Assisi, Museo missionario dei frati cappuccini dell’Umbria in Amazzonia
E’ un’impresa formidabile che richiede enorme sensibilità spirituale e intellettuale riuscire a musealizzare categorie dell’anima quali solidarietà, dedizione, altruismo, insieme all’amore incondizionato che ti fa dedicare una vita intera al Prossimo: tutto questo si riscontra al MUMA, il Museo Missionario Indios dei frati cappuccini dell’Umbria in Amazzonia che ad Assisi racconta un impegno ormai più che secolare con un allestimento di emozionante modernità.
Già la collocazione è significativa, trovandosi al civico 19/D di quella via San Francesco che introduce alla Basilica Superiore di San Francesco d’Assisi, ben visibile in tutto il suo splendore lì a pochi passi.
Il MUMA certifica una volta di più l’afflato esplorativo dei frati cappuccini, non soltanto per la storia che racconta ma anche per la scelta coraggiosa e innovativa di abbandonare la vecchia impostazione da museo missionario tradizionale per avventurarsi con successo in un allestimento interamente multimediale e interattivo, il primo al mondo nel suo genere “che coniuga storia e tecnologia di altissimo livello”, in cui il visitatore “vive e interagisce con essa, in un percorso intessuto di storie e di incontri”.
La complessità delle argomentazioni esposte in forma narrativa lo porta a presentarsi quale “museo storico, etnografico, antropologico, missionario che permette di incontrare su più livelli la regione dell’Alto Solimões, il suo inesauribile patrimonio di flora e fauna, la nazione indigena dei Ticuna e il mondo multicolore brasiliano, i frati cappuccini – prima umbri poi brasiliani – che lì hanno costruito chiese, ospedali, scuole, fabbriche”.
Lo sfavillante MUMA di oggi poggia comunque le sue solide basi sul precedente Museo degli Indios dell’Amazzonia nato nel 1973 da un’idea di padre Luciano Matarazzi, frate ma anche pittore, fotografo e ritrattista, il quale “l’aveva realizzato grazie al materiale che periodicamente i missionari gli donavano, facendo la spola tra l’Alto Solimões e Assisi: animali imbalsamati, farfalle, strumenti musicali, maschere e artigianato di vario tipo”.
Quando è stato disallestito si è proceduto alla documentazione fotografica di tutto ciò che conteneva, constatandone lo stato di conservazione, per procedere all’archiviazione e al restauro degli oggetti, una selezione dei quali poi ha funto da base di quanto è mostrato nelle nuove vetrine.
Qui “gli animali hanno trovato una migliore e più suggestiva sistemazione all’interno di 3 grandi diorami in scala 1:1; uno collocato all’ingresso e due che inerpicandosi per due piani del museo, ricostruiscono l’ambiente naturale della foresta pluviale amazonense”.
Tra gli altri cambiamenti “gli spazi sono stati ridisegnati, le teche sono diventate postazioni digitali, le foto hanno acquisito parola e movimento, l’illuminazione è diventata parte integrante dell’allestimento, i rumori della foresta hanno sostituito il silenzio, i volti dei protagonisti hanno voce, la guida del museo è una sofisticatissima cuffia che parla italiano, inglese e portoghese”, con grande attenzione all’accessibilità per tutti, anche perché qui “progetto museale e progetto architettonico hanno viaggiato in totale simbiosi fino a far diventare parte integrante del racconto”.
E’ in questo modo che il MUMA vede la luce nel 2011, sulla spinta della ricorrenza dei 100 anni di presenza missionaria cappuccina nell’Amazzonia occidentale, per celebrare i quali la Provincia Serafica dell’Umbria ha deciso di dare risalto al valore della missione proprio riqualificando il Museo Etnografico.
Obiettivo, fare in modo che l’osservatore si senta coinvolto in un percorso culturale e sensoriale al tempo stesso, un viaggio virtuale in Amazzonia “utilizzando i cinque sensi attraverso una dimensione lontana più di 10.000 km” fatta di “foresta, fiume, animali e civiltà indigene”, vera “nei suoni, negli oggetti, nelle testimonianze e nei panorami che offre al visitatore”.
La multimedialità qui è avvolgente ma non invasiva, prestandosi in chiave funzionale alle finalità pedagogiche della struttura, tesa non soltanto a catturare lo sguardo ma anche a dialogare con il suono, infatti “il progetto sonoro è uno dei punti d’eccellenza del museo e si muove su due livelli: l’audio ambiente, diverso per ogni sala, e la voce dello speaker, che accompagna il visitatore, sono mixati in modo tale da dare a ogni oggetto, personaggio, luogo raccontato la sua corretta ambientazione”. Una suggestione realistica e credibile dovuta ancora una volta alla qualità della progettazione, poiché l’audio ambiente è originale, essendo stato “raccolto nell’Alto Solimõe tra il 2006 e il 2010”, mentre “le musiche sono state registrate in occasione del festival di musica indigena che da qualche anno si svolge a Belèm do Solimões, nel cuore della nazione indigena ticuna”.
