Pummà, anche a Milano il format totale della pizzeria contemporanea
Tra i nuovi format di pizzeria che stanno impazzando a Milano da qualche tempo, l’apertura recente più significativa è anche quella che sta destando maggior scalpore, Pummà, in via Caminadella 7.
A colpire è un concept che cura in maniera maniacale ogni dettaglio, dall’ambiente al cibo.
Gli arredi sembrano citare l’origine balneare del progetto, nato in quel di Milano Marittima (nomen omen…), della quale le pareti echeggiano l’azzurro che congiunge acqua e cielo, tra infissi in legno che fanno tanto spiaggia, elevati però da tocchi figurativi post-picassiani e sprazzi magrittiani.
Impressiona la qualità umana e professionale del servizio: la cortesia del personale è altissima come la preparazione nel descrivere l’offerta gastronomica, con raffinate attenzioni di un’eleganza mai vista in un locale di ristorazione popolare.
Stessa cura nella scelta delle materie prime, molto ricercate, attinte in gran parte dal mondo dei Presidi: infatti il locale aderisce all’Alleanza Slow Food dei Cuochi.
Dirige Beniamino Bilali, esperto in lievito naturale che propone impasti particolari e due grandi linee del menu, una gourmet e l’altra “alla Napoletana”.
Nel primo la pizza iconica è quella che porta il nome della casa, l’austera Pummà, con Pomodoro San Marzano “Terra Amore e Fantasia”, soave burrata pugliese del Caseificio Palazzo e alici del Mar Cantabrico nude e crude e quindi al massimo del gusto: è proposta su ghiotto impasto in idrolisi di grano spezzato e senza lievito aggiunto, misuratamente croccante all’esterno, aromatico all’interno.
L’impasto napoletano, con farina di grano tenero Tipo 2, si presenta invece con un cornicione monumentale che creerà dibattito su umidità e cottura: qualcuno infatti potrebbe eccepire sul grado di maturazione o trovarlo non abbastanza cotto, ma qui si entra nella sfera puramente soggettiva e nessuno può emettere sentenze che vadano al di là del proprio palato. Noi di questo impasto abbiamo apprezzato la spumosità esuberante e la buona sensazione di grano che aleggia tra la generosa alveolatura.
Tra la varie versioni, consigliamo vivamente quella chiamata La Salama, anche se alla base abbiamo trovato dei Pomodorini del Piennolo non al loro massimo, poiché privi del grado zuccherino solitamente conferito dall’appassimento dovuto al lungo periodo di serbo dell’ortaggio, così come nel finale mancava la caratteristica nota amaricante; deve però essersi trattato di un fenomeno contingente e passeggero riferibile a una specifica partita di pomodori e forse dovuto alla stagionalità, perché ben conosciamo il fornitore, l’Azienda Agricola Casa Barone di Massa di Somma, in provincia di Napoli (http://www.storienogastronomiche.it/pomodorino-piennolo-vesuvio-presidio-slow-food-campania/), tanto da esserci nota l’alta qualità della sua produzione: quindi la scelta del fornitore rimane virtuosa ed è anzi ulteriore segnale della cura di Pummà nella selezione delle materie prime.
I pomodorini in questa pizza sono comunque riscattati da credibile Pesto di Prà, ottima e tenace scamorza affumicata che sa di buon latte, stuzzicante ricotta di bufala e un’esplosione di sapidità e salame spalmabile Ciauscolo che conferisce sincera fragranza animale.
