Il vero (ultimo?) bacaro di Venezia: Cantina Do Spade
Non c’è veneziano innamorato della propria città a cui non sentirete ripetere il malinconico mantra della scomparsa dei bacari, i tipici locali della ristorazione popolare veneziana.
Si contraddistinguevano per la possibilità di bere un bicchiere di vino sfuso, accompagnandolo con assaggi di qualche ricetta tradizionale, un po’ di pescato locale e i cicchetti, in un ambiente spartano.
Qualche locale in giro per la città ha mantenuto tale aspetto, ma più nelle sembianze. Diversi indigeni sono invece pronti a giurare che l’ultimo vero bacaro, con tutti i crismi, sia rimasto il Cantina Do Spade, tanto che ci è capitato di essere accompagnati fin sull’uscio da un passante che stima molto questa istituzione della gola cittadina.
E’ situato in Calle Do Spade, S. Polo 859/860, nei pressi di S. Matteo di Rialto. Ci fai un passo dentro e comprendi perché i veneziani parlano con tanto trasporto di questo genere di locali in estinzione.
Il bancone ti accoglie a sinistra con una sfilza di ricette ancestrali difficili da trovare tutte insieme. Si impone subito una scelta: mangiare in piedi? Appoggiarsi su uno dei tavolini di fronte al bancone? Accomodarsi all’interno in stile vecchia osteria? La ricchezza degli antipasti a vista vi costringerà a decidere in fretta, perché l’acquolina in bocca monterà rapidamente.
Il solo antipasto di cicchetti potrebbe rappresentare un pranzo.
Tra tantissime proposte, questa la composizione imperdibile: folpetto in umido tenerissimo che sa ancora di mare; succosi moscardini in umido con il pomodoro; le identitarie sarde in saor; il croccantissimo crostino con il baccalà mantecato; le saporite sarde Do Spade al forno; i magistrali calamari ripieni di trito di pomodori, capperi e olive. Il tutto sostenuto dalla polentina bianca tipica di queste parti. Il Prosecco non filtrato che poggeranno accanto al vostro piatto, sarà quello giusto per cominciare.
Premesso che l’intero menù meriterebbe di essere provato piatto per piatto, ci siamo concentrati su alcune ricette antiche che rappresentano la porta d’ingresso nella gastronomia veneziana.
Due i primi. Innanzi tutto, gli spaghetti alla bùsara: una pasta condita con sugo di crostacei e pomodoro, dando vita a una salsa profumata di pesce che ti costringe alla fine a intingere anche il pane.
Altro vanto della cucina locale, la pasta al nero di seppia: per i veneziani, appartiene alla loro cultura, con buona pace dei competitor del sud Italia, Sicilia e Campania in testa.
La ricetta degli spaghetti al nero di seppia è quella classica della cultura mediterranea: sorprende però la totale mancanza di unto, di quell’alone di olio che circonda il nero denso nelle omologhe preparazioni del Meridione. Merito del cuoco che abbiamo osservato all’opera nella cucina a vista, un ragazzo francese dalla mano incredibilmente sicura e misurata per la giovane età. E’ uno dei quattro cuochi della brigata di cucina capitanata dallo chef Sebastiano Masiol.
Particolarissime anche le tagliatelle alle ganasette, ovvero le guance di coda di rospo. Su tutti i primi, è una certezza bere il Manzoni Bianco di Luigino Zago, un’esplosione di profumi al naso come in bocca.
Ma i gestori non vi faranno uscire dal locale se non avrete provato il loro frittolin, anche questo a rischio di estinzione: più che un secondo piatto, una bandiera. Un fritto misto di pesce e verdure da fare impallidire la tempura giapponese per delicatezza.
In questo caso, chiedete un bicchiere di ottimo Müller Thurgau delle Venezie di Italo Cescon, dal retrogusto dolce ben controllato.
Se vi è rimasto spazio per i dolci, fatevi servire i bussolaj caldi, tipici dell’isola di Burano, da accompagnare obbligatoriamente con il loro passito bianco veronese: pastoso e dolcissimo, in bocca si fonde con le briciole dei biscotti. Come da consuetudine, le porzioni sono gigantesche: meglio tenerlo presente, se volete provare più pietanze.
Il resto della filosofia del locale, la si evince dalle parole del suo gestore, Francesco Munarini.
Si esce felici anche grazie al servizio, squisito come i piatti: diventare amici del personale sarà inevitabile.