Museo Laboratorio della Civiltà Contadina di Matera, memoria dei Sassi
Fate un respiro profondo, staccate smartphone e ogni dispositivo elettronico, quindi prendetevi il vostro tempo: la visita al Museo Laboratorio della Civiltà Contadina di Matera è un viaggio così profondo, in tutti i sensi, da pretendere il massimo della concentrazione e della disponibilità emotiva.
Un viaggio nella memoria autentica dei Sassi, ma anche dentro noi stessi, perché riconduce alle radici ataviche da cui tutti veniamo.
Qui gli oggetti non sono simulacri del passato bensì stimolo nel presente, induzione a ripensare al nostro stile di vita moderno, provocazione verso la superficialità contemporanea, monito per il futuro.
Perché la narrazione della sopravvivenza rurale dei materani di un tempo è attualissima lezione di vita, espressione di ingegno e al tempo stesso monumento alla dignità dell’ostinata sopravvivenza nelle condizioni più avverse.
Un racconto monumentale che si snocciola attraverso tanti piccoli capitoli, creando un rosario di suggestioni vorticoso come il suo percorso ipogeo.
E’ stato realizzato da Donato Cascione nel Sasso Barisano, in via S. Giovanni Vecchio 60, mettendo insieme “una serie di abitazioni, collegate per esigenze espositive”, a partire da un “lamione soppalcato, unico vano costruito (XVI sec) che prolunga il volume di una grotta preesistente (casa grotta): consentiva al nucleo familiare di separarsi, durante la notte, dalle bestie”.
Da qui si irradiano oltre 500 metri quadrati di reticoli espositivi che fanno di questo museo “il più grande del Sud Italia nel suo genere”.
L’allestimento è un affresco socio-economico e culturale della popolazione che ha vissuto nei Sassi per secoli, narrando tutte le sfumature di una “società agricolo-pastorale” e fornendo “testimonianze relative a temi strettamente connessi alla storia del Sud” come il brigantaggio e l’infanzia.
Il museo è scaturito da “anni di raccolta mirata di oggetti di uso quotidiano e di attrezzi di vari mestieri che erano alla base della vita economica e sociale della città dei Sassi”, giungendo alla “ricostruzione di ambienti il più possibile fedele alla realtà”.
Gli ambienti illustrano così il Setacciaio, la Casa tipica, la Tessitura, mettendo in mostra attrezzi per vagliare, macinare e conservare i cereali, o ricreando la stanza del Prete…
… con ambienti chiamati Conciapelli, Cassone del grano con misure a volume, Pastorizia, Cestaio, Attrezzi dei cavamonti, Sedia del lustrascarpe, Sala da barba.
Ci sono anche Banchetto dell’intagliatore, Ebanista, Mastro d’ascia, Fabbro, Sartoria, Conciapiatti, Vasaio, Arrotino, Cantina pubblica (Ciddaro)…
… Sellaio, Calderaio, Attrezzi agricoli, Scalpellino, Calzolaio.
Di particolare valore sociologico la Vetrina dedicata al brigantaggio postunitario, dove spiccano subito i volti degli eroi di quell’epopea, “espressione del profondo malcontento che travaglia il Mezzogiorno” come si legge in alcune didascalie presenti, le quali ricordano le gesta di questi poveri agricoltori o pastori che ebbero la tempra di ribellarsi “alle ingiustizie e ai soprusi dei potenti”…
… sottolineando il ruolo di primaria importanza delle donne, capaci di mostrare “un carattere d’impero inimmaginabile” per quei tempi.
Commuove l’angolo chiamato evocativamente La breve infanzia, il quale ha l’intento di ricordare come “nella famiglia contadina era cosa consueta vedere ragazzi di 7-8 anni aggirarsi per i campi ed aiutare i genitori nella raccolta delle erbe, nella semina, nella mietitura, nella trebbiatura e nella vendemmia”, così “precocemente avviati al lavoro e sottratti alle scuole”.
In questa stanza, a simboleggiare l’infanzia interrotta per contribuire alla sussistenza familiare, sono proprio i giochi dei più piccoli, i quali erano “molto semplici ma impegnavano la creatività e la fantasia e risultavano fortemente socializzanti e formativi sul piano psicomotorio”.
Ultimo soprassalto al cuore, l’enorme stoviglia in cui nei Sassi si era soliti pasteggiare collettivamente, attingendo tutti dal medesimo piatto le pietanze di una cucina povera ancora oggi viva e caratterizzante, come nel caso della Crapiata, antichissima ricetta contadina materana che metteva insieme legumi e cereali, qui cristallizzata come elemento di esposizione museale ma che ancora si può trovare in diversi ristoranti dei Sassi.
Monumento al genio ingegneristico popolare, la possibilità di vedere e quindi di capire come funzionasse l’approvvigionamento idrico in questo agglomerato proto-urbanistico primitivo e di difficilissima gestione quotidiana.
Il resto parla di strane effigi antropomorfe che si portano ancora dietro il loro fascino misterioso…
… e segni architettonici che valgono più di un trattato nel rendere l’idea di usi e funzionalità degli ambienti.
Si comprende perché il regista Mel Gibson abbia attinto ai preziosi reperti di questo museo per rendere credibile l’ambientazione del suo film La passione di Cristo, a partire dagli oggetti di uso comune come quelli legati alla panificazione casalinga, approfittando della consulenza del competentissimo gestore della struttura.
Il gestore ha lamentato azioni di boicottaggio da parte di altre realtà locali: non ci stupisce che questo museo desti molta invidia in città, perché abbiamo visto troppe strutture improvvisate trasformate in trappole per turisti, semplici case scavate nella pietra spacciate per esposizioni antropologiche, quando invece sono soltanto iniziative dilettantesche prive di qualsiasi valore scientifico, con il solo scopo di guadagnare senza merito qualche Euro abbindolando i visitatori superficiali e incolti.
Il Museo Laboratorio della Civiltà Contadina è invece di gran lunga il più importante di Matera nella sua tipologia, imprescindibile da visitare se si vogliono comprendere le vere radici popolari arcaiche di tale magnifico luogo.
Nel video che segue, le immagini della nostra intensa immersione in questa esposizione.
Info: https://museolaboratorio.it/