A Padova dal 1545 l’Orto Botanico universitario più antico del mondo, un Patrimonio dell’Umanità
Un’esposizione capace di imprese che si consideravano intellettualmente impossibili, come spogliare di ogni retorica l’affermazione di quanta bellezza risieda nella Natura, emozionare perfino con il rigore dell’indagine e di entusiasmare nel segno dell’apprendimento, qui dove sulle sudate carte si adagiano organismi sottratti al loro divenire biologico per ergersi a sineddoche: l’Orto botanico dell’Università degli Studi di Padova ha il compito di preservare elementi naturali ma finisce inevitabilmente con il cambiare i visitatori, anche impercettibilmente, instillando intima consapevolezza del proprio ruolo nel mondo.
La storia narra che l’Orto botanico dell’Università di Padova “fu istituito nel 1545 per la coltivazione delle piante medicinali, che allora costituivano la grande maggioranza dei semplici, cioè di quei medicamenti che provenivano direttamente dalla natura”, in un tempo in cui “era già consolidata la fama dell’Ateneo padovano nello studio delle piante, soprattutto come applicazioni della scienza medica e farmacologica”.
Era tuttavia anche un’epoca nella quale “regnava grande incertezza circa l’identificazione delle piante usate in terapia dai celebri medici dell’antichità: frequenti erano gli errori e anche le frodi, con grave danno per la salute pubblica”, pertanto si ritenne che l’istituzione di un horto medicinale “avrebbe permesso agli studenti un più facile riconoscimento delle vere piante medicinali dalle sofisticazioni”.
Dal punto di vista architettonico la struttura è sincretica, figlia di originari disegni geometrici dai possibili valori simbolici e successivi sviluppi dettati dall’esigenza di proteggere il patrimonio detenuto e di arricchire la struttura di spazi funzionali alla ricerca e alla didattica.
Arrivando a oggi con la palazzina che ospita “al piano terra spazi destinati a esposizioni museali, al primo piano la Biblioteca storica, l’archivio dell’Orto botanico e l’Erbario, mentre al secondo piano si trovano la direzione e altri locali adibiti alla conservazione dei semi”.
In questo ambito i numeri sono importanti quindi va sottolineato come in tale sede “trovano spazio circa 6.000 esemplari con 3.500 specie botaniche”.
Ancor più peso ha però assunto il ruolo di crocevia di relazioni internazionali assunto nei secoli dall’Orto, favorito dalla collocazione strategica che gli ha permesso di esercitare “una profonda influenza nell’ambiente della ricerca” e di svolgere quel “ruolo preminente nello scambio di idee, di conoscenze, di piante e di materiale scientifico” sulla base del quale nel 1997 è stato iscritto nella Lista del Patrimonio Mondiale UNESCO, con questa motivazione: “l’Orto Botanico di Padova è all’origine di tutti gli orti botanici del mondo e rappresenta la culla della scienza, degli scambi scientifici e della comprensione delle relazioni tra la natura e la cultura; ha largamente contribuito al progresso di numerose discipline scientifiche moderne, in particolare la botanica, la medicina, la chimica, l’ecologia e la farmacia”.
Nella sezione definita Orto Antico “vivono alcune piante notevoli per la loro vetustà, normalmente indicate come alberi storici” segnalate da “apposita etichetta con il nome scientifico della specie (binomio latino), l’iniziale o la sigla dell’autore che per primo l’ha validamente denominata e descritta, la famiglia di appartenenza e il luogo di origine e, in questo caso, anche l’anno di introduzione oppure di impianto”.
Tra le tante storie narrate dalla struttura, la più letteraria appare quella della gigantesca palma nana piantata nel 1585…
… la quale fuori dall’ossimoro dimostra quanto ogni essere vivente possa superare in tutti i sensi i propri limiti se curato e accudito come si deve, a partire in questo caso dall’azione protettiva di una serra ad hoc con tanto di riscaldamento controllato…
… e monitoraggio costante delle condizioni della pianta…
… esempio che ha colpito la sensibilità di Goethe non soltanto quale poeta ma in questo caso pure come naturalista, tanto da indurlo a formulare dopo la sua visita del 27 settembre 1786 il proprio concetto di metamorfosi delle piante.
Rimane impresso anche il percorso del Giardino della biodiversità nel quale sono riprodotti i differenti macro-climi della aree del pianeta: si tratta di circa 1.300 specie che “vivono in ambienti omogenei per umidità e temperature che simulano le condizioni climatiche dei biomi del pianeta: dalle aree tropicali alle zone subumide, dalle zone temperate a quelle aride”, con il merito rivoluzionario di non raccontare il pianeta dal punto di vista dell’Uomo o del mondo animale, bensì con massima attenzione alle forme di vita vegetali.
Un sistema di serre che muta in vividi microcosmi…
… dimostrazione fisica ben avvertibile delle diverse condizioni di vita dislocate sulla Terra e dell’importanza del loro mantenimento…
… occasione per stupirsi con la monumentalità di certi arbusti e le stranezze di alcune forme.
E’ sempre qui che affiorano piccole narrazioni che irretiscono la fantasia, come la circostanza che l’Uomo di Neanderthal facesse già uso della camomilla, anche se masticandola.
