Il Cirispaccio, resistenza culturale campana nella Milano del food chic
Nella Milano della ristorazione sempre più chic e gourmet, rappresenta un atto di resistenza culturale il Cirispaccio di via Luigi Canonica 74: niente impiattamenti estetizzanti ma piatti di plastica che fanno tanto famiglia, nessun ammiccamento alla diete bensì porzioni luculliane, sperimentazioni e rivisitazioni messe al bando perché qui si pratica la vera cucina popolare campana.
Un locale in cui non si mangia con gli occhi ma con il cuore, quello che ci mette il titolare il titolare salernitano Cosimo Mogavero, con il suo inarrestabile desiderio di fare stare bene i clienti, travolgendoli di generosità. Ci tiene davvero a farti provare più piatti possibili, orgoglioso com’è dei tesori culinari della sua terra d’origine, così promuove un trionfo di assaggi che arrivano in vassoi unici, portando gli avventori a servirsi dallo stesso piatto, recuperando il senso atavico di spezzare il pane insieme.
Curiose le tovagliette adagiate sui tavoli: di carta, riportano la stampa a colori di un articolo di 7 del Corriere della Sera firmato da Bruno Delfino, originale esempio di rassegna stampa funzionale, quasi una metafora di quanto il giornalismo possa sostenere concretamente la cucina di un locale popolare che non ha grandi budget finanziari né i riflettori mediatici puntati, bensì enorme passione e onestà intellettuale.
Sulla tovaglietta stampata, per primi vengono adagiati dei Taralli sugna e pepe apodittici nel riassumere tutte le anime di Napoli, mettendo insieme il salato della sugna, il dolce-amaro delle mandorle e il piccante del pepe nero.
Aprono i botti i magnifici bocconcini di mozzarella di scuola salernitana, quindi morbidi e pannosi, al contrario della versione aversana più solida e sapida.
Buoni ma fuori contesto invece il prosciutto crudo e la porchetta. Contesto che invece torna prepotentemente a fuoco con un evocativo casatiello.
Ghiottissimi gli Ziti al forno che sotto una patina di tostatura in superficie sfoderano pasta dalla perfetta consistenza e ricca farcitura.
Commovente Scarola e fagioli, densa zuppa al cucchiaio che trascina la mente nei romantici Quartieri Spagnoli di Napoli.
Una killer application della golosità i Paccheri pomodorino giallo e crudo di Parma.
Un capolavoro la Trippa alla partenopea, in cui le sensazioni animali delle interiora si diluiscono in un magnifico intingolo dominato da pomodoro sincero.
L’immancabile Sartù di riso sotto una seducente gratinatura nasconde qualche incertezza, con il riso quasi colloso che evidenzia un condimento meno ricco del dovuto.
Da correggere anche la pur buona Parmigiana, cui gioverebbe qualche istante di cottura in più che vinca la tenacia vegetale eccessiva della fetta.
Perfetta invece la consistenza del Galletto alla diavola cotto a legna.
Si può arrivare ad assaggiare tutto questo spendendo davvero pochissimo, a fronte di una qualità altissima e decisamente inaspettata.
Il tutto aprendo anche una bottiglia di vino, scegliendo tra poche referenze di qualità dignitosa, in una carta dei vini però da rivedere: un solo prodotto proviene dalla Campania e ciò appare incongruo in un locale dalla così possente impronta regionale che pretenderebbe quindi maggiore presenza di nettari campani, operazione non difficile considerando la grande varietà di vitigni autoctoni in quei territori e i loro prezzi solitamente civili.
Il locale funziona anche come gastronomia da asporto e spaccio, vantando prodotti eccellenti come l’inarrivabile pasta Setaro di Torre Annunziata.
Nel video che segue, abbiamo catturato appunti visivi del locale e della sua offerta culinaria, per restituirvene almeno le sensazioni visive.
Da buon locale popolare, è aperto tutti i giorni da mattina a tardissima sera: qui il calore umano è sempre fresco di giornata.