino avverso.
Si dice però che la visione di Fiume di San Rocco in vesti che ricordano un brigante, ribadita in un altro dipinto monumentale presente nella stessa chiesa, non sia stata apprezzata da tutta la popolazione del borgo, creando qualche incomprensione che avrebbe addolorato l’artista.
Nel 1978 è la volta di due sculture che dialogano con l’ambiente circostante, essendo collocate all’aperto.
Sulla terrazza panoramica di Largo Rupe si trova Il medaglione della fortuna, in cui quest’ultima è intesa proprio come la dea, qui raffigurata a cavalcioni di una cornucopia grondante monete preziose.
Un’immagine serena e benaugurante congrua con il ceruleo nitido splendore dell’orizzonte che fugge verso l’infinito alle sue spalle.
Sul retro è incisa nel metallo una composizione lirica che recita “tutte sono augurabili le fortune grandi e piccole ma ve n’è una, amico, più grande e quella è che si innamori di te la donna che ami”.
L’altra opera coeva lasciata al borgo è La ragazza del surf, posta sul Largo Torretta, altra piazza panoramica di Fiumefreddo Bruzio.
Un’opera che ha diviso profondamente estimatori e detrattori.
C’è chi he ha apprezzato lo stagliarsi nell’orizzonte in perfetta armonia con l’ambiente marino alle sue spalle, quasi come espressione di land art che utilizza lo scenario reale e lo ingloba nell’opera stessa.
Altri invece non rinvengono nelle fattezze metalliche del soggetto i più consueti e accettati criteri della Bellezza, malgrado lo sforzo di cesellamento plastico della figura operato dall’artista.
Un’opera che comunque non passa inosservata e della quale va sottolineato il coraggio sociologico, poiché la donna è una figura quasi boteriana, il cui corpo carnoso va in netta contrapposizione con l’immagine oleografica convenzionale delle surfiste, viste sempre come fanciulle dal fisico scolpito in proporzioni più esili e muscolarmente toniche.
Un netto anticipo delle istanze curvy che oggi getta nuova intrigante luce su quest’opera.
Sempre in tema di trama da romanzo, nel 1996, alla veneranda età di 81 anni, appena un anno prima di morire, Salvatore Fiume decide di ripetere l’impresa di affrescare il castello di Fiumefreddo Bruzio, per riparare l’onta del tempo meteorologico e cronologico che aveva cancellato il precedente intervento del 1975.
Malgrado l’artista si trovasse quasi in limine vitae, esprime una potenza figurativa e una vitalità cromatica che lascia ancora oggi stupefatti…
… anche per la carica erotica delle scene, svincolata da pudori sociali, pruderie bigotte e convenzioni sessuali…
… con Fiume che esibisce il nudo tra il naturalismo esotico più ingenuo ed estetizzante…
… e quello decadente che tanto sarebbe piaciuto a D’Annunzio…
… per approdare a vivide impressioni postribolari che tirano un’ardita linea di collegamento dal richiamo ancestrale delle pitture pompeiane alle torride visioni cinematografiche lisergiche di Ken Russell.
Un’iscrizione dipinta a mana dichiara che l’opera è stata iniziata l’11 luglio e terminata il giorno 21 dello stesse mese del 1996, un lasso temporale così breve da confermare l’urgenza espressiva di Fiume, il furore creativo che l’ha animato in quel momento, tra il vibrante lascito testamentario e l’urlo di rabbia composita contro l’approssimarsi della fine.
Nella stessa stanza affrescata, si trovano anche le statue di Dafne e Apollo, accomodate su dei ceppi.
Entrambi i soggetti esibiscono un’espressione di stupore, sottolineata dalle bocche spalancate sotto lo sguardo indirizzato agli affreschi, come se fossero basiti per la meraviglia dei dipinti.
Autocelebrazione spinta?
Autoironia paradossale?
O semplice momento di sospensione estatica nella tormentata vicenda dell’amore impossibile tra i due soggetti?
O ancora, quell’espressione basita, è metafora dello scandalo del desiderio che trasuda dalle pareti affrescate, agli occhi candidi dell’allegorica castità di Dafne che avrà la supremazia sul desidero carnale di Apollo?
Poco importa: si esce dalla stanza e tutte le domande inevase lasciano il posto al ricordo indelebile di una grande emozione.
Emozione che cerchiamo di farvi vivere attraverso le immagini delle opere di Salvatore Fiume catturate a Fiumefreddo Bruzio, nel video che segue.