Venire a contatto con l’Orto Botanico irretisce anche per merito dello stile peripatetico della visita guidata, a partire dal suo significato più letterale, poiché qui il relativo lemma del greco antico recupera perfino la radice semantica di Περίπατος che indicava esattamente una passeggiata, sebbene nel senso più aristotelico del termine, in quanto esercizio dialettico dell’apprendimento svolto nel Peripato che era “quella parte del giardino del Liceo, in Atene, in cui Aristotele era solito tenere le sue lezioni e dove seguitarono a riunirsi e a discutere i suoi allievi”, come ci ricorda l’Enciclopedia Treccani, la quale aggiunge che fuori dall’uso filosofico il concetto si è allargato a ciò che ha luogo o avviene o si fa passeggiando, riportando l’esempio della frase “mio padre mi ha abituato a delle lezioni peripatetiche per le vie di Milano (Lucini)”.
E di lezione peripatetica si deve parlare per la visita guidata all’Orto Botanico di Padova, sempre condotta da personale altamente specializzato: nel nostro caso, una dottoressa laureata nella stessa Università che si occupa della struttura, casual nell’abbigliamento ed empatica nei modi ma rigorosissima sul piano del pensiero scientifico, della quale abbiamo apprezzato pure certi lampi di intransigenza illuministica ben contestualizzati e perfino dovuti in una città dotta come Padova in cui si sono scritte importanti pagine della millenaria lotta per la liberazione della scienza dall’oscurantismo.
Un dettaglio capace di dare ancora maggiore spessore all’immensa importanza di questo istituto dai molteplici stimoli gnoseologici, talmente possenti da far sorgere nel visitatore riflessioni profonde sul proprio Essere in relazione con la Natura circostante, quasi un richiamo ad aderire olisticamente a un’inevitabile visione panica della vita transeunte tale da spogliare sia pure per un istante il visitatore dall’egoismo quotidiano per toccare con mano le dinamiche in itinere della realtà fenomenica cui apparteniamo.
Ogni angolo dell’Orto è vettore pedagogico, trasmettendo la didattica con la stessa leggerezza dell’aria, in cui la funzione epistemologica assume la forma di una data, la chiarezza di un colpo d’occhio, l’esemplarità di un meccanismo vitale: ogni dettaglio fitologico diviene così metafora epidermica del discente, in una inarrivabile applicazione concreta di quell’inclusività recentemente postulata come nuovo presupposto imprescindibile delle forme espositive dall’ICOM (International Council of Museums, organizzazione internazionale che rappresenta il mondo museale). Senza dimenticare quanto l’Orto – sempre rimanendo all’auspicio dell’ICOM – promuova a sua volta “la diversità e la sostenibilità” e comunichi eticamente e professionalmente “con la partecipazione delle comunità, offrendo esperienze diversificate per l’educazione, il piacere, la riflessione e la condivisione di conoscenze”.
Una missione così sentita dalla struttura da avere generato anche un vero e proprio Museo botanico allestito in un suggestivo edificio di impianto settecentesco che in passato ha ospitato serre, aule e laboratori nell’ambito delle attività di insegnamento dell’ateneo.
Proprio da ricerca e didattica scaturisce la selezione del patrimonio storico dell’Università esposto al pubblico, allestendo un viaggio attraverso i secoli, tra memorie e reperti, tra i quali una porzione di albero per rappresentare ciò che rimane di uno dei primi esemplari messi a dimora nella struttura, un agnocasto qui presente fin dai primi anni di esistenza dell’Orto…
… quindi il prezioso Erbario di Padova nato nel 1835 in grado di fungere anche in guisa di affermazione tangibile della separazione della botanica dalla medicina e da altre discipline della quale era considerata espressione ancillare…
… sezione che ospita collezioni importanti come quella dell’artista Filippo De Pisis iniziata da adolescente con precoce scrupolo scientifico accreditato di attendibilità da parte degli esperti: chissà se quanto esposto avrà ispirato i suoi Fiori di campo del 1853 o uno dei vasi di fiori che ha firmato nel decennio precedente, mentre sono stati espressamente donati all’ateneo i tre dipinti di allegoriche nature morte realizzati nel 1941 che ancora oggi adornano l’ufficio del Rettore.
Il museo punta a una suggestione di tipo teatrale impostando l’illuminotecnica sulla valorizzazione del chiaroscuro, squarciato ogni tanto dall’intervento di lettering e infografica.
Da citare la grazia estetica delle tavole parietali, tabelloni illustrati usati a supporto delle lezioni tra Ottocento e Novecento…
… mentre perfino l’uscita dalla struttura è densa di significato, poiché avviene incanalandosi in percorsi reticolari cinti da siepi tali da suggerire misteri labirintici in cui perdersi prima di riconquistare la realtà esterna.
L’Orto Botanico di Padova rappresenta pertanto una delle esperienze culturali imprescindibili da fare nel nostro Paese e anche oltre i suoi confini, capace come poche altre di lasciare un segno indelebile e ricordi imperituri.
Info: https://www.ortobotanicopd.it/