Alla scoperta delle erbe selvatiche della Valtaleggio (Bergamo)
La Valtaleggio, in provincia di Bergamo, è un territorio molto ricco di erbe selvatiche non solo commestibili, ma gustosissime. Da circa cinque/sei anni spendo volentieri le mie energie in questa passione e appena posso la metto in pratica: rispetto ad altri posti in cui ho girovagato, posso confermare con certezza che è stata per me una sorpresa scoprire che il tarassaco (taraxacum officinale) e i suoi ottimi consimili, fuori dalla valle, non sono infestanti. Quando alcuni mesi fa sono stato al campo della cooperativa Manterga, a Vedeseta, per recuperare degli esemplari, ricordo di aver trovato circa 27/28 tipologie differenti in meno di cinquanta minuti. Mi è sembrato un mezzo miracolo di biodiversità.
Immagino che a qualcuno possa essere capitato, camminando lungo una delle splendide mulattiere della valle ancora in parte pavimentate a dorso di mulo, di imbattersi in piante che offrono lamponi, more o fragole selvatiche. Credo che pochi riescano a resistere all’impulso naturale, raffinato ed educato, di chinarsi a godere di tanto ben di Dio. Sono certamente meno le persone che, già a maggio o a inizio giugno, escono di casa munite di sacchetto e coltellino per recarsi a un alpeggio ancora florido, o che si sta arrendendo al recupero orgoglioso del bosco. Al riparo da occhi indiscreti e avidi di eventuali competitori, queste persone iniziano ad approvvigionarsi golosamente di cùei, altresì detti farinei o parüch o altro ancora (chenopodium bonus-henricus, Buonenrico in italiano).
Ancora meno sono le persone che in modo più ampio e consapevole decidono, solo per qualche ora, di annullare circa undicimila anni di progresso tecnologico in campo agroalimentare per reinventarsi “raccoglitori” in senso lato. Questi individui fanno della raccolta di frutti, fiori, foglie, fusti, rosette basali, polloni e radici un’attività più accurata, intensa, paziente e appassionata.
Ma sono davvero pochi: forse è troppo faticoso! Oppure, come per la raccolta dei funghi, si temono avvelenamenti. Che gusti forti, che fibre coriacee, quanto amaro poi… quanto è più comodo prendere l’insalata in busta, già lavata?
Eppure l’insalata in busta è davvero poco saporita, e centocinquanta grammi costano due euro. Per forza: solo per lavare le foglie contenute in ogni busta, gonfia di anidride carbonica, i macchinari delle industrie alimentari consumano circa sei litri d’acqua. Ciononostante, la maggioranza di noi procede imperterrita, immersa in una sorta di torpore dei sensi, nel consumare un prodotto mediocre, quasi insapore, ad alto impatto ambientale e assai costoso (basta considerare il prezzo al chilo, manco fosse un prosciutto!). Basta aggiungere a questa presunta insalata moderna qualche foglia e qualche fiore del prato per rendersi conto del buono e del bello a cui la nostra indolenza – fisica, mentale e gustativa – ci sta facendo rinunciare.