Antica Tindari: ecosistema del (buon) gusto
Un luogo storico, un ambiente da sogno, un vino unico, un cibo genuino, un riposo dolce, una magia.
Emozioni differenti che possono essere riunite da un solo nome che le rappresenti tutte, Antica Tindari. Può indicare uno dei siti archeologici più emozionanti della Sicilia, uno dei panorami più belli d’Italia, un luogo di pellegrinaggio. Come può indicare anche una giovane azienda che rappresenta una delle più clamorose scoperte possibili dell’enogastronomia nazionale. Un agriturismo di favolosa semplicità nato intorno a vigneti che profumano di mito e alla cantina che ne trasforma i frutti in vini che valgono non soltanto il viaggio ma anche la permanenza.
Tutto parte dal vino che l’azienda produce, in così prorompente crescita di qualità da attirare appassionati da ovunque. Ma intorno ai preziosi vigneti sono sorti anche un ristorante traboccante di delizie e un’accoglienza da non perdere.
Facile a dirsi, oggi. Ma era da far tremare i polsi la scommessa della giovane coppia formata da Giuseppe Franco e della moglie Ylenia Martino, quando decisero insieme alla madre di lei Pina Scafidi di fare un’emigrazione al contrario, lasciando lavoro e posizione nel ricco Nord Italia per andare a fare gli imprenditori della terra nel Sud che si vuole depresso e carico di problematiche. Una famiglia pronta a ricominciare da capo nel profondo Sud, mettendo le mani nella terra senza nessuna garanzia per il futuro.
Una lucida follia instillata da un altro componente della famiglia, Christian Martino, affermato giornalista economico, caporedattore del Sole 24 Ore, ma anche grande esperto di vino, dalle ottime frequentazioni, come quella con Gino Veronelli, per esempio. E’ partita da lui l’idea di questa azienda totale, un ecosistema di sapori, profumi e bellezze per tutti i sensi.
Lui continua a sopraintendere ai vini che crescono in pregio di anno in anno, Giuseppe si è preso sulle spalle la gestione di tutte le faccende dell’azienda, mentre Ylenia si occupa della sala del ristorante e della parte commerciale, con Pina che si mette ai fornelli oltre a curare l’area vendita.
La storia di Antica Tindari è commovente come un romanzo verista, soltanto che in questo caso la Speranza si è realizzata e ha dato luogo a un lieto fine, ancora in fieri. Questa storia ce la racconta Christian Martino.
Fin qui il romanzo delle persone che hanno generato Antica Tindari: adesso tocca alla poesia dei loro vini. Una poesia che profuma di terra e di vento, ma soprattutto di radici ataviche che intrecciano gli autoctoni già amati da Cesare con la sapienza enologica moderna.
Il vino storico che vanta cotanto estimatore è il Mamertino, il quale prende il nome da un manipolo di mercenari guerrafondai che in epoca romana si impadronirono di Messina e la cui stinta fama è rimasta nella memoria del territorio della provincia.
Malgrado i trascorsi gloriosi, da tempo era caduto in un cono d’ombra. Demerito di molti produttori della zona di elezione che lo hanno realizzato decisamente con sufficienza. A una degustazione del 2012 la quasi totalità dei prodotti si è rivelata decisamene mediocre.
Per questo ci ha sorpreso la versione di Antica Tindari. E’ un vino che ha ancora grandi margini di crescita doverosa, ma sembra avere recuperato la fierezza che gli compete.
Antica gloria del territorio stretto tra Patti e Milazzo, con qualche altra sponda nella provincia di Messina, il Mamertino è un blend di uve Nocera, Nerello Mascalese e Nero d’Avola. Le quali sembrano rinunciare a eccessi della loro consueta sontuosità per esprimersi invece tutti in una delicata ma convincente esaltazione del frutto. Un prezioso pezzo di Storia finalmente valorizzato come si deve.
Separandolo dai suoi compagni di blend, Antica Tindari si sta concentrando molto sulle diverse espressioni del Nero d’Avola. I terreni sabbiosi, la particolare esposizione, la vicinanza del Tirreno e i venti che dona alle colline, danno vita a un frutto ben differente dal Nero d’Avola della zona sud orientale e occidentale dell’Isola.
Desta grande simpatia al palato nella versione Yndaris, la quale si esprime con la purezza di un vino che ha fatto soltanto acciaio, conservando quindi freschezza e acidità ammirevoli.
Punta invece decisamente alla categoria dei grandi vini il Nigrae, strutturato dalla parziale maturazione in piccole botti di rovere. L’annata 2005, se provata a occhi chiusi, ti fa credere di essere in Piemonte davanti a un celebrato apice enologico. Potenza della bassa resa, di appena un chilo e mezzo per pianta, oltre che dell’efficace affinamento. Il risultato è un naso che ti si riempie di pepe nero, rendendo la bevuta piccante in ogni senso. Corposo ma capace di conservare acidità, di questo vino se ne parlerà parecchio.
Il Syrah è una divagazione dagli autoctoni, ma rappresenta la killer application dell’azienda: da un test di degustazione, risulta il più apprezzato dai bevitori non esperti, quindi il più adatto a incontrare il gusto popolare. Del resto questo vitigno internazionale ha trovato in Sicilia una seconda casa, con una terra che lo porta a esprimersi al suo meglio.
L’Inzolia è un altro colpo a sorpresa dell’azienda. Troppo spesso svilito dalla vinificazione di massa che ne fa un vinello anonimo per il largo consumo, qui viene invece elevato ai piani alti della nobiltà enoica. All’inizio ti accarezza l’olfatto con profumi lievi e solletica il gusto con il suo equilibrio, poi però ti esplode il frutto in bocca ed è una piacevole invasione di acida sapidità. Un vero bianco da invecchiamento.
Chiusura d’obbligo con il Kantico. Un passito rosa. E già basterebbe questo per mettere i brividi. Un blend di Malvasia e Corinto, con quest’ultimo deputato a dare il graffio in un prodotto di personalità unica. Dolce ma non troppo, elegante fino al minimalismo, un passito tra i più raffinati che si possano trovare.
Ecco come Christian Martino ci racconta questi vini.
L’agriturismo
Non di solo vino ci si inebria ad Antica Tindari. Se l’azienda enologica è uno scrigno di grandi sorprese, sono all’altezza anche la ristorazione e l’accoglienza che ne fanno un vero ecosistema enogastronomico totale.
Una scelta quasi indotta, visto che i visitatori, una volta giunti in questo paradiso, puntualmente se ne innamorano alla follia, al punto da non volere più andarsene via. Arrivano magari per un bicchiere di vino, poi si incuriosiscono per la cucina casalinga e a quel punto sono ghermiti: difficile accontentarsi di un’eccellente cena innaffiata di ottimo vino, se pensi che l’indomani potresti provare anche una sontuosa prima colazione di prodotti tutti fatti a mano dagli stessi gestori.
Così sono sempre di più i visitatori che decidono di fermarsi a dormire in azienda. Qui scatta l’altra, ennesima, sorpresa: le stanze sono bellissime, curate con una sensibilità raffinatissima. L’architettura e le rifiniture richiamano gli ambienti bucolici dei nobili siciliani, mentre gli arredi sono frutto di un’intensa ricerca in mezzo mondo di oggetti di design all’insegna della semplicità che collima con il buon gusto.
Nota di merito per i bellissimi pavimenti di ceramiche della non lontano Santo Stefano di Camastra, competitor regionale di quelle di Caltagirone, dallo stile meno pomposo e più raffinato.