Amarcord: dal pane e salame alla Cipollata del Bar Milanese…
Pane e salame. Scusate ma l’imprinting è questo. Nella bottega di due amici di famiglia a Bergamo, da cui passavo a metà pomeriggio, con fame innocente, dopo ore di giochi, bicicletta e pallone. Avevano il culatello, il granone lodigiano scorza nera di 6-8 anni, con una goccia gigantesca. Da diadema.
Il cotto di Praga o di Vignola, il salame Felino. Fine anni ’50, un vero gentilissimo pioniere. Vedevo la michèta con la mortadella degli operai, non mi entusiasmavo con i sandwich da pasticceria, i panetti al latte, al cumino, le brioches salate. Dentro il crudo, il cotto, la fontina, il burro all’inglese e un profumo di acciuga (il pane e salame me lo facevo fare nelle cucine delle amiche di mia madre e mia nonna, dopo aver sdegnosamente rifiutato cioccolatini e pasticcini in salotto).
Ma è a Milano che ho scoperto il panino moderno. Al Milanese di Piazza Cavour, primi anni ’70, con lo Special, il Cosacco, la mitica Cipollata, il Paciugo, il Tropical e il Giamaica: banco di lavorazione, ottima materia prima, salse di pregio, la russian su tutte, frutta esotica, vodka e rhum per bagnare la ricetta creativa (Cipollata: trito di cipolla bianca, trito di bresaola, salsa rosa, caprino, o paté di maiale e vodka).
Più cauto nelle salse coprenti e già nel gusto dell’ingrediente singolo e di pregio il Bar Quadronno, che sdoganò il salmone. Nei locali chic del centro si lavorava con variazioni meno fantasiose del sandwich all’inglese.
Tratto dal quotidiano Il Giorno del 14 giugno 2014.