Bosco de’ Medici, vini pompeiani temprati dal fuoco del Vesuvio
Se ti trovi a fare vino a Pompei dove le radici delle vicende umane si allungano per millenni nelle viscere pulsanti della civiltà, ti senti investito dall’imponente eredità di una storia plurimillenaria che diventa espressione d’orgoglio, conferimento di responsabilità, volano del saper fare: tutti elementi che scorrono nel sangue dei gestori della cantina Bosco de’ Medici con la sua produzione vitivinicola culturale.
Il Vulcano è più di una presenza emozionante quanto incombente, rappresentando il simbolo di ogni azione che avvenga intorno a esso, poiché alla sua ombra “le passioni dell’uomo han radici nel fuoco”.
Un imprimatur bio-socio-antropologico che pretende la prosecuzione di “una tradizione vitivinicola antica, come le genti che abitarono questi luoghi”, tra le quali la figura essenziale dei Vignaioli Artigiani Vesuviani.
Come Azienda Agricola, la Bosco De’ Medici nasce nel 1996 “quando le famiglie Palomba e Monaco decidono di condividere la passione del nonno Raffaele per i terreni ed i vigneti del Vesuvio, coltivazioni antiche, composte in larga parte da vitigni autoctoni a piede franco d’età prefillossera, integrate in seguito da vigneti impiantati negli anni ottanta”.
E’ così che prosegue “una tradizione centenaria testimoniata dal ritrovamento in vigna di un termine di confine in pietra su cui è scolpita una lettera M con sopra una corona (ispirazione poi per il logo aziendale)”. Successivi approfonditi studi confermeranno che quei terreni “erano stati di proprietà di un ramo della nobile dinastia fiorentina dei Medici, trasferitasi nel Regno di Napoli nella metà del sedicesimo secolo e prodigatasi nei secoli seguenti per modernizzare e migliorare i metodi di coltivazione e la qualità dei vini vesuviani”.
Questa coincidenza archeologica è stata vissuta giustamente come un’eredità importante dall’azienda, ulteriore possente stimolo ad applicarsi alla cura dei terreni al fine di produrre uve pregiate che dalla vendemmia del 2014 vengono vinificate in proprio.
Viti esposte verso sud che guardano verso il Golfo di Napoli abbarbicandosi per le pendici del Vesuvio, come iniziarono a fare “più di duemila anni fa quando i Greci importarono per primi la vite ed il culto del vino”.
Una scelta consapevole, poiché questi terreni vulcanici sono vocatissimi per la vitivinicoltura d’eccellenza, donando alle uve a piede franco non soltanto protezione dai parassiti ma anche elevato grado zuccherino, mentre ai vini conferiscono complessità, sapidità grazie alla presenza di preziosi minerali nel suolo, quindi profumi intensi e buon grado alcolico.
I vigneti sono tutti coltivati con vitigni autoctoni: vengono allevati con tecnica a spalliera e a tendone uve di Piedirosso, Aglianico, Falanghina e Caprettone, essenze ampelografiche identitarie del territorio.
La filosofia produttiva prevede in vigna il ricorso alla zonazione aziendale, mentre nella piccola cantina sono protagonisti “silos di acciaio di dimensioni ridotte al fine di poter affinare separatamente il prodotto proveniente dalle singole parcelle”.
L’intero progetto ha un’impronta sostenibile che vede abolito il ricorso a prodotti di sintesi e il massimo rispetto del terroir “secondo stilemi che dal biologico si traducono antroposoficamente in una conduzione biodinamica del parco agricolo aziendale”.
Due le linee condivise con il distributore Proposta Vini, quelle con i nomi più significativi.
La Linea Vesuvio contempla l’ancestrale denominazione Lacryma Christi che “si lega alla leggenda secondo cui, Lucifero, l’angelo caduto, sottrasse un pezzo del paradiso, prima di sprofondare nelle viscere degl’inferi e dalla voragine che creò sorse il Vesuvio: si dice che Gesù, riconoscendo nel Golfo di Napoli il quell’angolo di paradiso rubato, pianse copiosamente e dalle sue lacrime nacquero i vigneti di questo vino”.
La vicenda del Lacryma Christi è strettamente legata a quella “della viticoltura vesuviana e in particolare dei territori di Terzigno e Boscoreale: narra le vicende degli eredi dei vignaioli pompeiani, ovvero gli ordini religiosi e la famiglia Medici”, con alterne vicende che dopo un periodo di declino ne hanno registrato la rinascita a partire dagli anni 2000.
Il “tributo all’antica tradizione dei vini vesuviani” è reso attraverso le due referenze Lavaflava e Lavarubra che “riprendono la tradizione dell’assemblaggio di uve autoctone, per restituire nel calice l’identità storica della vitivinicoltura vesuviana”.
Il Lacryma Christi del Vesuvio bianco Lavaflava mette insieme Caprettone all’85% e Falanghina al 15% scatenando una percezione olfattiva che fa correre la mente alla Crisommola, come viene chiamata localmente la cultivar tipicamente vesuviana dell’albicocca, ritrovandola in bocca insieme a yuzu, nettarine e alloro, avvolti in una dominante mineralità che rende esplosiva la beva.
Il Lacryma Christi del Vesuvio Rosso Lavarubra deriva da Piedirosso 85% e Aglianico 15% che lo rendono sontuoso al naso nel veicolare esuberanti sensazioni floreali, mentre il sorso è maturo e denso nel codificare more, melagrana e ribes, con un finale balsamico.
La Linea Pompeii invece comprende una gamma di vini “attraverso cui diamo forma alla nostra filosofia di produzione: sperimentale, dinamica, sostenibile, salubre”, come avviene per il Pompeii Bianco che nasce “da un’uva rara, il Caprettone che cresce unicamente sul Vesuvio e quasi esclusivamente sulla parete sud del vulcano”, ritenuta “perfetta per le macerazioni, perché trae forza dall’estrazione polifenolica, rendendo complesso il suo apparato olfattivo e gustativo”.
Per questo “nasce dalla vinificazione del 70% della massa liquida in silos di acciaio a temperatura controllata e della restante parte in anfore di terracotta, dove le uve subiscono una macerazione con bucce e raspi, di 20 giorni”.
Al naso è evidente l’eco dell’albicocca ma questa volta in versione essiccata, mentre al palato si ritrovano papaya, mandarino, pesca, con un finale che dichiara note di argilla.
Di buona acidità, propone un sorso gentile e intrigante che chiude in direzione della sapidità, conquistando per tutto il tempo della degustazione con il suo carattere zuccherino impreziosito da cenni agrumati.
Vino di rara originalità.
Pompeii Rosso nasce invece “da sole uve Piedirosso localmente detto Per’ e Palummo (dal colore rosso del raspo)”.
Il bouquet offre sottobosco ricco di vegetazione, il gusto individua susina rossa, ribes, melagrana e tè Pu-Erh.
La tendenza a un carezzevole abboccato è bilanciata dall’importanza dell’acidità, esplodendo di gradevolezza da godere a lungo grazie alla sua prolungata persistenza.
Il progetto dell’azienda è così intriso di importanti valori culturali, storici, antropologici e vitivinicoli da meritare un approfondimento che abbiamo chiesto ad Antonio Monaco: trovate la sua esposizione nel video qui di seguito.
Info: https://www.boscodemedici.com/galleria/
Distribuzione: https://www.propostavini.com/produttori/produttore/bosco-de-medici