Sempre nella sezione di pizze alla napoletana, ce n’è una che testimonia la cultura e profonda competenza storica di Beniamino Bilali, la Mastunicola, la più antica ricetta di pizza di cui si abbia documentazione, tanto da precedere di ben due secoli l’invenzione della Margherita: lo chef celebra meritoriamente la tradizione ma la ingentilisce rispetto all’originale, così lo strutto è sostituito da un battuto di lardo e viene inserita la mozzarella fior di latte che invece non c’era, mentre la tipicità è rispettata con ingredienti come il Pecorino Scoparolo, il pepe e basilico fresco. Una rivisitazione che però può divenire importante veicolo pedagogico, perché dona ai clienti di Pummà il privilegio di potere scoprire un pezzo di storia del Paese, ponendo Bilali nella condizione di rappresentare uno di quei casi di gastronomo capace di elevare l’erudizione collettiva. Tuttavia sarebbe opportuno indicare espressamente nel menu che si tratta, appunto, di una rivisitazione della Mastunicola, per correttezza filologica verso una ricetta storica che è una colonna delle nostra Memoria gastro-antropologica, ma anche quale atto di responsabilità sociale, affinché i clienti non edotti sappiano fin da subito che non si tratta della rigorosa riproduzione della preparazione originaria. I locali di ristorazione dovrebbero sempre tenere presente che sono anche strumento didattico di massa e veicolo di divulgazione popolare della cultura (non soltanto) enogastronomica: Pummà è già sulla buona strada, basta un piccolo sforzo in più.
Molto chic la carta degli oli extra vergine di oliva, dove spicca un monovarietale della Tenuta Pennita di Terra del Sole, località del comune di Castrocaro Terme, in provincia di Forlì-Cesena: si tratta della Selezione Alina della Nostrana di Brisighella proveniente da ulivi secolari, cultivar presidiata da Slow Food (http://www.lapennita.it/?product=selezione-alina).
Da migliorare invece la personalità organolettica dei dolci.
E’ divertente l’idea del Tubetto di Zabaione della Pasticceria Fiorentini di Faenza, da strizzare come quello di un dentifricio per poterne mangiare il contenuto, ma la crema che ne viene fuori appare come una pallida riproduzione seriale di una delle preparazioni pasticcere più ghiotte della nostra cucina: un gioco che non vale la candela e delude.
Delusione ancora maggiore per la Mousse di Squacquerone e Fichi Caramellati, con la presenza di Ricotta di bufala: al palato si percepisce la buona mano che ha dato vita alla sua estrema delicatezza, ma i sapori sono totalmente spenti e inutilmente si insegue un’emozione che alle papille non arriva mai. E’ come se tutte le pulsioni sensoriali peculiari delle singole materie prime fossero annullate e ridotte in una crema asettica: sparita l’acidità dello Squacquerone, assente la grassa dolcezza della Ricotta di bufala e perfino i Fichi Caramellati sono ampiamente sotto i livelli di esuberanza zuccherina a cui sono abituati gli intenditori (basterebbe fare un confronto con lo strepitoso Fico Rosa Caramellato di Pisticci per comprendere di cosa parliamo).
Un’occasione persa (ma recuperabile), perché l’abbinamento degli ingredienti ha notevoli potenzialità, come dimostrano analoghe ricette in versione gelato provate alla gelateria di Babbi a Cesena e da Vanilla a Legnano (MI).
Ottima la proposta di rum cubani, tra i quali è da provare il Cubaney Selecto 18 Years, la cui maturazione in botti di quercia ha donato una sublime nota selvatica che rende la beva più rustica e quindi sincera. Mentre caramello e tabacco sciorinano tra i sensi, un lunghissimo finale stende un tappeto di datteri che conduce verso la meditazione appagante.
Da notare che diversi dei prodotti che arrivano in tavola sono in vendita, esposti sugli scaffali sparsi nel locale.
Nel video che segue, una serie di appunti visivi dello stimolante percorso ludico e speculativo che si può vivere da Pummà.
Riconoscendo al progetto originalità, forte personalità e la capacità di fare vivere una bella esperienza al cliente, appagandolo tanto sul piano ludico quanto su quello intellettivo, abbiamo voluto saperne di più dalla mente da cui scaturisce il progetto, Beniamino Bilali, maestro pizzaiolo che in maniera significativa sta portando la pizza nei territori della contemporaneità (http://www.beniaminobilali.it/home.php).
