Al Museo Etnografico Sardo a Nuoro, tutte le anime di un’isola
Può bastare un’approfondita visita al Museo Etnografico Sardo di via Antonio Mereu 56 a Nuoro per acquisire gli elementi fondamentali delle composite anime dell’isola, per l’ammirevole razionalizzazione di una molteplicità di reperti e la loro prodigiosa organizzazione che intreccia criteri cronologici con direzioni tematiche, creando una teoria di suggestioni e pulsioni scientifiche che assume elevatissima efficacia divulgativa.
La struttura vanta significativi primati, come quello di “maggiore museo etnografico della Sardegna” e “unico istituto museale di diretta emanazione della Regione Sarda”, con la dichiarata missione di raccogliere documentazione e svolgere ricerca nell’intero territorio regionale.
La sede, creata appositamente tra gli anni ’50 e ’60 sul colle di Sant’Onofrio, richiama “un villaggio sardo immaginario”, in cui sono distribuiti i pezzi esemplari delle migliaia che compongono la collezione, tra “abiti, gioielli, manufatti tessili e lignei, armi, maschere, pani, strumenti della musica popolare, utensili”.
Riesce perfettamente l’intento di configurare il museo “come luogo di rappresentazione generale della vita tradizionale dell’isola che rimanda a una rete di musei locali”, perché effettivamente è talmente esaustivo e ricco da trasmettere la sensazione di inglobare varie “strutture specializzate per tematica o per territorio”, in cui la congerie di istanze esposte “divengono parte di un ideale catalogo dei segni dell’identità della Sardegna”, giungendo a creare un affresco materico che muta in studio antropologico.
Già l’impatto iconico iniziale palesa l’aspirazione a rappresentare il profilo identitario dell’immenso universo culturale della Sardegna, segnandone i confini su un pavimento che dà il benvenuto al visitatore.
L’afflato pedagogico è subito affermato con pannelli dislocati lungo l’intero perimetro del primo ambiente, puntuali nello snocciolare cronologicamente la scansione di macro-eventi che hanno segnato l’isola fin dai tempi più remoti.
L’abbrivio cognitivo è affidato alla dimensione domestica, con eleganti ed essenziali allestimenti scenografici che assemblano in guisa di patchwork oggetti di uso quotidiano e arredi…
… insieme a oggetti di vita quotidiana in cui si affacciano anche quelle armi che sembrano tratteggiare il fenomeno della disamistade, addolcite da utensili e memorie private.
Inizia quindi la serie di idilli che in un’impostazione da bucolica virgiliana illustrano la vita agreste attraverso diorami a grandezza naturale, a partire dalla più nobile delle attività isolane, la caseificazione.
Grande attenzione anche per il linguaggio della fotografia, confidando sulla bellezza struggente della Sardegna che ha attirato verso sé alcuni dei più grandi maestri dell’obiettivo, di cui alcuni pannelli forniscono cenni biografici e schegge estetiche, come nel caso di Andreas Bentzon e Pablo Volta che con il loro vivido bianco e nero hanno cristallizzato poetici frammenti del quotidiano divenuti ciascuno sineddoche di un cromosoma di sardità…
… o l’autoctono Franco Pinna che ha storicizzato in quadri di rigore assoluto il rapporto tra Uomo e Natura nell’isola.
Tra le indagini nel quotidiano storicizzato, spicca la straordinaria sezione sul pane che contempla decine di varietà tradizionali, in parte dimenticate.
Impressiona tanto la quantità di formati…
… quanto la meravigliosa grazia estetica delle complicatissime conformazioni…
… giungendo alla creazione di autentiche opere d’arte che richiamano le miniature di porcellana e la perizia dei gioiellieri…
… senza trascurare il sentimento religioso che diverse di tali effigi rappresentano, con un ruolo significativo in cerimoniali e usi consolidati.
Inevitabile un passaggio dalla tessitura che tanto significa per il costume sardo, con la presenza di un telaio funzionante usato anche per mostrare la lavorazione durante le iniziative didattiche.
Famoso nel mondo, con buona ragione, il tappeto sardo occupa un ampio spazio, con una serie di meraviglie che spiegano benissimo la ragione di cotanta meritata fama.
Quando arrivi nella parte di esposizione dedicata ai costumi nel senso materiale del termine, lo stupore ti assale fino a ghermire ogni poro dell’emozione.
Ogni tipologia di abito della Sardegna è presente, con didascalie che consentono di individuarne la provenienza e la fattura, fino a individuarne il senso rituale.
E al di là del proprio credo, perfino un laico rimane irretito dall’allestimento riservato agli oggetti di devozione, preziosi tanto per i materiali nobili utilizzati quanto per gli intarsi.
Tripudio di stimoli visivi e intellettuali dalla Sala dei Carnevali e degli Strumenti musicali tradizionali…
… con in evidenza i fenomenali costumi carnascialeschi, tra cui “i Thurpos e l’Eritaju di Orotelli, i Boes e i Merdules di Ottana e i Mamuthones e Issohadores di Mamoiada”…
… aggiungendo quindi le Màscaras in tutto il loro splendido mistero che scorre lungo il solco ligneo che ne delinea i connotati.
Il museo è quindi un passaggio obbligato per chi voglia vivere con sensibilità la Sardegna: nel video che segue, le riprese della nostra visita guidata.
Info: http://www.isresardegna.it/index.php?xsl=565&s=16&v=9&c=4093&nodesc=1