Tecnologia ancora una volta impiegata in funzione gnoseologica grazie a un’estesa interattività presente in ogni sala del museo in cui “il visitatore entra in contatto diretto con la realtà ambientale e umana dell’Alto Solimões attraverso personaggi virtuali, cartine dinamiche, proiezioni che si susseguono in ogni sala, intervallate da 25 teche in vetro all’interno delle quali sono stati selezionati i reperti” nonché da “quattro colonnine di approfondimento” ognuna delle quali permette un percorso tematizzato “con circa 300 foto d’epoca e 20 contributi filmati (alcuni risalenti agli anni Cinquanta)”.
La possente impalcatura tecnologica consente di approfondire le radici secolari della vocazione apostolica dei Cappuccini, facendo comprendere come “vivere tra la gente è la connotazione della loro attività pastorale”, anche fino alle estreme conseguenze, visto che “molti di loro hanno perso la vita mettendosi al servizio dei più poveri e diseredati o spingendosi in terre ostili per portare il Vangelo”. Proprio la Provincia umbra fin dalle origini “si è impegnata nell’annuncio, arrivando a Costantinopoli, in Grecia, in Bulgaria, in Russia; in Africa a Tunisi, nell’Isola di S. Thomè e in Congo; in America meridionale a Bahia, Rio de Janeiro, in Cile e nell’Alto Solimões amazzonico” dove i missionari sono ancora presenti, confermando la scelta pastorale “di porsi con gli umili, i poveri, gli ultimi”.
Così al primo piano si alternano sezioni quali Storia della missione, La linea del tempo, L’incontro di mondi lontani, La missione lungo il fiume, Una cultura da preservare. Il secondo piano è dedicato a Fratello fiume, Sorella foresta. Il terzo piano si concentra su temi come Il Vangelo nella valigia, Le origini della missione, San Francesco, Da Assisi al mondo, I protomartiri.
La tecnica espositiva punta dichiaratamente sull’impatto emotivo usando stimoli induttivi, come il sapiente impiego delle luci alla stregua di sottolineature ed evidenziazioni, ottenute ora attraverso la regolazione della diffusione luminosa e della sua temperatura visiva, ora tramite l’effetto teatrale di una sorta di occhio di bue che spinge inconsciamente chi osserva a concentrare l’attenzione sull’oggetto collocato al culmine del cono di luce. Quasi una rappresentazione scenica che potrebbe fare a meno di ogni aspetto didascalico, come se fosse memore della lezione degli affreschi giotteschi della vicina Basilica Superiore che hanno codificato la capacità di un contesto iconografico di spiegarsi da solo, anche senza ausilio delle scrittura, rendendosi intellegibile a tutti e pertanto pienamente inclusivo.
I testi però ci sono, chiari, intensi e senza sbavature, altamente divulgativi ed efficacemente coinvolgenti, a loro volta inseriti in maniera non banale, magari incorniciati da reperti come se si trattasse di una impaginazione materica.
Gli accostamenti degli oggetti a loro volta giocano su scale e dimensioni (alto-basso, piccolo- grande, evidente-miscroscopico), per creare movimento volumetrico anche nella staticità degli ambienti, spezzando rigori geometrici a favore di una scansione sinusoidale che avvolge il visitatore alla stregua di un’onda che culla un bagnante.
Congruo anche l’azzardo di composizioni che evocano l’arte moderna e contemporanea, mettendo insieme nell’ispirazione il collage, il rilievo e la natura morta…
… mentre in altri casi si ricorre alla gentilezza naif o a forme sfumate di impressionismo…
… fino a una condensazione concettuale della natura questa volta viv(id)a in un richiamo al minimalismo dell’Arte Povera di Giuseppe Penone che muta in sineddoche botanica.
L’audiovisivo attraversa tutti i generi espressivi, dal crudo documento visivo come tranche de vie in movimento alla curatissima messa in scena dalla fotografia impeccabile, come tessendo un collegamento tra l’ingenuità del proto-documentario lumieriano, il nitore estetizzante di Friedrich Wilhelm Murnau e i voli cromatici di Terrence Malick.
Si esce elevati nella conoscenza e nella consapevolezza interiore dal MUMA, ma anche inchiodati a responsabilità che forse il visitatore non sapeva di avere, come quella dell’empatia sorridente non pietistica con chi sta peggio, o l’inutilità beffarda del piangersi addosso davanti al dolore del mondo, fino a una chiamata alla buona azione quotidiana cui sarà difficile sottrarsi.
Pertanto non potrebbe esistere museo più giusto ad Assisi, per la sua sintonia con l’afflato francescano, un cantico in differente declinazione in grado di affermare ulteriormente la potenza senza tempo del messaggio del Santo e l’imperituro valore di un esempio di vita in perenne fieri.
Info: https://www.mumamuseo.it/