Alla trattoria Vecchia Conza di Sciacca, il pesce è sempre (più) azzurro
Non fatevi fuorviare dalla folla che lo assiepa ogni giorno, né dai prezzi incredibilmente bassi: non sono indicatori di cucina di massa, bensì di una vocazione autenticamente popolare di Paolo Mandracchia che dal 1997 gestisce nel cuore di Sciacca (Agrigento) questa perla della cucina mediterranea come fosse un centro di resistenza civica.
Paolo nella sua cucina fa cultura popolare, povera ma buona come quel pesce locale che gli fa illuminare gli occhi a parlarne, fiero di trasformarlo in piatti favolosi.
E’ questa sua anima vera, la sincerità con cui accoglie, sfama ed emoziona i suoi clienti, a farne un punto di riferimento obbligato per chi vuole mangiare bene non soltanto a Sciacca ma anche per buona parte del litorale in cui è incastonata la città.
La Vecchia Conza si trova in via Pietro Gerardi 39, nel centro storico di Sciacca Terme, tra Porta Palermo e Porta S. Salvatore. E’ uno dei pochi locali in cui davvero ci si possa fidare a lasciar fare all’oste.
L’antipasto è un tuffo in mare aperto. Un mare così vasto che può diventare un pasto completo.
Polpette di sarde, acciughe fritte e panelle testimoniano i rapporti antichi con Palermo, coltivati lungo una direttrice privilegiata che vedeva un collegamento continuo di genti e merci.
Piatti semplici realizzati al massimo livello, in cui la consistenza golosa di polpette e panelle rivaleggiano con la sapidità abbacinante delle turgide acciughe fritte.
La territorialità irrompe con le autoctone sarde a chiappa, irresistibilmente carnose, mentre la spatola in agrodolce è un invito al peccato, non soltanto di gola.
Il fresco continua con gli squisiti calamaretti, salendo in cattedra con due must: i merluzzetti appena passati in farina che davvero squagliano in bocca, mentre il pesce spada pagliaccetto appena scottato è una delicata poesia.
Il trionfo è però appannaggio delle alici marinate: abbiamo visto colleghi commensali ordinarne allo sfinimento, condivisibilmente.
Se non dovesse bastare, ecco allora le acciughe sottolio e soprattutto le sarde in agrodolce con cipolla e capperini, delizie vere.
Con questo percorso, antipasto e secondo sono fusi senza soluzione di continuità, in maniera esaltante.
Ma non si può omettere di parlare degli splendidi primi piatti di pesce del locale.
Il risotto, ben mantecato, senza eccessi, ha un gusto pulito come tutta la cucina di Mandracchia: lo abbiamo provato con gamberi locali e spinaci, in brodo di pesce.
E ancora, maccheroni lunghi fatti in casa, conditi con le sarde: non una minima traccia di unto, una pulizia che riporta in bocca il gusto pieno di acque marine incontaminate.
Paolo non ha segreti, così ci svela la sua cucina: vi consigliamo di prendere appunti…
I vini che accompagnano i piatti spaziano lungo tutta l’Isola. Paolo ci ha consigliato di iniziare con un Kuddia del Gallo, furbissimo zibibbo vinificato secco, così profumato e sapido che è impossibile possa non piacere.
La sorpresa però viene dal Bianco di San Lorenzo, un’affascinante produzione di un’azienda locale, le Cantine De Gregorio con sede in contrada Ragana a Sciacca, la quale così lo presenta: “nella notte di San Lorenzo, il nuovo bianco già fermenta in cantina sprigionando i primi intensi profumi. Dall’incontro di due mondi, la dolce esuberanza dell’Ansonica, la fine leggiadria dell’Incrocio Manzoni, nasce un bianco, sorprendente, profumato, delicato e forte, con una precisa identità”.
Tutto vero, cui aggiungiamo la sensazione di sentire davvero il profumo della terra di Sicilia, della sua frutta estiva ancora fresca. Come sempre accade con l’abbinamento territoriale di cibo e vino, questo bianco si sposa magnificamente con la cucina saccense, rappresentandone un necessario complemento.
Per il fine pasto, da provare il liquore di Canicattì servito dalla casa, denso, naturalmente amaro, sapientemente erbaceo.
Nota di servizio ma anche di costume: qui amari, limoncelli e grappe vengono sempre offerti, sia per la squisita cortesia dei gestori, ma anche per la consolidata abitudine dei clienti locali di pretendere che caffè e ammazzacaffè a fine pasto siano sempre necessariamente offerti, altrimenti non li pagherebbero comunque. Mandracchia, nella sua grande generosità, sorride svelandoci questa consuetudine, tanto gli amari li offrirebbe lui comunque.