Attenti alle Mozzarelle che mangiate: ecco come sceglierle
La mozzarella è il formaggio che in Italia sviluppa il maggior volume di produzione, con oltre 220.000 tonnellate. Questo dato include sia quelle prodotte a partire dal latte di bufala che quelle vaccine. I due formaggi però godono di sistemi di codifica e tutela decisamente differenti. La bufala grazie alla denominazione di origine controllata europea ha un disciplinare di produzione chiaro ed estremamente dettagliato che copre tutti gli aspetti, dall’approvvigionamento del latte fino alla commercializzazione. Non sempre viene fatto rispettare e gli scandali anche in questo caso non mancano, ma è comunque un solido punto di partenza.
Nel mondo della mozzarella vaccina invece regna ancora un vero e proprio far west. L’unica parvenza di tutela è data dal debolissimo marchio STG, notoriamente privo di territorialità e indicazioni sulle caratteristiche che dovrebbe avere il latte di partenza. Abbiamo quindi prodotti estremamente eterogenei fra loro che vanno dal fior di latte di eccellenza prodotto con latte crudo di allevamenti a ciclo chiuso fino ai siluri di pasta filata prodotti con cagliata surgelata estera.
Un quadro abbastanza desolante in cui il consumatore, ma anche il ristoratore, incontra enormi difficoltà a muoversi, finendo spesso per scegliere esclusivamente in base al prezzo di vendita o al marketing più aggressivo e convincente.
Proviamo quindi a fare un po’ di chiarezza.
Per quanto riguarda il latte i caseifici hanno tre possibilità di approvvigionamento: latte locale a raccolta diretta o latte nazionale oppure comunitario, acquistati sul libero mercato. Questo comporta notevoli differenze. L’utilizzo di latte locale consente di caseificare in giornata, controllando meglio la microflora alterante (vi ricordate il caso delle mozzarelle blu tedesche?) ottenendo così un prodotto di qualità tendenzialmente superiore. Grazie al contributo dei microrganismi autoctoni che rappresentano un insostituibile serbatoio di sapori e odori. Il problema è che il consumatore non ha accesso a questa informazione, in quanto ad oggi non esiste alcun obbligo di indicare in etichetta la provenienza del latte di partenza.
Così come non possiamo sapere se effettivamente di latte stiamo parlando. Questo perché la normativa consente anche di creare formaggi a pasta filata direttamente da semilavorati, ovvero partendo dalla cagliata surgelata. In questo caso il blocco di cagliata viene prima sbriciolato, poi disciolto in acqua calda per ottenere un impasto lavorabile e infine filato e pezzato in modo da ricavare singole mozzarelle o siluri. Il tutto, senza aver aggiunto nemmeno una singola goccia di latte fresco.
Questo tipo di prodotto arriva in prevalenza dalla Germania e dai paesi dell’est Europa che hanno trovato questo efficace modo per rifilarci le loro eccedenze di produzione del latte. In virtù di questo parliamo di un semilavorato che ha un costo estremamente contenuto e aggressivo, nonché un’eccellente conservabilità. Peccato che a livello organolettico e di struttura avremo poi una mozzarella insapore e gommosa.
Stiamo però parlando di un prodotto che ha un’enorme diffusione nel nostro paese. Un recente studio dell’università di Foggia fatto su quattordici campioni di mozzarella ha rilevato che ben undici non erano prodotti da latte fresco bensì da cagliata. Questo perché un prodotto di questo tipo si può trovare a partire da 3 Euro al chilo, mentre una mozzarella di qualità difficilmente scende sotto i 5,5 Euro, quasi il doppio quindi.
Esiste poi la mozzarella fatta a partire dal latte fresco ma con acidificazione diretta (viene buttato l’acido citrico direttamente nel latte e via, senza alcun processo di fermentazione) oppure con l’aggiunta di proteine del latte in polvere. Tutte pratiche assolutamente consentite dalla legislazione attuale e di cui il consumatore finale e il ristoratore non vengono messi a conoscenza.
Questo perché non ci troviamo di fronte a un problema di sicurezza alimentare ma semplicemente di qualità e nessuno ha un vero interesse nel difenderla.
Non lo hanno i Paesi membri dell’Unione Europea che con le cagliate spostate da una parte all’altra del continente hanno fatto fortuna, così come non lo hanno i grandi caseifici che riescono ad abbattere i costi di produzione utilizzando questi semi lavorati e tantomeno le pizzerie che preferiscono comprare la mozzarella già cubettata che dura un mese, piuttosto che fare lo sforzo di approvvigionarsi da caseifici locali di qualità.
Il mio appello allora va all’anello più importante di questa catena, voi consumatori. Come sempre siete voi con le vostre scelte consapevoli a orientare il mercato. Nel momento in cui smetterete di acquistare mozzarelle cartonate al supermercato o di accettare pizze ricoperte da quell’orrido strato di formaggio filante giallo, le cose inizieranno lentamente a cambiare.
Riscoprite il piacere di mangiare una mozzarella che sa di latte, burro fresco e yoghurt, tenace e succosa al tempo stesso. Le etichette possono ingannarvi, ma il vostro palato no.
Info: Pagina Facebook “IGPizza”