Com’è nato il format di Pummà? Cosa lo ha ispirato e qual è la sua filosofia?
“Il format Pummà, (a me piace sempre più parlare di progetto), a partire dallo scorso anno, è stato per me un incontro importante. Dopo tante esperienze di consulenza nelle quali stavo giorni, settimane e mesi in diversi parti del mondo, avevo grande necessità di fermarmi e di condividere fortemente dei valori professionali con un gruppo serio che aveva le stesse mie ambizioni sul tema pizza. Oggi il mio sforzo è tutto concentrato sulla pizza, sulla materia prima, sugli impasti, sulla ricerca, sulla capacità di dare ad ogni prodotto un ruolo preciso. E’ tutto in evoluzione. Pummà è il futuro ma denso di tutte le esperienze precedenti: dalla pizzeria Canasta di Riccione a quella di San Patrignano, da Berberè a ‘O Fiore Mio, passando per la Norvegia e la Romania”.
In carta ci sono varie preparazioni anche tradizionali, come il Pesto di Prà: sono tutte lavorazioni espresse oppure utilizzate qualche prodotto pronto?
“Le preparazioni non necessariamente sono espresse. Ci sono prodotti che gli artigiani già ci presentano nella loro essenzialità. Mi viene in mente lo Scalogno di Romagna sott’olio oppure la conserva di Pomodoro del Piennolo del Vesuvio. Sono prodotti straordinari così. Perché lavorarli ancora? Il pizzaiolo deve avere il coraggio di intervenire solo quando serve. Si deve partire da materie prime straordinarie. E’ un percorso nella quale abbiamo pensato che la terra e il concetto di filiera certa devono tornare al centro di ogni concetto di cucina e di pizza. Vogliamo portare il linguaggio contadino più autentico nel contemporaneo. Per questo motivo deve esserci il grano al centro di una riflessione per chi fa il pizzaiolo. Abbiamo sposato il progetto che sta portando avanti Antonio Cera nella campagna foggiana con antiche varietà incredibili. Stiamo lavorando anche con alcuni mulini per fare in modo che origine e salute del grano tornino al centro del nostro lavoro. Siamo per un collegamento diretto e sincero tra agricoltori, fornai, pizzaioli e contadini. Che si parlano, che si incontrano e si confrontano”.
Mi spiega la scelta di proporre i due grandi mondi della pizza affiancati, la Napoletana da una parte e quella Gourmet dall’altra?
“Semplice. La pizza ha una storia e un’identità che non possiamo e non vogliamo cancellare. Un omaggio a Napoli e al suo stile preciso, tenendo viva questa tradizione nell’innovazione è doveroso. La pizza gourmet è invece un esercizio di studio e approfondimento. E’ aggiornamento, dedizione e ricerca. E’ camminare per scoprire nuove possibilità”.
Avverte il rischio che la serialità dei locali impostati su uno stesso format possa arrecare un senso di freddezza e costruzione? Oppure c’è un modo per scaldare l’esperienza?
“Pummà vuole sfuggire da questo. Ogni attività, sebbene sia riconoscibile da segni distintivi/illustrativi comuni, si adatta ai territori. Se non fosse così non avrebbe senso tutta la ricerca che stiamo facendo sulla filiera, sulle materie prime. Adattarsi ai territori vuole dire parlare linguaggi, utilizzare materiali, arredare spazi sempre diversi”.
Sui dolci, ho avvertito una certa prudenza organolettica, come se non si volesse spingere molto su sapori forti, come nel caso della Mousse di squacquerone, ricotta di bufala e fichi caramellati (che peraltro ricorda la ricetta di un gelato provato da Babbi a Cesena): una scelta?
“No. Assolutamente no. Anzi. Nei dolci seguiamo sempre una linea guida che è la golosità. E’ giusto concedersi un dessert e farlo nella consapevolezza che dobbiamo trovare in esso consolazione e soddisfazione”.
Info: https://www.pummapizza.com/pumma-milano/